venerdì 14 febbraio 2020
L'estremismo di sinistra e il carattere fumantino spinsero Mussolini a imporre una dittatura socialista in Italia. L'esito della scuola defelicina nel libro di Emilio Gentile
In questo articolo l’autore presenta il suo prossimo libro, Quando Mussolini non era il Duce (Garzanti, Milano, pagg. 396, € 20): sarà in libreria da giovedì 13 febbraio
L’avventuriero di tutte le strade
Mussolini giovane. Si proclamava socialista e faceva il giornalista, il propagandista, l’agitatore e promotore di scioperi. Scalpitava nell’oscurità della provincia, a Forlì, sconosciuto nel suo stesso partito
Emilio Gentile Domenicale 9 2 2020
Il
29 gennaio 1919, in un articolo su «Il Popolo d’Italia», Benito
Mussolini si vantò «sinceramente» di essere diventato «un cinico
insensibile oramai, a tutto ciò che non sia avventura». Il 14 marzo,
sullo stesso giornale, si definì un «avventuriero di tutte le strade».
Sette
anni prima, l’11 marzo 1912, mentre era in carcere a Forlì, dove
scontava una condanna per aver organizzato moti violenti contro la
campagna coloniale italiana in Libia, Mussolini scrisse una breve
autobiografia. Nell’ultimo capitolo così riassumeva la sua vita: «Ho
avuto una giovinezza assai avventurosa e tempestosa. Ho conosciuto il
bene e il male della vita. Mi sono fatto una cultura e una salda
scienza. Il soggiorno all’estero mi ha facilitato l’apprendimento delle
lingue moderne. In questi dieci anni ho deambulato da un orizzonte
all’altro: da Tolmezzo a Oneglia, da Oneglia a Trento, da Trento e
Forlì».
A Forlì, Mussolini era stato nominato, all’inizio del
1910, segretario stipendiato della Federazione socialista e direttore de
«La lotta di classe», organo della stessa da lui fondato. Aveva
iniziato l’attività politica come giornalista e agitatore a venti anni,
nel 1902: nel 1912, al momento di uscire dal carcere, la politica non
era ancora diventata per lui la scelta della sua vita, ma solo un modo
per guadagnarsi da vivere e mantenere la propria famiglia.
L’autobiografia si concludeva con queste parole: «Sono tre anni che mi
trovo a Forlì e sento già nel sangue il fermento del nomadismo che mi
spinge altrove».
L’avventurosa vita da nomade aveva attratto
Mussolini fin dall’adolescenza. A diciotto anni, ancora studente, chiuso
nel suo borgo nativo di Predappio, il 4 aprile 1901 confidava ad un
compagno di scuola: «Altri patisce la nostalgia della parete e del lembo
di terra, io patisco nell’aspirazione universa». Conseguito il diploma
di maestro, non sopportò di fare l’insegnante in provincia: «Sempre la
mia indipendenza fu violentata quando non da gl’individui dai gruppi»,
scriveva il 12 marzo 1902. Il 9 luglio, migrò in Svizzera in cerca di
lavoro e di avventura.
Socialista fin da ragazzo, per influenza
del padre Alessandro, uno dei fondatori del socialismo in Romagna alla
fine dell’Ottocento, il giovane migrante, nei due anni di soggiorno in
Svizzera, fece vari mestieri ma svolse soprattutto attività di
giornalista, conferenziere, propagandista e agitatore fra i lavoratori
italiani. «Introdottomi nell’ambiente socialista e operaio, fui
conosciuto e apprezzato», raccontava nell’autobiografia. Una volta fu
arrestato per vagabondaggio, un’altra volta ancora per aver promosso uno
sciopero. Il 28 luglio 1903 da Losanna, scriveva a un amico: «Non so se
tu abbia saputo coi giornali, delle mie recenti avventure. Arresto,
carcere, sfratto». E il 9 agosto gli scriveva: «Pensavo di tornare in
Italia, quando forse andrò a New York come redattore di un giornale
quotidiano “Il Proletario” al quale – già da mesi – do la mia
collaborazione retribuita». Alla fine del 1903, tornato a Predappio per
le condizioni di salute della madre, scriveva allo stesso amico:
«Risolta la crisi in bene, come lo spero e m’auguro, o in male, io
tornerò per il mondo … alla fine di novembre farò un’altra volta le
valigie – ancora verso l’ignoto. Il movimento è divenuto un bisogno per
me; fermo, crepo».
Andò di nuovo in Svizzera, a Ginevra. Ma non
vi rimase a lungo: infatti, il 18 aprile 1904 nella cronaca del giornale
romano «La Tribuna», si leggeva che dal cantone ginevrino era stato
espulso «il socialista italiano Mussolini, romagnolo, che era da qualche
tempo il grande duce della locale sezione socialista italiana». Decise
di tornare in Italia, alla fine del 1904, perché, dopo la nascita
dell’erede al trono di Savoia, fu concessa un’amnistia nella quale era
compreso anche il reato di diserzione semplice, per il quale Mussolini
era stato condannato a un anno di reclusione.
Nel 1909 era a
Trento, segretario stipendiato e direttore dell’organo del Segretariato
del Lavoro, e nello stesso periodo collaborò al giornale di Cesare
Battisti, deputato socialista a Vienna. Però a un amico aveva confidato
il 26 febbraio: «Tu ben comprendi che io non sono affatto lieto della
mia posizione attuale. Non invecchierò quale stipendiato del partito
socialista austriaco – oh, no – quando saprò strimpellare il violino –
girerò il mondo piuttosto che vivere agli ordini dei nuovissimi padroni.
Scrivo articoli di quinta colonna sul “Popolo” – socialista – ma di
proprietà del dott. Battisti e non è improbabile che mi venga offerta la
redazione. Accetterei. Quanto al mio avvenire non ho piani fissati.
Vivo, come sempre, alla giornata». E aggiungeva di aver messo degli
avvisi sui giornali offrendosi «quale insegnante privato di lingua
francese. Se riesco a vivere con questo mezzo, rinuncio al segretariato,
subito».
Espulso dal Trentino il 26 settembre del 1909, rientrò a
Forlì, dove continuò a vivere alla giornata, guadagnando qualcosa con
traduzioni, articoli, opuscoli, un romanzo a puntate per il giornale di
Battisti. Il 12 novembre scriveva all’amico: «sono stanco di stare a
Forlì, sono stanco di stare in Romagna, sono stanco di stare in Italia,
sono stanco di stare al mondo (intendo l’antico, non la lacrimarum valle).
Voglio andarmene nel nuovo. Mi seguirai se farò, come spero, fortuna».
Alla fine del 1909, informò l’amico di aver trovato da vivere
«ricacciandomi nel lavoro giornalistico»: «Col Gennaio dirigerò un
settimanale socialista a Forlì. Sarà l’organo della Federazione Comunale
Socialista Forlivese».
Nonostante un’intensa attività di
giornalista, organizzatore, propagandista, agitatore, promotore di
scioperi, e il successo di veder aumentare lettori e iscritti, a Forlì
Mussolini scalpitava perché costretto a vivere nell’oscurità della
provincia, sempre irrequieto per «quel non ancora vinto spirito di
nomadismo che mi pungola sempre verso nuovi orizzonti», come lui stesso
confessava in un articolo del 1 luglio 1911. Era allora sconosciuto al
di fuori della provincia, e nel suo stesso partito. Alla fine dell’anno,
mentre nel carcere a Forlì attendeva di essere processato, Mussolini si
sentiva sconfortato e incerto sul futuro.
Probabilmente, nel
marzo 1912, Mussolini non era ancora convinto che la politica sarebbe
stata l’attività – vocazione o professione – per il resto della sua
esistenza. Il nomade avventuroso chiudeva il racconto della sua vita
nell’incertezza del futuro: «Io sono un irrequieto, un temperamento
selvaggio, schivo di popolarità. … Che cosa mi riserba l’avvenire?».
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