Alexander Jones: La macchina del cosmo. La meraviglia scientifica del meccanismo di Anticitera, Hoepli, Milano, pagg. 338, € 24,90
Risvolto
Rinvenuto casualmente da pescatori di spugne nel 1901 al largo dell'isola greca di cui porta il nome, il meccanismo di Anticitera si presentava come un insieme di resti corrosi e malconci di un dispositivo a ingranaggi risalente all'antica Grecia. Dal giorno della scoperta a oggi, gli esperti sono riusciti a ricostruirne la struttura e il funzionamento, combinando osservazione diretta, strumenti radiografici sempre più potenti e surface imaging. Il meccanismo riproduceva di fatto l'universo così come lo concepivano i Greci, era una macchina dotata di una mezza dozzina di quadranti per illustrare le orbite nello spazio di Sole, Luna e pianeti, e i conseguenti cicli del tempo. Nella Macchina del cosmo, il meccanismo di Anticitera diventa la chiave per capire l'astronomia e la tecnologia dell'antica Grecia e il loro ruolo nel contesto socioculturale grecoromano. Considerato a lungo un congegno eccentrico per l'epoca, le ricerche più recenti hanno mostrato che si tratta in realtà di una macchina del cosmo concepita in tarda età ellenistica sulla base di raffinate, consolidate e diffuse conoscenze meccaniche e astronomiche. Oltre a essere un capolavoro nel genere delle macchine strabilianti, create per imitare la natura senza rivelare il proprio funzionamento allo spettatore, il meccanismo era anche una sorta di manuale animato di divulgazione scientifica.
Giovanni Di Pasquale: Le macchine nel mondo antico. Dalle civiltà mesopotamiche a Roma imperiale, Carocci, Roma, pagg. 241, € 18
Risvolto
L'antichità è immaginata come un'epoca di straordinaria fioritura artistica e architettonica, letteraria e filosofica. La presunta marginalità delle conoscenze scientifiche, l'incapacità di porre in proficua relazione scienza e tecnica, oltre all'ampia disponibilità di schiavi, hanno costituito i pilastri della resistentissima tesi della "stagnazione tecnologica" del mondo antico. L'autore cerca di confutare tale ipotesi mettendo a frutto studi e ricerche degli ultimi anni. L'antichità, epoca in cui tutto venne ideato dal nulla, è caratterizzata dalla presenza di personaggi capaci di costruire e adoperare strumenti per portare a compimento sfide a lungo apparse come sogni impossibili. Vasche per la premitura delle uve, torchi, macine, gru, ruote idrauliche, dispositivi da guerra e per il teatro definiscono il paesaggio del Mediterraneo come un vero e proprio "paese delle macchine".
Viaggio in una civiltà tecnologicamente avanzata
Con una notevole padronanza delle fonti primarie e avvalendosi dei risultati delle ricerche condotte negli ultimi anni, Giovanni Di Pasquale smentisce questa tesi. E ci racconta una storia diversa, dalla quale l’antichità emerge come una realtà assai dinamica, dove le conoscenze scientifiche e tecnologiche rivelano un grado di sviluppo più elevato di quanto si pensi.
Certo, delle macchine antiche non si è conservato quasi nulla, essendo fatte prevalentemente di legno e di corde di nervo, ossia di materiali deperibili. E la stessa sorte è toccata agli strumenti scientifici, come quelli impiegati nell’osservazione astronomica, che erano molto più delicati e dunque ancor meno resistenti.
Ma qual è dunque l’immagine che dobbiamo farci delle civiltà che si affacciavano sulle sponde del Mediterraneo durante l’epoca classica, ellenistica e romana? Di Pasquale non ha dubbi. Già dal III secolo a.C., un viaggiatore che avesse attraversato in lungo e in largo questo grande mare si sarebbe trovato di fronte a un paesaggio che era stato costruito e trasformato dall’uomo: vasche per la premitura delle uve, ruote idrauliche, torchi a leva, macine, segherie per il taglio delle lastre di pietra, gru, botteghe, officine, cantieri edili e navali. Ma si sarebbe anche imbattuto negli spettacolari teatrini di automi, così come in torri d’assedio mobili, catapulte e baliste, che venivano sfoggiate negli arsenali del tempo, smontate e pronte per essere assemblate.
Il libro di Giovanni Di Pasquale è una sorta di invito al viaggio tra le isole e le penisole che si addentrano nel Mediterraneo, che non esita a definire il «paese delle macchine». Tra il III secolo a.C. e il I secolo d.C., Archimede, Filone di Bisanzio, Vitruvio ed Erone di Alessandria ci hanno lasciato testimonianze preziose sui principi che ne governavano il funzionamento e il processo costruttivo. Ma le loro opere rappresentano l’elaborazione più alta, l’ambizione teorica, dietro cui si celano le fondamentali esperienze di generazioni e generazioni di tecnici rimasti anonimi, di quelli cioè che le macchine e gli strumenti li facevano con le loro mani. Se ci si dimentica di questi tecnici, della perfezione esecutiva da essi raggiunta, osserva Di Pasquale, i complicati congegni pneumatici e i raffinati meccanismi a ingranaggi astronomici continueranno a essere considerati oggetti misteriosamente estranei alla civiltà antica.
Giovanni Di Pasquale non si limita a presentare un’analisi dettagliata, approfondita e perspicace della scienza e della tecnologia antica. Ci invita anche, facendo proprio l’insegnamento di Braudel, a rivolgere uno sguardo «ai gesti ripetuti, alle storie silenziose e quasi dimenticate dagli uomini, alle realtà di lunga durata il cui peso è stato immenso, ma il rumore appena percettibile». Sono i «gesti» e le «storie silenziose» di tutti quegli artigiani del passato che sono rimasti senza nome e che, costruendo macchine e strumenti, hanno realizzato sogni e vinto sfide considerate impossibili.
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