Miguel Gotor: L’Italia nel Novecento. Dalla sconfitta di Adua alla vittoria di Amazon. Einaudi, Torino, pagg. XVIII-570, € 22
Perché l’Italia ha fermato i suoi riformatori
Seguendo le orme di Sciascia, nel suo nuovo e denso saggio sull’Italia nel Novecento Miguel Gotor rilegge la storia del nostro Paese attraverso il filtro dell’eversione e del terrorismo. Se Sciascia individuava l’evento inaugurale della strategia della tensione già all’indomani dell’unificazione italiana, Gotor ne scorge inquietanti manifestazioni lungo tutto il Novecento. La strage di matrice anarchica causata dallo scoppio di una bomba al teatro Diana di Milano nel 1921, per esempio, innescò una catena di reazioni che contribuirono ad accelerare la crisi dello Stato liberale. Analogamente, l’attentato impunito alla vita di Vittorio Emanuele III del 1928 determinò un giro di vite nella repressione dei gruppi antifascisti. Ma è soprattutto nel dopoguerra, con l’eccidio di Portella della Ginestra (1947), che il terrorismo assunse quelle caratteristiche strategico-cospirative che, a partire dagli anni 60, ne avrebbero fatto un potente strumento di condizionamento politico in chiave anticomunista.
Dietro la strage compiuta dalla banda di Salvatore Giuliano si celava infatti una rete di complicità e connivenze che coinvolgeva organizzazioni mafiose, gruppi neofascisti, agenzie di spionaggio straniere e apparati dello Stato italiano: gli stessi attori che, sotto mutate spoglie e in combinazioni diverse, avrebbero architettato o strumentalizzato una lunga serie di atti eversivi nei decenni a venire: dal Piano Solo del generale De Lorenzo (1964) al tentato golpe del principe Borghese (1970), dalla strage di piazza Fontana (1969) a quella di piazza della Loggia (1974), dal delitto Moro (1978) agli attentati di Capaci e via D’Amelio (1992).
All’origine di quasi tutti questi episodi Gotor ravvisa una costante storica, ovvero una doppia lealtà dei vertici politici e militari italiani: alla Costituzione repubblicana e antifascista da un lato e al Patto atlantico in funzione anticomunista dall’altro. Non è un caso che essi abbiano avuto l’effetto d’impedire una trasformazione in senso progressista dell’assetto politico e che si siano interrotti con il crollo dell’Unione sovietica (1991) e la dissoluzione del Pci. Questa chiave di lettura della storia italiana, di cui l’autore aveva già tracciato lo schema nel terzo volume del manuale scolastico Passaggi (Le Monnier Scuola 2018), giustifica la distribuzione degli argomenti e l’ipertrattazione degli anni di piombo (i capitoli IX-XI sono quelli più tragicamente entusiasmanti), quasi fossero un tumore nel corpo sociale italiano.
Per raccontare la storia di questo Paese di difficile modernizzazione, Gotor attinge alle fonti più disparate, le incrocia con sapienza e, quando l’argomentazione si fa più stringente, le accumula ad abundantiam. Ma per quanto il risultato sia persuasivo, occorre tenere a mente sia la loro natura sia i loro limiti. Se è vero, per esempio, che la capacità diagnostica di alcuni narratori italiani ha trasformato le loro opere in testimonianze imprescindibili del periodo in cui furono scritte, è anche vero che nessun romanzo storico come La scuola cattolica di Edoardo Albinati (2016) o M di Antonio Scurati (2018) può essere utilizzato a cuor leggero per documentare epoche passate. Allo stesso modo, tanto i versi dei poeti quanto i ritornelli dei cantautori (citati dall’autore con tale frequenza da costituire una sorta di colonna sonora del libro) possono al massimo rievocare un clima, ma non parlare a nome di una generazione. Le memorie degli uomini politici, d’altra parte, sono strumenti involontariamente fallaci quando non addirittura consapevolmente ingannevoli. Perfino i preziosi documenti prodotti dalle commissioni parlamentari (P2, Stragi, Moro e Moro 2) sollevano delicate questioni storiografiche, soprattutto quelli più recenti, preclusi agli studiosi, a cui Gotor ha avuto accesso nel corso del suo mandato parlamentare.
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