domenica 9 febbraio 2020

"Fake" di Christian Salmon: dopo la frantumazione, la guerra di tutti contro tutti

Christian Salmon: Fake. la politica mondiale ha divorato sé stessa Laterza pagg. 203 euro 19

Benvenuti nell’era dello scontro 
Nella comunicazione politica, archiviato il tempo dello storytelling, ci resta solo un mondo fatto di “ noi” e “ loro” Come spiega l’ultimo saggio di Christian Salmon 
di Stefano Bartezzaghi Robinson 8 2 2020
Sentendosi in vena di progettare un inferno letterario uno scrittore immaginò un sultanato nel quale ogni singolo sogno di ogni singolo suddito venisse trascritto e studiato al fine di scongiurare ogni singolo germoglio di rivolta, estirpandone le radici già nel preconscio. Nel 1981 in cui Ismail Kadarè pubblicò il suo Palazzo dei Sogni la storia che narrava era una nera immaginazione; oggi, « nell’era dei big data e dell’algoritmica » , è un banale dato di fatto. Lo afferma Christian Salmon, nell’incipit non propriamente consolatorio del suo nuovo libro, L’Ére du Clash ( la traduzione italiana di Luca Falaschi per Laterza però si intitola Fake. Come la politica mondiale ha divorato sé stessa). Miliardi di inconsci individuali generano i loro sintomi nevrotici: sono le scelte, le pulsioni e le preferenze che affidiamo via screen touch ai social network. Appena le rendiamo digitali, e quindi computabili, sono computate: grazie a loro, l’algoritmo comporrà « un mondo a nostra immagine » . Come quello di Kadarè, anche il nostro attuale inferno ha la funzione di «annettere e assorbire il possibile».


Più di dieci anni fa Salmon ha mostrato come lo storytelling era sì una futile moda lessicale ma anche e soprattutto una forma tanto cruciale quanto criticabile della comunicazione politica. La moda è sbiadita da tempo, la forma sta declinando ora, e Salmon lo mostra anche con approfondimenti rapidi e aguzzi sulle traiettorie di Donald Trump, Matteo Renzi, Emmanuel Macron, Yanis Varoufakis. Per spiegarsi la rapidità di certi processi è saggio tenere in considerazione un dato fornito anni fa da Eric Schmidt, presidente della società madre di Google, a proposito della disponibilità del combustibile necessario alla macchina infernale dell’algoritmo, cioè l’informazione. Cinque exabyte ( miliardi di miliardi di byte) sono la misura della quantità di informazione linguistica prodotta dall’umanità dall’origine al 2003; nel 2011 ne producevamo altrettanti ogni due giorni; nel 2013 ogni due o tre ore.


Sottoposto a una simile accelerazione, il ventennale modello dello storytelling si è deformato. Anche le storie, infatti, hanno una storia. Come insegnava Jean-François Lyotard, c’erano una volta le “grandi narrazioni”, come l’illuminismo, il liberalismo, il marxismo: sovraindividuali, stabilivano appartenenze e si proponevano di dotare di senso gli eventi passati, presenti e futuri. Dopo il loro tramonto è subentrato lo storytelling, che ha provvisto racconti minori, duttili e adattabili a contingenze assai più effimere, e assai meno imbarazzanti da abbandonare al loro scadere. Oggi però persino i racconti minori sono diventati inadeguati. Un racconto deve avere un capo, un corpo e una coda, e per i ritmi dell’algoritmo ciò è poco maneggevole; il tempo che richiede per essere seguito e compreso esorbita la disponibilità delle nostre impazienze; infine, quel che più conta, il loro narratore non è più credibile.


La nozione di narrazione è fortemente ambigua, perché può essere intesa come la classica affabulazione ( è successo qualcosa e ora te lo racconto) o come una ben più pregnante costruzione (ti dico come vedo il mondo). L’illusione che narrare sia un neutro descrivere non può reggere a lungo. Infatti oggi dubitiamo di tutto: massimamente, dei racconti.


Diffidenti di tutto, siamo tuttavia più creduloni di prima: insorgenze spontanee, frammentarie, choccanti ci incantano col loro luccichio di strass. Alla velocità proliferante dell’informazione pare corrispondere il trasferimento delle decisioni dal livello conscio a quello preconscio, istintivo o pulsionale. Al racconto ritmato ma disteso di Barack Obama si sono sostituiti i segmenti interiettivi e non consequenziali di Donald Trump. Berlusconi, Bersani e anche Renzi avevano “ narrazioni”. Ma Salvini? Meloni? Zingaretti? Grillo? Cosa ci raccontano, cosa fanno per ottenere seguito? Salmon risponde che siamo entrati nell’era del « clash permanente » : lo scontro, la collisione o anche il dissidio ( a cui proprio Lyotard intitolò un suo importante libro, nel 1983).


Ogni storia è un edificio le cui fondamenta poggiano su una contrapposizione, che a volte è anche un suo tema esplicito (come accade perlopiù nella tragedia classica, per esempio nell’Antigone, fra legge divina e legge umana). Ora abbiamo abbandonato e lasciato decadere l’edificio: ci basta il nudo dissidio su cui si basava. L’attuale discorso politico funziona infatti all’inverso del percorso generativo tracciato dalla semiotica: non si parte più dallo scontro fra Bene e Male per ottenere la Bibbia ( o la saga di Harry Potter). Al contrario si parte dalla complessità del mondo per sfrondarla e sostanzialmente abrogarla, lasciando in campo solo buoni e cattivi, nella fissazione identitaria che non ammette più evoluzioni, sviluppi, in una parola storie. “ Noi” e “ loro”, eserciti “di pace” e jihadisti, italiani e immigrati, disoccupati e banchieri, vittime e killer. In un libro denso di osservazioni acute e cupi umori, Salmon lo dice persino in anagramma: « Ormai viralità e rivalità vanno di pari passo». © RIPRODUZIONE RISERVATA

Nessun commento: