lunedì 13 aprile 2020
Il trattato di Guglielmo di Ockham sulla predestinazione
Riccardo Fedriga, Roberto Limonta (a cura di): Il Trattato sulla predestinazione e prescienza divina riguardo ai futuri contingenti di Guglielmo di Ockham, Città Nuova Editrice, Roma, pagg. 384, € 27
La palestra dell’anima che ci offre Occam
I
teologi oggi non parlano volentieri di predestinazione, anzi. Con il
termine hanno più confidenza gli storici della filosofia; o almeno
quelli che, per esempio, devono occuparsi di Leibniz. Nella prima parte
della sua Teodicea - opera nata dopo le conversazioni che il
pensatore ebbe con Pierre Bayle e Sofia Carlotta di Hannover - si legge
che la predestinazione implica «una destinazione assoluta e anteriore
alla valutazione delle azioni buone o cattive di coloro che considera».
La qual cosa, detta in soldoni, significa che è una dottrina secondo cui
tutti gli avvenimenti della vita, compreso il suo destino eterno, sono
stabiliti in anticipo dalla divinità.
Voltaire, maleducato con le grandi autorità della teologia e del pensiero, riprende il concetto nell’opera Histoire de Charles XII,
ritenendolo un «dogma che giustificava la temerarietà del sovrano»;
quindi, con rara grazia retorica, lo fa coincidere con il fatalismo. E
qui il tema, anziché definirsi, si dilata: gli antichi sul fato la
sapevano lunga, prima che l’apostolo Paolo scrivesse nella Lettera agli Efesini
come gli uomini siano «stati predestinati secondo il piano di colui che
tutto opera efficacemente conforme alla sua volontà» (1,11).
La
predestinazione nasce nel mondo pagano con le Moire greche, che
diventeranno le Parche dei romani, e le Norne norrene. Sarà resa
cristiana da Agostino nel De praedestinatione: sostenne che la
scelta compiuta da Dio di coloro che si salveranno fu fatta prima della
creazione. Lutero e Calvino scriveranno che l’uomo non può fare nulla
per la propria salvezza senza la grazia e la volontà di Dio.
Anche procedendo per sommi capi, è inevitabile chiedersi cosa accadde nel Medioevo. Tommaso d’Aquino nella Somma Teologica
- seconda metà del XIII secolo - considera la predestinazione «il
disegno concepito dalla mente divina che mira a indirizzare alcuni alla
salvezza eterna». E nel cinquantennio successivo fiorisce Guglielmo di
Occam (William of Ockham), che nel 1324 fu invitato a scagionarsi ad
Avignone per le sue dottrine sospette e vi fu trattenuto quattro anni.
Riuscì poi a fuggire, insieme al confratello Bonagrazia da Bergamo e al
generale dell’ordine Michele da Cesena, quindi a rifugiarsi presso
Ludovico il Bavaro (che non sopportava papa Giovanni XXII). Occam, tra
l’altro, fu autore di un Trattato sulla predestinazione, scritto
tra il 1321 e il 1324, che ora - con latino a fronte - Riccardo Fedriga e
Roberto Limonta hanno tradotto per la prima volta. Il volume, con ampia
introduzione e ricco apparato di note, offre anche diversi testi
paralleli tratti da opere quali la Summa Logicae, i Quodlibeta o il prologo della Expositio in libros Physicorum.
Le
pagine di Occam sono importanti per capire le discussioni medievali su
fatalismo teologico e compatibilità tra l’intento divino e il libero
arbitrio dell’uomo. Con logica ferrea, pongono questioni sulla
conoscenza certa e infallibile di Dio o - è il caso della Distinctio
39 - «se Dio possa sapere più di quel che sa». Temi fascinosi, dove si
discute anche se Dio riveli cose riguardanti i «futuri contingenti».
Occam
invita a riflettere sulle domande estreme della condizione umana e il
suo scritto, pur uscendo in un periodo in cui siamo costretti alla
cattività (si può comunque trovare sul sito dell’editore o nelle
librerie online che svolgono servizi di consegna), è un esercizio per
mente e anima. Anch’esse, di quando in quando, sentono il bisogno di
recarsi in palestra. Il signor Occam ne gestisce una attrezzatissima.
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