venerdì 14 febbraio 2020
Altri colori di Pastoureau
Franco Cardini Domenicale 9 2 2020
Che la A sia nera e la C sia rossa lo sappiamo tutti: ce l’ha spiegato Rimbaud nella poesia Voyelles,
che conoscono anche i bambini (anzi, soprattutto i bambini). Anche le
note musicali hanno ciascuna un loro colore: e gli studiosi di storia
dell’arte ma anche gli amanti degli oroscopi sanno che ogni colore ha un
suo significato. Anzi, è simbolo di qualcosa; più ancora, può essere
simbolo di molte cose diverse e magari contrastanti.
Noialtri
occidentali siamo soliti associare il nero al lutto e il bianco alla
festa, ma per i cinesi (come per gli antichi romani) il bianco è al
contrario un colore funebre, mentre gioioso e festivo è il rosso, che
tale può essere anche per noi ma che è anche, per la nostra sensibilità,
eccitante (pensate alla corrida; o al celebre abito rosso di Marylin
Monroe), allarmante e minaccioso: e comunque simbolo di divieto e di
pericolo (il rosso dei semafori e delle bandiere sulle spiagge quando il
mare è mosso). Quanto al verde, colore della speranza che ci suggerisce
immagini di pace e di riposo, qualcuno troverà paradossale che esso sia
contemporaneamente il simbolo dell’Islam e di un partito politico, la
Lega, che con la religione coranica non simpatizza granché.
Siamo
comunque circondati dai colori; e il colore è anche un importante
oggetto di studio, dall’ottica all’antropologia. Michel Pastoureau,
medievista tra i più noti al mondo, è forse il più grande e il più
famoso (e certo il più grasso, aggiungerebbe lui con la sua ormai
celebre autoironia) tra gli specialisti della storia dei colori e della
disciplina detta cromoantropologia. Si occupa principalmente di due
temi, sui quali ha scritto molti libri fra i quali alcuni bestseller di
grande successo: la storia dei colori, appunto, e la simbolica medievale
degli animali. I suoi libri sul blu, sul nero, sul rosso, ma anche
sull’orso, sul maiale e sul lupo, sono celebri: e, pur essendo
rigorosamente fondati sul piano metodologico-scientifico, riescono
sempre anche di gradevolissima lettura. Leggere la sua ultima opera
tradotta in italiano, Un colore tira l’altro, è veramente una festa.
Badate:
è un libro meno “leggero” di quanto il suo titolo sembrerebbe
promettere. Anzi, è molto serio nella sostanza, come sempre quando si
toccano con dottrina ed esperienza temi che sono anche – ma non solo –
sociologici e psicoanalitici. I colori e le loro combinazioni ci
condizionano molto più di quanto non crediamo: e non solo rispetto allo
sport o alla politica. Questo, poi, è in qualche misura anche
un’autobiografia (il sottotitolo suona difatti Diario cromatico).
Ma il bello è che risponde più volte a molte nostre magari inconsce
domande: a cose, come si dice, che non abbiamo mai osato chiedere.
Può
darsi che diventar gialli o verdi di bile o d’invidia, o rossi di
vergogna, o bianchi di paura, o neri di cattivo umore, siano variazioni
cromatiche ovvie: ci sono motivi fisiologici per questo. Ma voi
conoscete davvero le ragioni cromatiche alla base della scelta dei
colori dei semafori? E sapete perché molte bandiere sono tricolori, e
c’è sempre una dichiarata “la più bella”? Io e Pastoureau, a costo di
farci lapidare dai nostri rispettivi connazionali, sosteniamo che né
quella italiana né quella francese sono tali; lui propende per la
giapponese e le groenlandese, io non ho dubbi: quella del Québec, a pari
merito con quella albanese.
Ma altri episodi rendono queste
pagine illuminanti e al tempo stesso irresistibili. Che ne pensate di un
hotel svizzero di lusso che vi offre camere da letto con lenzuola nere?
Vi sta suggerendo una turbinosa notte erotica o vuol portarvi male? E
siete davvero convinti di poter dominare – a proposito di eros: e non
solo... - tutte le sfumature del grigio? E come reagireste se,
trovandovi a passare una notte in una residenza vaticana, vi trovaste in
una camera da letto con relativa sala da bagno rigorosamente monocroma e
tutta color cioccolato, per non dir peggio...?
Per non parlare
poi delle variazioni cromatiche cutanee, magari associate a un
allarmante sfogo di natura allergica: vesciche dal rosa confetto al
viola pervinca, attraverso tutte le gradazioni del rosso. Conseguenza di
una cena in un ristorante cinese che il gourmet Pastoureau, una volta
tanto, aveva mal selezionato.
Non prendertela, Michel. Ricordi
quella sera di alcuni anni fa – e, ahinoi, di molti chilogrammi or sono
-, quando m’invitasti a cena in uno spettacoloso cinese parigino?
Ambiente simpatico ed elegante, cameriere carinissime, cibo eccellente.
E, la notte successiva, niente sfoghi cutanei. Lì, avevi fatto centro: e
la vie est belle...
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