domenica 19 aprile 2020

Lenin nella storiografia dominante e nel senso comune

Il Manifesto, che per vendere qualche copia e seminare meglio confusione continua a usurpare il nome di "quotidiano comunista", a proposito del comunismo condivide in realtà il medesimo giudizio storiografico del Corriere della sera.
Si distinguono solo su quanto fosse stronzo Lenin: totalmente stronzo per il Corriere, solo parzialmente per il Manifesto [SGA].

Lenin, certezze e dilemmi

Intervista. Incontro con Tariq Ali, filosofo e scrittore, autore di «Dilemmas of Lenin» che esplora elementi biografici e politici poco noti
Colombo Alias Manifesto 18 4 2020


Tariq Ali (1943) è uno storico e attivista pakistano residente a Londra. Attivo nei movimenti della nuova sinistra degli anni ’70, redattore della New Left Review, è stato uno dei principali portavoce del movimento no global. In italiano sono state pubblicate molte sue opere tra cui Lo scontro dei fondamentalismi: crociate, jihad e modernità (Rizzoli, 2002 e più recentemente Un’altra storia. Una conversazione sul novecento (Alegre, 2012). La sua ultima fatica, Dilemmas of Lenin è stato pubblicato per i tipi di Verso nel 2017.

Pochi biografi si sono concentrati sul background intellettuale e sentimentale di Lenin. Nella tua riflessione, tuttavia, questo elemento è centrale. Cosa puoi dirci al riguardo?
Ci sono state molte biografie di Lenin. La migliore non è mai stata scritta, a parte il primo capitolo, perché il suo autore, Isaac Deutscher, morì. Il mio I dilemmi di Lenin non è una biografia tradizionale. È piuttosto una riflessione sulle influenze intellettuali e politiche cruciali per la sua formazione. Conosciamo il suo debito nei confronti di Marx ed Engels. Ma che dire per quello della lunga tradizione del 18° secolo dell’anarchismo russo? Non c’è dubbio che tale tradizione colpì profondamente Lenin anche se ne respingeva le premesse e le pratiche, per quanto eroiche. Non scordiamo che a Kropotkin fu riconosciuto un funerale di Stato nell’Urss. Quindi era necessario approfondire quella tradizione che dominò la politica radicale del XIX secolo in tutto il mondo anche se poi ci fu la nascita e la crescita di un movimento laburista e socialista in Europa che presto scavalcò l’anarchismo e in cui Lenin fu impegnato fino alla guerra mondiale.


Per quanto riguarda l’aspetto sentimentale: non fu mai centrale per il rivoluzionario russo, ma fu comunque importante. Il suo amore per Inessa Armand non era un segreto nei circoli bolscevichi. Nadia Krupskaya, ne era a conoscenza e gli offrì quella libertà che egli non si era preso per «ragioni politiche». Sia lui che Inessa ne furono tormentati. Fu solo dopo l’attentato alla sua vita che accettò di non poter vivere senza di lei e iniziò a parlarle e a vederla ogni giorno. Sia Krupskaya che Armand erano femministe impegnate e hanno avuto un enorme impatto su Lenin che considerava le faccende domestiche femminili come una forma di servitù e insisteva su cucine e asili nido comuni per le famiglie lavoratrici.



Lenin è famoso per «l’arte della rivoluzione e dell’insurrezione», ma il tuo «I dilemmi di Lenin» ci raccontano anche i suoi numerosi dubbi ed errori.
La maggior parte degli errori di Lenin furono dopo il 1917 e la guerra civile. Nel 1917 la direzione del partito bolscevico, un’organizzazione preparata per la rivoluzione, dovette essere persuasa, convinta e spinta sulla direzione dell’insurrezione. La base del partito era più radicale e fu essa a sostenere la posizione di Lenin. Ma la chiave di volta fu l’interrelazione dialettica tra soviet e partito. Fu il mutamento del carattere politico dei soviet mentre i bolscevichi conquistavano la maggioranza di essi a Mosca e di Pietrogrado a rendere inespugnabile la posizione di Lenin. Senza di lui, dubito fortemente che avremmo avuto una rivoluzione socialista nell’ottobre 1917. L’alternativa ai bolscevichi era Kornilov e i centoneri sostenuti dall’Intesa e non certo una soluzione democratica «avanzata».

Inoltre, vale la pena sottolineare che non era una questione puramente tecnica per Trotsky (sostenuto in questo caso da Stalin) insistere affinché l’insurrezione fosse organizzata dal comitato militar-rivoluzionario del Soviet. Ciò che è stato veramente unico nella rivoluzione russa non è stato semplicemente il partito rivoluzionario ma la nascita di consigli di operai, contadini e soldati eletti dal basso e rivali della Duma. L’emergere di istituzioni autonome di duplice potere, che possono assumere forme diverse, è il segnale dell’esistenza di un moto rivoluzionario. Da ciò derivò la velocità con cui i capitalisti e le classi agrarie italiane optarono per Mussolini, spaventati dall’ottobre sovietico e dai consigli dei fabbrica di Gramsci a Torino. Non è un segreto che gran parte della borghesia europea preferiva il fascismo a una rivoluzione socialista.

Dopo la guerra civile Lenin decise di introdurre per un periodo il Nep, l’economia di mercato. L’attuale corso cinese aperto da Deng Xiao Ping afferma di fare riferimento a quella lezione, ma le disuguaglianze sociali in Cina sono enormi…
Lenin morì poco dopo la sua introduzione. C’è stato un grande dibattito sull’argomento all’interno del partito con Bucharin che fortemente sostenne la sua estensione e Trotsky e i suoi compagni che ne chiedevano la fine. Stalin assunse una posizione semi-neutrale ma dopo aver schiacciato e sconfitto l’opposizione di sinistra si lanciò in un disastroso assalto alle campagne (da cui l’agricoltura sovietica non si riprese mai veramente) e schiacciò il raggruppamento di Bucharin. Col senno di poi sarebbe stato meglio qualche altro anno di Nep. Sia Bucharin che Trotsky non potevano ancora intendere che un’alleanza tra loro era la necessità del momento.

Per quanto riguarda la Cina, la sua versione del Nep è stata di enorme successo. Il paese è al cuore del mercato mondiale e il capitalismo internazionale sta iniziando a farsi prendere dal panico. I cinesi hanno messo in mora l’idea che capitalismo e democrazia vadano a braccetto. Non è mai stato così, ma i leader cinesi lo hanno dimostrato chiaramente. La questione interessante è ora se il modello cinese è irreversibile o no. Le disparità sociali ed economiche stanno crescendo, non attenuandosi, e ciò spiega l’inasprimento di Xi delle limitazioni alle libertà politiche e la crescente repressione. A volte sembra che l’Imperatore Kiangsi fosse a contatto con i bisogni del popolo più di quanto lo sia Xi e la sua corte.

Pensi che se Lenin non fosse morto nel 1924 la storia dell’URSS avrebbe preso una strada diversa? 
Senza dubbio. Se fosse vissuto per un altro decennio o anche solo per 5 anni il corso storico sarebbe stato diverso. Già nel 1922, Lenin si scusò con i popoli dell’URSS per la situazione del paese e ammise che «non sapevamo nulla» prima della rivoluzione su come gestire una nazione. Nonostante l’isolamento della Russia molte cose sarebbero state comunque diverse con Lenin vivo. Il partito bolscevico e la sua leadership non sarebbero stati decimati, le modalità dell’industrializzazione sarebbero state diverse, all’esterno il partito non si sarebbe imbarcato nelle politiche suicide imposte ai partiti comunisti cinesi e tedeschi, Tuchachevsky sarebbe rimasto al suo posto, solo per fare degli esempi.


Siamo dentro la grande crisi del coronavirus. Molte certezze del capitalismo sono messe in discussione. Lenin sostenne che ci sono giorni che valgono anni: come la sua eredità può essere utile nelle battaglie della prossima crisi sociale ed economica?
Il virus mostra come il capitalismo si prende cura di se stesso. La regressione neoliberale degli ultimi decenni e il culto religioso del mercato che hanno avuto nella Ue un agente e un motore. Il mondo capitalista è stato colto di sorpresa e la sua mancanza di protezioni sociali ha portato a tantissimi decessi, ma non alla morte del capitalismo in quanto tale. Se necessario, lo Stato capitalista può adottare forme socialdemocratiche per affrontare a crisi: lo ha già fatto in precedenza, quando il virus era il comunismo. Ciò che possiamo imparare da Lenin è evitare i pii desideri, i wishful thinking. Non sono possibili cambiamenti reali a meno che non vi sia una forza sociale e politica pronta ad attuarli. La politica deve restare sulla plancia di comando.



Lenin e gli elementi di una rivoluzione

Una crisi mondiale. L’indicazione di trasformare la guerra imperialista in guerra civile
Beolchi Alias 18 4 2020
Al tempo di Lenin la crisi si chiamava guerra mondiale, la più colossale somma di sofferenze di ingiustizie e di distruzione mai vista al mondo. Ma non è sufficiente che la gente soffra perché una crisi per quanto micidiale e profonda si trasformi in una situazione rivoluzionaria. Nel 1915, a un anno dallo scoppio della guerra mondiale, analizzando il collasso della Seconda Internazionale, Lenin scriveva: «Quali sono i segni di una situazione rivoluzionaria? Non sbaglieremo se li indicheremo in questi 3 elementi: 1) l’impossibilità per le classi dominanti di mantenere immutato il loro dominio, questa o quella crisi di coloro che stanno in alto, una crisi della politica della classe dominante che crea la rottura la rottura attraverso la quale irrompe lo scontento e l’ira delle classi oppresse. Perché intervenga la rivoluzione non è sufficiente che coloro che stanno in basso non vogliano più, ma si esige che coloro che stanno in alto non possano più vivere come per l’innanzi; 2) l’acutizzarsi oltre il normale dei bisogni e delle difficoltà delle classi oppresse; 3) un aumento, in seguito alle cose ora indicate, dell’attività delle masse le quali nei momenti di tranquillità si lasciano depredare senza proteste e che nei momenti di tempesta, come in ogni situazione di crisi, sono sospinte a un proprio autonomo intervento, altrettanto quanto coloro che stanno in alto».
Mentre tutte le classi dirigenti e larghissima parte del movimento socialista dell’epoca si compiacevano nell’apologia patriottica della guerra – all’epoca il nazionalismo non si declinava come America first, ma come Dio è con noi, senza con questo modificarne la sostanza – Lenin fu tra i pochi che non solo combatté la guerra, ma lanciò anche una parola d’ordine che suonava più una petizione di principio che una prospettiva per l’azione: trasformare la guerra imperialista in guerra civile.
Lenin e i pochi che in Europa la pensavano come lui, Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht in prima fila, continuarono a denunciare le atrocità della guerra, le ipocrisie e le menzogne diffuse da tutte le parti in lotta e l’ignobile tradimento di quanti avevano proclamato per decenni «proletari di tutti i paesi unitevi!» e ora inneggiavano allo scannamento reciproco.
Lenin per primo non si faceva illusioni. Alla vigilia della rivoluzione russa di febbraio, all’inizio del 1917, esule a Zurigo, tenne una Conferenza sulla rivoluzione russa del 1905. «La rivoluzione che verrà non potrà che essere una rivoluzione proletaria, una rivoluzione proletaria e socialista nel senso stretto della parola e nei suoi contenuti» sostenne, ma avvertì: «noi della vecchia generazione forse non vivremo abbastanza per vedere le battaglie della rivoluzione in arrivo»… Meno di un mese dopo a Pietroburgo scoppiò la rivoluzione…
Mentre si dava da fare per rientrare in patria, Lenin inviava ai compagni a Pietroburgo una serie di lettere, conosciute come Le lettere da lontano. «La prima rivoluzione generata dal mondo capitalista è scoppiata. La prima rivoluzione, ma non certamente l’ultima. Ed era naturale che la crisi scoppiasse prima che altrove in Russia, dove la disorganizzazione era più spaventosa e il proletariato più rivoluzionario, non in virtù di chissà quali speciali qualità, ma a causa delle tradizioni vive del 1905. Non ci sono miracoli nella natura o nella storia… L’onnipotente regista, il grande acceleratore della storia è stata proprio la guerra mondiale imperialista…» scrisse in una di queste.
Quando arrivò in Russia, all’inizio di aprile, lo accolsero con fastidio, come fosse un pazzo anche molti bolscevichi proprio perché si sottrasse subito al «siamo tutti nella stessa barca» mentre imperversava una retorica patriottica che travolgeva i suoi stessi compagni. In quelle che furono conosciute come le Tesi di aprile scandalizzò tutti affermando che la rivoluzione non si sarebbe fermata allo stadio della democrazia parlamentare, ma sarebbe andata avanti fino a consegnare il potere a un governo di operai e contadini, ai Soviet.

E a chi tacciava i bolscevichi di estremismo – lo ricorda Trotsky nella sua Storia della rivoluzione russa – rispondeva: «il paese degli operai e dei contadini poveri, glielo assicuro cittadino, è mille volte più a sinistra di Cernov Tsereteli e cento volte più a sinistra di noi. Chi vivrà, vedrà».
A breve Lenin, gli operai e i contadini avrebbero dimostrato di saper tutto osare per dare l’assalto al cielo.


Lenin, ritratto del leader da giovane

Fratelli. Il rapporto sentimentale e politico tra Saša e Vladimir Ul'janov, di tre anni più piccolo
Colombo Alias 18 4 2020
Lenin, al secolo Vladimir Ilic Ul’janov, secondo la fortunata sintesi di Ippolit Miškin, fu uno dei tanti «proletari intellettuali», uno strato di giovani, spesso studenti di origine borghese – scaturigine originale dello sviluppo della storia russa della seconda metà dell’Ottocento, completamente dedito alla causa della rivoluzione.
La provincia russa compresa quella della città di Simbirsk, in cui Vladimir naque, era politicamente effervescente alla fine del XIX secolo. Non a caso qui nacquero anche il generale socialrivoluzionario Alexander Keresnsky e Alexander Protopopov futuro leader del partito ottobrista.
Tuttavia Lenin l’esempio di milizia rivoluzionaria se l’era trovato addirittura in casa: suo fratello Alexander venne giustiziato l’8 maggio del 1887 per aver tentato, senza fortuna, di uccidere lo Zar Alessandro III. Lenin di tre anni più giovane di Alexander era particolarmente legato al fratello anche se più spesso giocava con Olga, la sorellina di un anno più piccola. «Volodja faceva di tutto per imitare Alessandro. Quando gli domandavano se voleva la pappa col burro o col latte, rispondeva: come Saša. E proprio come Saša, scivolava più tardi sui pattini per un ripido pendio. Nello stesso tempo l’emulazione lo spingeva a porsi sullo stesso piano del fratello maggiore. La formula «come Saša», che faceva spesso ridere quelli di casa, aveva un doppio significato: il riconoscimento dell’altrui, superiorità e la volontà di «raggiungere e superare» scrive nella biografia incompiuta sul Lenin giovane, Trotsky.

Saša presto si trasferirà a San Pietroburgo per studiare alla facoltà di fisica matematica. Risoluto, energico, sensibile, intelligentissimo, Ul’janov ben presto mise da parte gli studi per dedicarsi completamente all’attività politica e fonda assieme a Petr Ševirev la «frazione terrorista» del partito populista, la Narodnaja Volja. La scelta della lotta armata comunque non deve far pensare a un rigetto del marxismo da parte del gruppo che era invece ben conosciuto dai giovani della «frazione terrorista», soprattutto attraverso l’opera di Georgij Plechanov.
Come un secolo dopo con l’Ira irlandese, la linea di faglia dentro il movimento rivoluzionario russo non era prima di tutto teorica ma sui metodi di lotta. Non a caso nel programma della «frazione» scritto da Alexander di proprio pugno, si riconosceva il ruolo rivoluzionario della classe operaia.

Quando Alexander venne giustiziato Lenin aveva solo 17 anni e malgrado anche la sorella maggiore Anna fosse coinvolta nel movimento rivoluzionario, in un primo tempo la sua reazione fu soprattutto emotiva. Nadezda Krupskaja ha ricordato come lo colpì in primo luogo l’isolamento in cui cadde la famiglia: «la madre di Vladimir Ilyic doveva andare a cavallo verso Syzran per raggiungere San Pietroburgo, dove era imprigionato suo figlio. Vladimir Ilic fu mandato a cercare un compagno di viaggio ma nessuno voleva andare con la madre. Questa «codardia» universale fece allora, su Vladimir Ilic, un’impressione molto forte».
Lenin arriva all’attività politica all’università, a Kazan’ solo qualche mese dopo, e non sarà mai attratto particolarmente dal terrorismo, uno strumento che si stava ormai dimostrando inefficace.
Tuttavia, lo storico sovietico Vladimir Adoratskij ha sottolineato come «A Samara Lenin era già un marxista anche se alcune tracce della Narodnaja Volija rimanessero in lui sotto forma di un particolare atteggiamento verso il terrorismo». Egli non giunse mai a condannare il terrorismo moralmente ma fu incline a un approccio «tattico» al terrore, che infatti verrà utilizzato dalla corrente bolscevica durante la rivoluzione del 1905. In questo senso la simpatia e il filo che legava Lenin alle esperienze rivoluzionarie dell’Ottocento non si spezzò mai.
Nei 55 volumi delle sue opere complete Lenin cita solo un paio di volte di il fratello ma resterà indelebile quel rigore, quella completa dedizione alla causa che lo aveva spinto a vendere la medaglia d’oro conquistata con l’eccellenza negli studi per acquistare il tritolo per far saltare in aria lo zar.

Lenin, primo passo della «svolta a Oriente»

L'inedito. Una lettera di Lenin mai pubblicata in Italia, indirizzata all’emiro dell’Afghanistan Amanulah Khan
Colombo Alias 18 4 2'2'
La lettera di Lenin che qui proponiamo ai lettori di Alias è rimasta inedita in lingua italiana fino ad oggi. In Russo è stata pubblicata per la prima volta in assoluto nella raccolta V.I. Lenin. Neizevestnye Dokumenty (Rosspen, 1996). La lettera ha un particolare significato storico e politico. Infatti si tratta di una missiva che conferma la volontà della Russia di sviluppare rapporti di buon vicinato con Kabul, dopo essere stata già la prima nazione a riconoscerne l’indipendenza. Per i bolscevichi si trattò del primo passo nella direzione di quella «svolta a Oriente» che diverrà strategica nel settembre del 1920 con il Congresso per la liberazione dei popoli d’Oriente a Baku. Per quanto riguarda le successive vicende varrà la pena di sottolineare che a distanza di cento anni, l’Afghanistan non è riuscito ancora a liberarsi dai tentativi neocolonialisti di soggiogarlo.
Lettera di Lenin all’Emiro dell’Afghanistan Amanullah Khan, 27 novembre 1919

Dopo aver ricevuto una lettera di grande valore da Vostra Maestà tramite il vostro Ambasciatore, lo stimato Muhammad-Wali Khan, mi affretto a ringraziarvi per il vostro saluto e per la vostra iniziativa di instaurare un’amicizia tra i grandi popoli russi e afgani.


Fin dai primi giorni della gloriosa lotta del popolo afghano per la sua indipendenza, il governo russo dei lavoratori e dei contadini non ha tardato a riconoscere il nuovo ordine in Afghanistan, a riconoscere solennemente la sua piena indipendenza e ha inviato la sua ambasciata per creare un collegamento permanente tra Mosca e Kabul. L’Afghanistan è attualmente l’unico stato musulmano indipendente al mondo e il destino invia al popolo afghano un grande compito storico di unire tutti i popoli musulmani schiavi attorno a loro e guidarli sulla strada della libertà e dell’indipendenza.



Il governo russo dei lavoratori e dei contadini incarica la sua ambasciata in Afghanistan di avviare negoziati con il governo del popolo afghano per concludere accordi commerciali e altri accordi amichevoli, il cui scopo non è solo quello di rafforzare le relazioni di buon vicinato con il massimo beneficio per entrambi i popoli, ma anche di combattere insieme all’Afghanistan il governo imperiale più predatore del mondo, la Gran Bretagna, i cui intrighi, come giustamente sottolineato nella vostra lettera, ancora ostacola lo sviluppo pacifico e libero del popolo afghano e distanziarlo dai vicini più vicini.

Dalle conversazioni con il vostro ambasciatore straordinario, l’onorevole Muhammad-Wali Khan, ho scoperto che siete pronti ad avviare negoziati su accordi amichevoli a Kabul, nonché del desiderio del popolo afghano di ricevere assistenza militare dal popolo russo contro l’Inghilterra. Il governo degli operai e dei contadini è propenso a fornire questa assistenza al popolo afghano su larga scala e a ripristinare la giustizia calpestata dagli ex governi degli zar russi. Abbiamo invitato il vostro ambasciatore e ordinato alle nostre autorità del Turkestan di formare una commissione mista per correggere il confine russo-afghano, nel senso di espandere il territorio afghano, sulla base della legge, della giustizia e della libera volontà delle persone che vivono nelle aree di confine. Speriamo che questa commissione, con la vostra approvazione, inizi immediatamente i lavori per completarla contemporaneamente alla conclusione dei negoziati sull’accordo russo-afgano a Kabul.


Il nostro governo, su richiesta del vostro ambasciatore, si è collegato via radio con i governi dei paesi vicini per garantire l’ulteriore passaggio dell’ambasciata afgana in Europa e in America, ma, sfortunatamente, gli intrighi della stessa potenza interessata che menzionate nella vostra lettera di alto valore non solo non hanno dato l’opportunità di attuare il piano di Vostra Altezza ma la vostra ambasciata è stata costretta a scegliere un percorso diverso. Porgendole gli auguri del popolo russo, io, a nome del governo dei lavoratori e dei contadini, aggiungo i miei sinceri saluti a voi e all’intero popolo afgano.



Il Presidente del consiglio dei commissari del popolo V. Ulyanov (Lenin).

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