Si tratta di una traiettoria che si è sviluppata costantemente negli ultimi venticinque anni e che in alcuni contesti geografici si è giustapposta al sistema dei partiti che aveva dato attuazione alle costituzioni postbelliche. Su questi temi il lavoro di Nadia Urbinati si è negli anni segnalato fra i più originali nel definire i mutevoli contorni della fenomenologia populista. Questo libro è la sintesi di un impegno pluridecennale che evita di concettualizzare il populismo rubricandolo nella famiglia degli autoritarismi. Da tale premessa nasce un ragionamento teorico che precisa il profilo peculiare del populismo quale elemento della prassi politica contemporanea, profondamente distante dal fascismo poiché non programmaticamente antidemocratico.
Con ciò l’autrice ridimensiona le generalizzazioni adoperate per definire i processi che mettono in moto (e ingrossano) il consenso al populismo e analizza le conseguenze della sua applicazione sulla democrazia costituzionale. Sulla base della definizione dei suoi contorni l’autrice sviluppa un modello che lo rende riconoscibile e compatibile con le sue diverse declinazioni contemporanee. Infatti, uno dei nessi analitici più ambigui nella definizione del populismo è proprio chi sia apertamente populista e, invece, chi – pur non ascrivendosi formalmente a quel registro – attinge dagli stilemi essenziali dello stesso. Dall’intersezione di questi due punti fermi emerge una nuova forma di governo rappresentativo: la democrazia populista. Tale concetto declina il populismo quale elemento della dialettica democratica senza necessariamente considerarlo interno a dinamiche ideologiche. Il connotato autentico che tale forma del fenomeno ha è, infatti, il suo non appartenere necessariamente alla destra ma intaccare ugualmente il linguaggio e la cultura della sinistra. La democrazia populista non si qualifica dunque come un progetto teso a scardinare i fondamenti della democrazia rappresentativa (all’interno della quale nasce), ma tende a trasformarla senza desiderare di rovesciarla. Il consenso si esprime attraverso la delega a un leader che da solo sostituisce il partito tradizionale, cioè il luogo di sintesi di una linea e di un’azione politica. Il fenomeno noto come “disintermediazione” – quello che ha spudoratamente fatto dire a Trump di essere lui la “bocca del popolo” – si struttura intorno a un uso smodato dei social networks, che diventano la non-tribuna dalla quale il leader fonda il suo rapporto col popolo. Un luogo immateriale nel quale si riproducono in scala uno a uno anche gli aspetti più prosaici della quotidianità. Una quotidianità, va dà sé, posticcia ma funzionale ad amplificare l’illusione che il “capo” sia parte del “vero” popolo e non un pezzo del detestato establishment.

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