mercoledì 23 maggio 2018
Una raccolta di articoli di Milena Jesenska
Milena Jesenska: Qui non può
trovarmi nessuno, a cura di Dorothea Rein, Giometti&Antonello, pagg. 252, euro 24
Risvolto
La figura di
Milena Jesenska (1896-1944), la destinataria delle famose lettere di
Kafka, nonché sua traduttrice e suo amore incompiuto, è oramai nota
anche grazie a delle fortunate biografie. Meno noti forse sono i suoi
scritti (e le sue lettere), gli stessi che oggi presentiamo qui e che
fanno della Jesenska una delle più vivide testimoni della vita e della
cultura mitteleuropea tra le due guerre. Gli argomenti sono i più vari,
dal costume, al cinema, all'arte e alla letteratura, per poi
indirizzarsi - nella seconda sezione - in reportage di taglio più
schiettamente politico, in concomitanza con la degenerazione della
situazione nella giovane repubblica ceca che condurrà alla sua
annessione da parte della Germania nazista. Sorprendono, dall'inizio
alla fine, l'acume e l'efficacia dello stile, sempre in grado di mettere
in luce il tragico, il comico e il grottesco dell'esistenza, mostrando
sia un gran talento ironico sia, al contempo, inaudite doti di empatia.
Nata a Praga in una famiglia benestante, partecipa sin da giovanissima
alla bohème della capitale, per trasferirsi poco più che ventenne nella
Vienna postbellica assieme al marito. Qui inizierà una felice carriera
giornalistica, la quale ha però come controcanto una tormentata vicenda
personale, che la porterà - complici un matrimonio fallito e una
iniziale, poi sconfessata adesione al partito comunista - a una
decennale dipendenza dalla morfina, dovuta ai postumi del
travagliatissimo parto della sua unica figlia. E solo alla fine degli
anni Trenta che la Jesenska ritorna a scrivere con la passione e
l'intelligenza che contraddistinguono il suo personalissimo stile,
partecipando nuovamente alla vita culturale del suo paese. Anche a causa
di tale coinvolgimento sarà arrestata dai nazisti appena entrati a
Praga e condotta al campo di Ravensbriick, dove morirà quattro anni più
tardi. Tragedia del non tragico! L'inattitudine alla tragedia! Com'è
tremendo, com'è doloroso, malinconico tutto questo! Gli uomini qui si
sono rassegnati senza neppure saperlo, si sono rassegnati senza neppure
lottare, con una naturalezza che spaventa. La maledizione
dell'imperfezione, dell'incompiutezza, della mediocrità imitata grava
qui su tutte le cose: sugli abiti, sul portamento della gente, sui
mobili, sui posti a teatro, sulle vetrine. L'eterna schiavitù della
promiscuità, l'eco di ogni lacrima e di ogni sospiro nella camera
accanto piena anch'essa di gente, la tirannia di un destino che impone
di osservare sempre con attenzione gli altri, perché qui ognuno è
attore, spettatore e suggeritore al tempo stesso! Una qualsiasi
evoluzione è impensabile, giacché è qui che finiscono le cattive
imitazioni della vita e dell'arte, è per queste strade che si scrivono
operette, farse d'infimo ordine e valzer sdolcinati atti a eccitare la
sessualità miserevole e stremata di esseri che persino nel loro intimo
non mancano mai di distinguere tra domenica e giorni feriali; [...] C'è
dunque da stupirsi se questi uomini che col loro cervello e il loro
cuore alimentano un mostruoso apparato, che per decenni non hanno mai
vissuto né sentito in maniera personale e unica ma sempre e solo come
massa, allineati l'uno accanto all'altro come merci in un magazzino con
dentro lo stesso sentimento di rassegnata impotenza quali elementi di un
cavo elettrico fra il mondo e Dio, c'è da stupirsi, dicevo, se essi un
bel giorno, tutti insieme, mandano un urlo tremendo e si rivelano - per
un istante nell'arco di secoli - terribili quanto prima erano stati
docili? Con otto lettera a Max Brod su Kafka.
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