giovedì 19 dicembre 2019
Partenone o Eretteo?
Il Partenone c’è sempre stato
Polemiche archeologiche. Si è ipotizzato che il tempio eretto sull’Acropoli di Atene nel V secolo a.C. si chiami così solo dalla metà del IV secolo a.C. Ma è un errore: ecco perché
Emanuele Papi Domenicale 29 3 2020
I
monumenti dell’antichità non trovano un posto fisso, perfino quelli più
distinti e con titoli altisonanti. La combinazione di nomi e ruderi può
trasformarsi in un erudito Only Connect, ma il risultato non è
sempre condiviso ed è occasione di sfide appassionanti da almeno mezzo
millennio. Nel XVI secolo l’umanista Bartolomeo Marliani duellava con il
collega Pirro Ligorio sulla topografia del Foro Romano, che allora si
chiamava Campo Vaccino, con un poco reverente aggettivo zootecnico e con
qualche colonna che spuntava dalla terra. Marliani pensava di aver
trovato «la verità verissima» e che neanche Romolo redivivo lo avrebbe
potuto convincere del contrario. Agli inizi dell’Ottocento Leopardi
osservava gli antichisti di Roma, una città che non gli piaceva per
niente, «oziosa, dissipata e senza metodo, fonte di noie e di noie
costanti». Descrisse così le dispute quotidiane e le fazioni degli
archeologi/antiquari: «tutto il giorno ciarlano e disputano, e si
motteggiano ne’ giornali, e fanno cabale e partiti», e così «tutti
pretendono di arrivare all’immortalità in carrozza».
Anche al
giorno d’oggi, il valore dei monumenti aumenta se si conosce il loro
nome e se gli scrittori antichi ne hanno parlato, insieme all’orgoglio e
alla fama dello scopritore o del sagace interprete (i resti materiali
rischiano talvolta di essere declassati a occasione per esercizi
nominalistici, estremi o moderati). L’archeologia è multiforme, c’è
perfino chi prova a rispondere alle concrete Domande di un lettore operaio poste da Bertold Brecht, ma gli archeologi dedicano parecchio tempo a controversiae et suasoriae sui
titoli dei monumenti e sulla loro collocazione (come diceva sir
Mortimer Wheeler, un insigne e nobilitato archeologo inglese:
«l’archeologia non è una scienza è una faida»).
Atene non sfugge
al destino. La topografia e gli edifici della città sono inquieti e
vaganti, cambiano spesso nome e posizione, questioni tormentate che
riempiono menti, bocche e biblioteche di mezzo mondo (il motore di
ricerca Google Scholar segnala 50mila testi accademici, che contengono
le parole chiave Athens e Acropolis, tra i quali si trovano anche molte e
incandescenti dispute). L’ultima tempesta è stata scatenata da uno
scettico ed eretico olandese: Jan Zacharias van Rookhuijzen, con un front-page-article,
pubblicato nel gennaio scorso dall’«American Journal of Archaeology»,
centenario e prestigioso bollettino dell’Archaeological Institute of
America. La tesi dell’Autore è questa: il Partenone non è il Partenone,
nei primi decenni della sua esistenza si chiamava in un altro modo. E
ancora: l’Eretteo non è l’Eretteo, ma una costruzione per la quale viene
appositamente coniato un neologismo: Tempio delle Cariatidi (sono le
fanciulle/colonne della famosa loggia ma nei documenti di cantiere sono
dette korai). A rigore, la questione sollevata da van Rookhuijzen è per the happy few o
per quelli addentro alla materia, ma vale la pena di spiegare la
faccenda, anche per il fatto che il Partenone appartiene al “canone
occidentale” delle meraviglie del mondo antico ed è diventato un luogo
comune ubiquo e planetario.
La sua fortuna inizia alla fine del XVIII secolo e ha stimolato nelle élites di
tutto il mondo un repertorio di emozioni ben documentate: esaltazioni,
lacrime, svenimenti, o almeno ricordi di scuola (come se Ulisse e le
figure del mito si mostrassero in carne e ossa). Non sono però mancate
reazioni di diverso carattere e viaggiatori poco incantati: nel 1933
Filippo Tommaso Marinetti incitò la gioventù greca a voltare le spalle
all’Acropoli e alla «decadente stufa grandiosa della Grecia» e qualche
anno dopo l’Associazione (greca) dei Sabotatori Estetici dell’Antichità
manifestò l’intenzione di far saltare tutto per aria. A Giorgos Seferis,
Nobel per la letteratura nel 1963, il Partenone pareva «l’etichetta di
una marca di saponette». Ogni anno 2 milioni di viaggiatori ascendono
all’Acropoli, una media di quasi 5mila al giorno con picchi di 20mila,
ma non abbiamo dati sull’effetto che fa il monumento alla massa dei
nuovi turisti.
Lo scisma di van Rookhuijzen riguarda un brevissimo
segmento della storia millenaria del Partenone: costruito nel V secolo
a.C., trasformato in chiesa nel VI d.C., quindi in moschea per i nuovi
occupanti ottomani (dal XV secolo), rovinato dal bombastico colpo del
Morosini nel 1687, svaligiato da Lord Elgin agli inizi del XIX secolo,
per trovare finalmente pace come patrimonio di tutto il genere umano,
per il quale si stanno di nuovo montando le purissime architetture
classiche. Il punto di van Rookhuijzen è il seguente. Il Partenone è il
Partenone, ma solo a partire dalla metà del IV secolo a.C. in poi: così
fanno capire tutti gli scrittori che si dettero pensiero di nominarlo,
dall’oratore Demostene all’onnisciente Plutarco: la parola Partenone
dovrebbe indicare un posto per vergini (in greco parthenoi), non
meglio specificate. A complicare le cose ci sarebbero però gli inventari
del tesoro degli Ateniesi, compilati fra il 434 e il 303 a.C., dove
troviamo i nomi di una mezza dozzina di stanze che funzionavano da
cassaforte di Stato per gli oggetti preziosi offerti dai devoti, insieme
a monete, attrezzi liturgici, cimeli e spoglie dei nemici (si veda la
recensione di Marco Carminati al libro di Giovanni Marginesu, Il costo del Partenone,
su «Il Sole 24 Ore» del 16 febbraio scorso). Van Rookhuijzen si cimenta
nell’identificazione di ciascuna stanza, sottoponendosi di buon grado
ai supplizi del letto di Procruste. La stanza chiamata Parthenon compare
negli elenchi scritti dal 434, non sarebbe dentro al Partenone, ma
preferibilmente nel vano occidentale dell’Eretteo (o meglio il
cosiddetto Eretteo perché l’Autore sconfessa anche questo nome).
Soltanto dopo qualche tempo, il Parthenon cambiò domicilio e si trasferì
a pochi metri nel Partenone, dando il nome a tutto l’edificio. Ma c’è
un problema: il Partenone fu costruito tra il 447 e il 432 ed era in
piedi quando è nominato negli inventari del 434, mentre la fabbrica
dell’Eretteo fu inaugurata nel 421, terminò intorno al 406, ed era
dunque un contenitore ancora inesistente (il tentativo di retrodatare il
cantiere resta, almeno per ora, una pia illusione). Anche l’Eretteo
dovrebbe mantenere posizione e nome. Così lo chiama Pausania, un ben
informato greco-orientale, che nel II secolo scrisse in stile notarile
un vademecum di tutta la Grecia. L’edificio, costruito con singolari
architetture su un dislivello al margine nord dell’Acropoli, era un
condominio di dèi, mitici personaggi e loro parenti, e anche un
raccoglitore di prodigi: la patrona Atena con la sua antichissima e
santissima statua e l’olivo sacro, Poseidone e il pozzo di acqua salata
che aveva fatto sgorgare con un colpo di tridente, Efesto, il re Eretteo
con il fratello Bute e un altro sovrano anguiforme, Cecrope, con la
figlia Pandroso.
Much Ado About Nothing: sull’Eretteo van Rookhuijzen promette un’altra puntata, ma per il momento resta al solito posto insieme al Partenone.
Direttore della Scuola
Archeologica di Atene
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento