domenica 16 febbraio 2020

Europa e ordinamento eurocentrico della terra nel XIX secolo: Evans

Richard J. Evans: Alla conquista del potere Europa 1815-1914 Laterza
Traduzione David Scaffei pagg. 1014 euro 38

Risvolto
L'Ottocento è il secolo dell'Europa. Il secolo in cui il Vecchio continente ha dominato il resto del mondo come mai prima e mai dopo. Il secolo di rivoluzioni e repressioni, ma anche di appassionate lotte per l'uguaglianza e per i diritti, della nascita dell'industria, di uno straordinario fermento scientifico e culturale. Il secolo che ci ha reso ciò che siamo.

Il secolo dell’Europa 
Nel suo monumentale affresco lo storico britannico Richard J. Evans racconta l’Ottocento, periodo di massima espansione del Vecchio Continente, attraverso le storie e le voci della gente comune
di Simonetta Fiori Robinson 15 2 2020
Ci sono molti motivi per tuffarsi nel fluviale racconto di Richard J. Evans, capace di ritrarre il lungo Ottocento europeo come pochi altri sono riusciti prima di lui. Perché è una storia di uomini e donne, più che un resoconto di processi generali, ossia un grande romanzo sulla condizione umana dove ogni capitolo è aperto non da una conquista militare o un atto politico ma da una voce narrante di gente comune, come possono esserlo uno scalpellino tedesco del Württemberg o un servo della gleba della Russia centrale. E anche quando non sono persone qualsiasi — accade più spesso con le donne, che per lasciare tracce devono aver fatto qualcosa di importante — sono gentildonne illuminate, scrittrici oggi dimenticate, aristocratiche colte e infelici che insieme alle rovine del loro matrimonio fotografano la schiavitù del proletariato inglese negli anni Trenta, la violenza della coeva nobiltà terriera baltica rispetto al più raffinato patriziato austriaco e più in generale una condizione femminile «incatenata nel corpo e nella lingua». E può essere indicativo che a guidarci a grandi cavalcate per quasi mille pagine siano per lo più donne nate bruttine, provviste di nasi ingombranti o volti sgraziati, ma per questo spronate a leggere e studiare le lingue, per supplire con l’erudizione ai mancati requisiti per una nubenda.
Il merito di Evans è quello di farci entrare nelle teste e nelle case di chi animò quella lunghissima epopea divisa in due dalle rivoluzioni del 1848, un secolo che segnò per milioni di persone un indiscutibile progresso ma sempre nei limiti di conquiste parziali e condizionate. E senza mai chiudersi in una prospettiva nazionale — altro grandissimo merito —, ma osservando l’Europa come un’unica regione attraversata da correnti comuni, la lente dello storico tende a valorizzare mutamenti solitamente trascurati, come il diverso rapporto con il tempo, con la dilatazione del passato nell’immaginazione — dovuto alle ricerche scientifiche negli anni Sessanta sull’età della Terra — e la contrazione del presente nella vita quotidiana che sempre più scopre la " fretta" e la " velocità". Così come va cambiando il rapporto con le emozioni e, se nell’età del romanticismo agli uomini era consentito lasciarsi andare al pianto, nella seconda metà del secolo le lacrime cominciano a divenire segno di fragilità, tanto da indurre il genere maschile a nascondere i tumulti emotivi dietro barba e baffi e pelurie di fogge diverse, dai favoriti del Kaiser Guglielmo I al lungo pizzo a due punte dell’Ammiraglio Alfred von Tirpitz. Mentre alle donne, che non possono nascondersi dietro travestimenti pelosi, viene richiesta una maschera glaciale — «la capacità di non battere ciglio» — per potere accedere a università e professioni ritenute virili.
L’Ottocento fu secolo in cui tutti cercarono di conquistare non la gloria ma il potere — da qui anche il titolo scelto da Evans, che a lungo ha insegnato alla Birkbeck University di Londra e a Cambridge. Gli Stati inseguivano il potere imperiale, l’esercito quello militare, i banchieri e gli industriali la forza economica, i servi e i proletari la dignità sociale, le donne i diritti della libertà e dell’eguaglianza. E il potere che l’Europa riuscì a conquistare fu quello sulla natura selvaggia, sull’ambiente ostile, su foreste, fiumi e montagne assoggettati al dominio dell’uomo che vi costruì strade, ferrovie, canali navigabili, rete fognarie, città. Ma insieme all’urbanizzazione, e al rapido aumento dell’uso di combustibili fossili, i cieli di Amburgo e di Londra si colorano di nero e di giallo, a causa della nebbia ispessita dall’inquinamento. Ed è con le dissennatezze di questo mutato rapporto tra l’uomo e l’ambiente che oggi facciamo i conti e sembra quasi di assistere alla rivincita della natura che si riprende il suo potere sugli esseri umani. Quello raccontato con ammirevole sapienza narrativa da Evans è anche il secolo che celebrò il punto più alto dell’egemonia europea nel mondo, il cui declino sarebbe cominciato nelle trincee della Grande Guerra. Ed è l’ultimo capitolo a raccontarci l’origine di quell’ideologia razzista che ancora resiste negli anfratti più oscuri dell’attuale scena europea, il sentimento di superiorità dell’uomo bianco sui sudditi africani e asiatici, considerati feccia dell’umanità. E chissà se è un caso che il racconto sui crimini imperiali venga introdotto dall’italiano Giovanni Belzoni, l’uomo più forte del mondo, noto alle cronache per la sua capacità di spezzare catene di ferro, di piegare barre di acciaio e di sollevare sulle sue spalle dodici ometti su un’intelaiatura d’acciaio. Fu al nerboruto circense che il console britannico Henry Salt diede l’incarico di trasportare in Inghilterra il colossale busto di Ramsete, impresa che consente a Evans di farne il simbolo più smaccato del saccheggio europeo nei templi egizi. Morirà povero, nella zona del Benin, per un fatale attacco di dissenteria.
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