lunedì 29 giugno 2020
Un dibattito sulla questione dei confini orientali
Trieste /1. Cent’anni fa l’incendio del Narodni Dom, che il 13 luglio verrà riconsegnato alla comunità slovena.
Lo scrittore, presente all’eccidio, rievoca i fatti e chiede chiarezza sui rapporti tra Slovenia e Italia dal 1880 al 1956
Io, nella notte dei cristalli italiana
Boris Pahor Domenicale 5 7 2020
Il Narodni Dom, la Casa della cultura slovena, aveva la sede in un bellissimo edificio, disegnato dall’architetto Max Fabiani, che ospitava al suo interno anche un albergo, l’hotel Balkan, e
un caffè. Noi sloveni ci andavamo per assistere a concerti, a spettacoli
di teatro, o per ritrovarci a discutere di politica.
Il
pomeriggio del 13 luglio del 1920, non avevo ancora compiuto sette anni,
cominciai a sentire un gran trambusto di movimenti e grida, senza
capire che cosa stesse accadendo. Vivevamo allora in via Commerciale, in
centro, quando una vicina venne ad annunciarci in ambasce che il
Narodni Dom, a due passi da casa nostra, stava andando a fuoco. Non ci
pensai due volte. Senza dire nulla a mia madre, presi per mano la mia
sorellina Evelina, che allora aveva quattro anni, e ci precipitammo a
vedere.
Assistemmo a uno degli spettacoli più impressionanti
della mia infanzia: da ogni finestra dell’edificio baluginavano lingue
di fuoco. La gente che frequentava il Narodni Dom era riuscita a uscire,
mentre gli ospiti dell’albergo erano rimasti intrappolati. Lanciavano
grida di aiuto in italiano e in sloveno, ma gli squadristi, inebriati di
pazzia, impedivano i soccorsi. C’era chi cantava e chi ballava e chi
aveva tagliato gli idranti dei pompieri perché il rogo non venisse
spento. Qualcuno degli ospiti, cercando di sottrarsi al fumo e al fuoco,
si buttò dalla finestra, trovando la morte.
Fu la “notte dei
cristalli” italiana e il mio primo violento e brutale contatto con il
fascismo, che nel ventennio ebbe solo a confermare le premesse di quella
che sarebbe stata la vita di noi sloveni sotto il regime. Presto il
Duce ci impedì di parlare la nostra lingua, di fondare associazioni
nazionali e circoli sportivi. Giornali e banche furono chiuse. I
sacerdoti non potevano officiare la messa in sloveno. Le nostre scuole
furono soppresse e a noi allievi veniva imposto di parlare solo in
italiano. A Verpogliano, un paese che ora è in Slovenia e si chiama
Vrhpolje, c’era un maestro che sputava in bocca ai bambini se si
rivolgevano in quella “brutta lingua”. Una ragazzina di nome Julka fu
appesa per le trecce sull’appendiabiti della classe, perché si era
lasciata sfuggire una frase in sloveno. Il giornale di Trieste, «Il
popolo d’Italia», ci chiamava sciavi e cimici.
Se
non ci fosse stato il fascismo, come succede sempre, specialmente
quando le minoranze non sono protette, saremmo diventati per inerzia
anche noi italiani. Ma proprio il comportamento del Duce e dei suoi
accoliti ha rafforzato la volontà di tenere vivo il ricordo del sopruso
che ci è stato perpetrato. Per questo mi preme rivolgere un appello a
voi, cari amici italiani.
È giunto il momento che ci vede
costretti a risolvere i complessi problemi della nostra convivenza. Se
mi rivolgo agli scrittori, come faccio adesso, è perché credo che essi
costituiscano la parte culturale più rilevante della società e siano
quindi molto più capaci di intuire quali siano i problemi più importanti
per una sana interpretazione delle necessità di un vivere il più
possibile normale e democratico. È giunto il momento di esigere la
pubblicazione e la divulgazione della relazione, redatta dalla
commissione storico-culturale italo-slovena sui rapporti tra la Slovenia
e l’Italia dal 1880 al 1956. La relazione, frutto di sei anni di
rigorose e oneste ricerche, non è stata resa nota dal governo italiano,
né tramite la stampa, né è stata inserita nei libri di testo.
Questa
mancata divulgazione fa sì che la popolazione italiana, soprattutto i
giovani, non siano a conoscenza dell’attività di movimenti e governi
quali furono, ad esempio, quello fascista e quello nazista. I giovani
non sanno di che cosa costoro furono capaci e, invece, hanno bisogno di
sapere per non essere costretti a cercare qualcuno che tenti di fare da
guida alla nazione. Ecco che nasce così un governo simile a quello del
passato, sotto la guida di un uomo forte. E la storia si ripete. Un
siffatto tacere porta purtroppo alla formazione di nuovi, deleteri
movimenti e partiti.
Addirittura si è giunti al punto di rinnegare
l’esistenza di campi di concentramento, come quello di Arbe, che
ospitava tra i dieci e i quindicimila internati slavi, croati ed ebrei e
in generale delle inoppugnabili conclusioni cui la citata commissione è
giunta. Ci troviamo, dunque, in una situazione che richiede alla
popolazione italiana di rendersi conto che un comportamento omissivo è
inconcludente, porta a incomprensioni nocive e a una convivenza
difficile.
A mio modesto avviso è indispensabile che la
popolazione italiana impari ad agire come nel passato hanno agito i suoi
uomini illustri. Cito, su tutti, Dante Alighieri, che rispettava assai e
amava la propria lingua e condannava coloro che le preferivano il
provenzale. Dante amava il suo volgare, considerato la lingua del volgo,
l’amava anche perché era la lingua parlata dai suoi genitori quando si
amavano e lo concepirono, asserisce.
Ci sarò anche io, quando il
presidente della Repubblica italiana, Sergio Mattarella, il 13 luglio
presenzierà alle celebrazioni per il centenario del rogo del Narodni
Dom, che verrà restituito alla comunità slovena d’Italia, dopo una
coraggiosa operazione di pacificazione con il presidente della
Repubblica slovena, Borut Pahor. Durante la giornata i due presidenti si
recheranno a Basovizza per onorare le vittime delle foibe e al
monumento ai cinque eroi sloveni fucilati dal fascismo. È un segno
tangibile di riappacificazione, cui mi auguro si aggiunga la
pubblicazione della relazione italo-slovena. Consentirebbe alla
popolazione italiana di venire a conoscenza del male provocato dal
fascismo durante il tutt’altro che breve periodo che lo vide al potere,
con l’occupazione italiana della Slovenia, dalla primavera del 1941
all’8 settembre del 1943.
Per quanto mi è dato sapere la Francia e
la Germania, riunite le testimonianze sulle ragioni delle orrende
guerre, le hanno inserite nei testi di storia e di letteratura adottati
dalle scuole di Stato. Sarebbe un contributo ulteriore a quanto di buono
è già stato fatto per l’instaurazione di una vera amicizia e di una
convivenza sloveno-italiana, fondata su una inconfutabile base storica.
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