domenica 19 aprile 2020
60 anni di Brasilia
Brasilia, una capitale tra utopia e critiche
Metropoli. La città di Lucio Costae Oscar Niemeyer inaugurata 60 anni fa
Marco Sammicheli Domenicale 3 5 2020
Brasilia
fu inaugurata il 21 aprile del 1960 per volere del presidente Juscelino
Kubitschek. Il piano urbanistico porta la firma di Lucio Costa con la
supervisione di Oscar Niemeyer, architetto capo e autore della gran
parte degli edifici pubblici. Il progetto vincitore del concorso per la
nuova capitale del Brasile prevedeva un piano per 200mila persone.
Sessant’anni dopo la città ha raggiunto quasi tre milioni di abitanti e
non sono poche le difficoltà gestionali, le disuguaglianze sociali e il
tramonto degli ideali che deve affrontare. «La costruzione di questa
città - scrisse Lucio Costa nella Memória descritiva do Plano piloto,
la relazione di progetto - costituisce un atto deliberato di presa di
possesso, il gesto del pioniere che agisce secondo le sue tradizioni
coloniali e la domanda rivolta a ogni partecipante al concorso è come
una città di questo tipo possa essere concepita. Una tale città non deve
essere pensata semplicemente come un’entità organica, in grado di
funzionare senza sforzo, come una qualsiasi città moderna; non come urbs, ma come civitas,
dotata delle virtù e caratteristiche proprie di una città capitale».
Già dopo l’inaugurazione, alla verifica della sua utilità emerse una
mancanza di attenzione agli aspetti sociali che col passare dei decenni
si è acuita nella disparità tra grandeur e possibilità di
appropriazione da parte delle diverse comunità insediate in città.
Eppure essa ha rappresentato la base, tra lotte e sacrifici, tra miti
salesiani e slanci propagandistici, per l’uscita da una condizione di
sottosviluppo.
Dispersa e compatta, rurale e urbana, nel vuoto
territoriale dell’arido altopiano del Planato, Brasilia dispiega le ali
all’incrocio di due assi dove le estremità di uno dei due sono curvate
adattandosi alla topografia del terreno. Brasilia riproduce i caratteri
di un paesaggio silenzioso. Un asse monumentale e un asse residenziale
diedero vita a un progetto molto osteggiato. Gli investimenti generarono
una pesante inflazione ma plasmarono un soggetto paesaggistico dove le
architetture di Niemeyer sono monumento e spazio pubblico. William
Holford, membro internazionale della giuria, nel 1957 scriveva su The Architectural Review
che «dopo il concorso uno dei commenti della stampa faceva rilevare che
Costa spese 25 cruzeiros per guadagnarne un milione (a tanto ammontava
il primo premio). Ma con questa spesa - appena un decimo di quel che
occorre ai nostri giorni per acquistare un buon dipinto impressionista
francese - il governo brasiliano ha fatto uno dei migliori investimenti
di questo secolo in materia di pianificazione urbana».
«L’opera
di Niemeyer - ha commentato l’architetto Paulo Mendes da Rocha - non è
solo quello che è in sé, ma ha un valore enorme come riflessione
sull’architettura. Con una capacità, a mio parere sorprendente, di
appropriarsi della cultura popolare, non tanto del classicismo barocco,
come spesso viene detto: in ogni sua opera io vedo una lotta tra rigore
tecnico strutturale e il barocco, un barocco che ha a che vedere con la
musica, una sorta di imprevisto».
Non mancarono i detrattori.
Rogers, Zevi, Gropius addirittura parlò degli «inganni di Niemeyer»,
Ohye di «uno scultore che disegna plasticamente edifici». Pier Luigi
Nervi - che a Brasilia nel 1976 costruì l’ambasciata d’Italia - nutrì
ben più di un sospetto di formalismo e sulle pagine di Casabella mosse
una critica sul «rapporto forma/struttura artificiosamente invertito,
arbitrario e audace al limite dell’impossibile». Richard Neutra invece
parlò di «miracolo di progresso costruttivo, un punto culminante di una
meravigliosa iniziativa, tanto rara in un mondo di sforzi disordinati».
Brasilia per Niemeyer fu libertà e rigore, ogni edificio determinava il
dominio spaziale che gli appartiene rendendolo visibile e unico.
«L’angolo retto, oppure la linea retta, dura, inflessibile inventata
dall’uomo, non mi attraggono. Mi attrae la curva libera, sensuale. Sono
le curve a fare l’universo, l’universo curvo di Einstein».
La
creazione di un immaginario fu un progetto politico ben congegnato, in
architettura, in urbanistica, nel design. Brasilia fu anche
un’utilitaria prodotta da Volkswagen, un carattere tipografico disegnato
da Albert Hollenstein. Fu anche una collezione di arredi, oggi prodotta
e distribuita da Etel. La visione di Brasilia contò su un effetto
domino in diversi settori e latitudini, tant’è che nel 1964, in
occasione della XIII Triennale di Milano dedicata al Tempo libero, per
il padiglione brasiliano Lucio Costa immaginò un ambiente con
quattordici amache e chitarre. Sui pannelli perimetrali una scritta
«Riposatevi» e due viste di Brasilia nel 1957 e nel 1961, «a suggerire
che la stessa gente che passa il tempo libero nelle amache, quando il
tempo stringe, è capace di costruire in tre anni una capitale nel
deserto». Quanto mai attuale questa fiducia nel popolo brasiliano che
oggi è alle prese con un presidente estraneo a quella visione condivisa
di futuro che diede vita a Brasilia, allora giardino di ordine e
progresso.
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