martedì 27 ottobre 2020
Virus dell'occidente, virus del capitale. "Tu ci chiudi, tu ci paghi" o "Reddito e salute per tutti: paghino i ricchi e i padroni"?
Almeno in ciò che rimane della sinistra marxista, dovremmo sapere che le scelte politiche di qualunque governo sono il risultato dei rapporti di forza reali presenti nella società.
In questo senso, invece di concentrarci esclusivamente sugli errori del governo, che pure sono stati molti, o discettare sulle singole misure - ognuno avrebbe voluto qualcosa di più per sé - bisognerebbe ribadire che la situazione drammatica nella quale siamo è la conseguenza non delle scelte e dei ritardi contingenti, che per lo più erano scelte e ritardi inevitabili nelle condizioni date, ma del primato incontrastato e di lunga durata degli interessi del capitale, che ha prodotto tali condizioni perché si è appropriato delle risorse del Welfare nel corso di lunghi decenni, riducendo il paese in uno stato di grave arretratezza strutturale per quanto riguarda la sua rete di protezione sociale.
Scelte diverse nelle medesime condizioni non avrebbero modificato la sostanza delle cose. Governi diversi non avrebbero potuto fare meglio e avrebbero più probabilmente fatto peggio, benché il governo attuale sia del tutto inadeguato di fronte alla sfida.
Il lockdown è oggi indispensabile perché senza la salvaguardia della "nuda vita" non esiste nessuna "forma di vita", ma perché si è dovuti arrivare al lockdown?
Mancano medici e infrastrutture sanitarie, mancano trasporti adeguati, mancano risorse per un reddito di quarantena. Ma perché tutte queste cose mancano? Mancano da ieri o da più tempo? Come e soprattutto dove potevano e possono essere trovate?
Se esistesse una soggettività politica nel nostro campo, è questa consapevolezza che dovrebbe risvegliare. È su questa piattaforma - in grado di parlare alla maggioranza ma non a tutti - che andrebbe conquistato il consenso, non con la demagogia.
La protesta è sacrosanta e necessaria solo se è la protesta delle vittime della crisi, che sono diverse tra loro, e se si rivolge alle sue cause strutturali.
Non lo è invece, e si configura come una protesta reazionaria, se viene diretta dai carnefici e dai profittatori - da coloro che hanno cavalcato l'esaltazione del privato e si sono appropriati delle funzioni e dei beni pubblici mettendoci con le spalle al muro - e se è rivolta a cercare capri espiatori che nascondano le vere responsabilità dei padroni o a mettere in sella i loro lacchè per finire meglio e prima il lavoro.
Lo slogan giusto non è quello demagogico che risuona nelle piazze, "tu ci chiudi tu ci paghi", ma è un altro che non risuona e non risuonerà: "tu ti sei mangiato lo stato sociale, tu hai approfittato delle privatizzazioni, tu hai sfruttato salari da fame, tu hai tolto risorse allo stato evadendo le tasse, tu devi pagare ed essere persino espropriato o comunque colpito a fondo nel patrimonio".
La ricchezza di questo paese è enorme e può fronteggiare questa crisi. Ma questa ricchezza è divenuta privata ed è nelle mani sbagliate e va restituita alla collettività.
Sarebbe possibile farlo oggi? È realistico questo scenario? Assolutamente no, visti i rapporti di forza. Chiunque ci provasse verrebbe impiccato il giorno dopo. È possibile però porre il problema è iniziare un percorso politico su queste basi.
Si tratta di un punto decisivo, che va anche al di là della questione della pandemia in corso e persino al di là la questione dell'impoverimento di larghe fasce sociali. Poiché il Welfare universalistico (per tutti senza distinzione di classe, provenienza, nazionalità) è ciò che rende moderna la democrazia, è ciò che fa della democrazia - la quale di per sé va d'accordo anche con la schiavitù e con la restrizione censitaria e al limite può essere anche democrazia del solo popolo dei signori - una democrazia veramente moderna, la privatizzazione del Welfare è in realtà un attentato alla democrazia moderna stessa. E' il sintomo del passaggio a una forma di democrazia diversa e minore.
Questo discorso è purtroppo oggi improponibile, però, perché già per la situazione frammentata dei subalterni ne manca la condizione trascendentale e cioè una soggettività politica organizzata a sinistra.
Proprio questa mancanza acuisce la confusione e rende ogni volta più problematico l'emergere delle insorgenze sociali. La loro natura spuria è ovvia è scontata, come sempre: è la mancanza di un progetto politico, però, ciò che rende permanente questa ambiguità e anzi più spesso la scioglie in chiave esplicitamente reazionaria ed è su questo che dobbiamo concentrarci.
È importante allora sapere chi è in piazza e non si va in piazza con i fascisti o con i padroncini per reggere loro la coda, visto che la massa di manovra è incomparabile. Ma più importante è sapere chi in piazza non c'è perché non può più andarci, avendo perduto ogni piazza; sapere perché quella piazza è sin dall'inizio nelle mani sbagliate.
Non si pone però oggi il problema di contrastare né l'egemonia liberale né quella delle destre socialscioviniste, per il semplice fatto che non esiste un soggetto che possa formulare un progetto egemonico, non esistendo nemmeno il soggetto.
Fa ridere allora chi si atteggia ad Amico del popolo, fa sociologia d'accatto e invita a sposare lo spontaneismo delle rivolte ma non ha uno straccio di progetto credibile, così come sbaglia gravemente chi nel rifiutare di mischiarsi a movimenti reazionari non si chiede perché esistano oggi quasi solo movimenti reazionari.
Il problema va individuato anzitutto nei nostri limiti di fronte alla realtà, come sempre.
Altrimenti non cambieremo mai e saremo sempre costretti a farci dettare l'agenda e a fare il tifo per questa o quella corrente dei nostri nemici [SGA].
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