lunedì 16 marzo 2020
Una storia del Giappone: Harding. Abe, Ingram e i ciliegi
Naoko Abe: Passione sakura, Bollati Boringhieri, Torino, pagg. 432, € 18,50
Innamorarsi tra i ciliegi
Verdissimo. La storia di Collingwood «Cherry» Ingram che nell’800 riuscì a evitare l’estinzione della pianta-simbolo del Giappone provocata da un’assurda politica nazionale
Antonio Perazzi Domenicale 22 03 2020
Di
solito incontro il pianista Takahiro Yoshikawa in corso Garibaldi a
Milano dopo che abbiamo portato i nostri figli a scuola, mentre io vado
in studio attraversando il parco con il mio cane, lui cammina
reggendosi un braccio dietro la schiena, con la postura elegante di chi
sembra assoribire il mondo che lo circonda con lo stupore dell’artista.
Nei giorni milanesi d’isolamento, Taka posta su Instagram la foto di un
cortile con un albero fiorito visto attraverso la sua finestra milanese.
È la stagione: i ciliegi stanno tornando a fiorire e io sono
contento perché nell’ultimo anno è germogliata una nuova primavera per
la botanica. Recentemente la mostra Trees ha celebrato gli alberi alla Fondation Cartier di Parigi e alla Serpentine Gallery di Londra è attualmente in corso Cambio.
Inoltre quest’anno si annuncia essere speciale per la fioritura dei
ciliegi, come lo è stato per altre piante precoci: calicanti e hamamelis hanno
profumatamente fatto bella mostra di sé già nei primi giorni del nuovo
decennio. E questo non è un dato scontato, perché le piante variano la
durata e la bellezza della loro fioritura di anno in anno.
Vedere
tanta grazia in un’epoca di radicali incertezze apre davvero il cuore,
specialmente tenuto conto che nelle settimane scorse sono stati
registrati venti gradi sopra lo zero presso la base argentina
nell’Antartico: un record inaudito. Mi chiedo se le riprese dei canali
di Venezia con l’acqua limpida, le immagini dei satelliti di una pianura
padana senza inquinamento, serviranno a farci spostare ulteriormente lo
sguardo sulla natura. Già prima, per effetto collaterale del panico
ambientale molti sembrano essersi improvvisamente accorti che esistono
le piante, e perfino che sono organismi viventi e non più solo vegetali.
Le amministrazioni costruiscono più giardini, si piantano più alberi,
eppure, ogni inverno, c’è ancora chi si meraviglia per la fioritura
fuori stagione di certi ciliegi dal nome difficile: Prunus subhirtella Autumnalis. Ma non fanno lo stesso anche corbezzoli e nespoli? Pochi sanno che anche se si tratta di un Prunus,
è normale fiorisca in questa stagione anzi, a dire il vero, lo fa
sempre, quasi ininterrottamente: dall’autunno alla primavera. Nulla di
cui preoccuparsi, questo bel ciliegio dall’aspetto apparentemente
fragile non è impazzito o, almeno, non lo è più di noi che ci ostiniamo a
osservare le piante solo con i nostri occhi di uomini. Eppure gli
alberi sembrano desiderare comunicare con noi anche solo con la loro
sublime e composta bellezza, sono inguaribili messaggeri di speranza:
ma come fanno a sopravvivere nelle città? Al pari del nostro cuore, sono
muscoli involontari, compiono una vita parallela alla nostra
permettendoci di vivere.
Una primavera andai in Giappone con una giovane ragazza affascinante, appassionata di arte e di natura: la stagione dell’hanami (da hana, fiore, e mi,
vedere) era appena iniziata, avevamo organizzato un tragitto per
seguirne l’evoluzione. Spostandoci a Nord siamo riusciti a mettere in
pratica la teoria della relatività. Per natura i ciliegi hanno periodi
di fioritura sfasati, e se tutti quelli che abbiamo visto fossero stati
nello stesso giardino, saremmo dovuti restare fermi due mesi, invece,
spostandoci da Sud a Nord, li abbiamo potuti ammirare in pochi giorni.
Mentre a Okinawa scoprivamo le fioriture tardive, in Hokkaido ci siamo
deliziati con i mume e altri ciliegi, precoci e ritardatari allo stesso tempo.
Al
nostro ritorno avevamo portato con noi una decina di minuscole piante:
ce li avevano venduti dentro piccoli barattoli riciclati dello yogurt
riempiti con una manciata di terra. Con loro abbiamo iniziato una
piccola collezione nel nostro giardino, a Piuca, in Toscana. Da specie
selvatiche del mitico monte Yoshino e a quelle più rare (P. spachiana, serrulata, yedoensis, campanulata), dagli ibridi preziosi Jagatsu, Yamataka-jindai, al comunissimo Somei-Yoshino.
Poche,
pochissime piante rispetto alle centinaia passate tra le mani del
grande Collingwood “Cherry” Ingram (1880-1981). Sono stato sedotto dal
profumo speziato dei Prunus mume dalla prima volta che l’ho
sniffato, ma non avrei mai sospettato che sarei stato sedotto anche da
quella bella ragazza che mi aveva accompagnato in Giappone, soprattutto
non immaginavo che avremmo chiamato nostra figlia proprio col nome di
quel Prunus che ci aveva uniti: Mume.
Che gli alberi
dialoghino tra loro e con l’ambiente circostante ormai è un dato
scontato, ma che lo facciano anche con gli uomini rimane ancora un
mistero, proprio come nel dettaglio della mano vegetata del celebre
quadro di Apollo e Dafne di René-Antoine Houasse, nel castello di
Versailles, o come la magia della nevicata di petali che, oltre il muro
di cinta del Ry?an-ji, a Kyoto, cade sulla ghiaia del più celebre
giardino del Giappone che, per l’appunto, non ha fiori ma solo pietre,
ghiaia e petali portati dal vento in pochi attimi eterni.
Lo
sapeva invece Cherry che è stato il più grande esperto, e anche il più
grande collezionista, di ciliegi da fiore di tutti i tempi. La sua
storia è descritta nel bel libro Passione Sakura uscito da
Bollati Boringheri, intrecciandola a quella personale dall’autrice: la
giornalista Naoko Abe. Sono un accanito lettore di libri autobiografici
sulla natura: da L’estate della collina di John Alec Baker a L’anello di re Salomone di Konrad Lorenz, a La mia famiglia e altri animali di Gerald Durrell, da Danny il campione del mondo di Roald Dahl a L’avventura di un giardiniere di Peter Smithers, fino a L’educazione di un giardiniere di
Russell Page. Era però da tempo che non mi entusiasmavo così nella
lettura di un libro in cui spontaneamente si innestano per
approssimazione la vita delle piante e degli uomini. E questa è la
botanica che amo.
Col pretesto dei fiori si capisce finalmente
l’affascinante cultura giapponese della natura e la chiave di lettura è
la vita di Ingram, che con la sua passione per i ciliegi, ma anche per
l’ornitologia e il giardino naturale alla William Robinson, crea un
ponte tra Oriente e Occidente, senza perdere occasione di declinare
l’irraggiungibile passione anglosassone per le piante.
Rossella
Menegazzo, docente di Storia giapponese all’Università Statale di
Milano, sa tutto del Sol Levante: è il mio punto di riferimento: «...
nel rotolo de Il racconto di Genji del 1100, ci sono
illustrazioni che ritraggono un giardino di ciliegi. Nelle stampe di
Utagawa Hiroshige, quella che mi emoziona di più è lo scorcio
assonometrico di Yoshiwara con i ciliegi illuminati dalla luna nella vie
con le case da tè, le locande, e le cortigiane che passeggiano. Poi ci
sono tutte le decorazioni a tema petalo di ciliegio che esprimono il
coraggio dei samurai, il sacrificio dei kamikaze e dall’antichità
arrivano fino ai giorni d’oggi come classico per i tatuaggi moderni».
I
primi tre occidentali che risiedettero in Giappone per studiarne la
flora hanno una storia che li unisce tutti a un luogo: Dejima
(letteralmente: isola di uscita), un minuscolo lembo di terra
artificiale davanti a Nagasaki. Fu l’unico posto dove era concesso loro
stare durante la lunga epoca Sakoku dell’isolazionismo. Kaempferii, Thunbergii, Sieboldii:
ci sono molte piante stupende che portano ancora questa dicitura nel
loro nome, celebrando l’opera di catalogazione di questi tre grandi
maestri: sono iris, gardenie, magnolie e non solo. Ma l’opera di Ingram
non è da meno, perché con lo studio dei ciliegi si rese conto che la
strumentalizzazione nazionalista giapponese era finita per limitare il
ricco patrimonio dei ciliegi a poche specie. Negli anni Venti, l’ibrido Somei-Yoshino,
preso a simbolo del nuovo Giappone, era finito per scalzare la gran
parte delle altre varietà fino a occupare oltre l’80% di tutti i sakura (letteralmente
bocciolo di ciliegio) presenti sul territorio, ci volle Cherry, con la
sua caparbia catalogazione, per riscoprire le varietà più antiche
preservandole dalla caduta nell’oblio. Nel 1826, quando Philipp Von
Siebold fu costretto ad abbandonare la sua gabbia dorata di Dejima, fece
erigere un monumento con un tributo per i suoi predecessori Kampfer e
Thunberg con questa frase: «Ecce! Virent vestrae hic plantae florerentque quotannis»
(Ecco! Le vostre piante cresceranno e fioriranno qui, anno dopo anno).
All’inizio del Duemila, Naoko Abe si ritrova qui, sotto quel monumento, e
pensa subito a Cherry che ha salvato i ciliegi da fiore da politica,
guerre e modernità e grazie a lui, ancora una volta oggi , torneranno a
fiorire i sakura. © RIPRODUZIONE RISERVATA
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