mercoledì 30 dicembre 2020

Cosa significa socialismo nel XXI secolo e cos'è lo Stato socialista?


Dal una relazione per la Scuola di marxismo dell'Università di Dalian [SGA].

"... ritengo che il socialismo vada inteso, con le parole di Gramsci, come una “società regolata”, ovvero come una società organizzata in maniera razionale. “Razionale”, però, nel senso di una razionalità universale, e non meramente strumentale e tecnocratica. Una razionalità, cioè, per via della quale lo sviluppo delle forze produttive materiali e immateriali (la cultura, le idee) va a beneficio di tutti ed è assoggettato al controllo della società di cui è al servizio, in modo che esso diventa la premessa dello sviluppo integrale delle soggettività e dei gruppi umani e della conciliazione tra il mondo umano e quello naturale. Questa razionalità non può che essere assicurata in primo luogo dallo Stato, il quale ha la forma dell’universalità ed è dunque potenzialmente in grado di elevarsi al di sopra delle contraddizioni della società civile e di mediare tra esse fino a portarle a sintesi (Hegel). Poiché queste contraddizioni hanno a che fare con la riproduzione complessiva della società stessa e sono legate alle sue capacità produttive, la natura socialista di un paese è determinata dunque in primo luogo dalla capacità dello Stato e della politica di "comandare" ovvero coordinare l’“economia”, intesa – come abbiamo visto sopra – come l’insieme del lavoro sociale complessivo. Questa condizione non è però sufficiente, perché altrimenti tutti i paesi nei quali esiste un comando statale centralizzato o una prevalenza del controllo statale sarebbero socialisti. Non è così, invece, perché la natura socialista del comando statale dipende a sua volta dalla natura dello Stato stesso; dipende cioè da quale è l’obiettivo generale che questo Stato – il quale costituisce un vero e proprio campo di battaglia in cui si svolge una lotta di classe (Poulantzas) – si prefigge. C’è lo Stato che è espressione politica diretta o indiretta delle classi dominanti e del loro potere, ad esempio, il cui obiettivo generale è quello di garantire la riproduzione di questo dominio di classe e dunque di garantire la prevalenza degli interessi sociali particolari più potenti, oppure quello di favorire questa o quella tra le diverse frazioni delle classi dominanti, oppure ancora quello di garantire un equilibrio tra classi dominanti e ceti medi e piccola borghesia, così come c'è lo stato colonizzatore e quello della borghesia conoradora. Lo Stato socialista, al contrario, è quello Stato che si prefigge di manipolare i rapporti di forza tra le diverse classi al fine di far prevalere l’interesse generale sugli interessi particolari e sugli egoismi privati, trovando sempre l’equilibrio giusto nella situazione concreta. Socialisti sono perciò quei paesi nei quali la direzione statale non è mai fine a se stessa ma si inscrive in un progetto generale di emancipazione della società in tutte le sue parti. Un progetto il cui obiettivo “filosofico” è la costruzione del concetto universale di uomo, la realizzazione della comune umanità mediante il superamento delle discriminazioni di classe, di genere e di etnia; e dunque un progetto che è fondato sul principio di eguaglianza (inteso a sua volta non come distribuzione rigidamente egualitaria della ricchezza ma come reciproco riconoscimento della pari dignità umana tra tutti gli uomini e tutte le donne). Di conseguenza, sono socialisti quei paesi nei quali questa direzione statale viene esercitata da uno Stato il quale, a partire dalla sua genesi storica o comunque da un evento fondativo rivoluzionario che ha spezzato il potere delle classi dominanti, è o è diventato espressione di questa comune umanità e dunque espressione degli interessi della maggioranza: espressione, in primo luogo, delle classi lavoratrici e della loro capacità di organizzazione. Questo Stato rappresenta cioè l’atto di emancipazione di quelle classi che nella storia del genere umano e di tutti i paesi, e in particolare nella storia moderna, sono state subalterne; classi che vedono perciò nell’azione regolatrice dello Stato ­– la quale coincide con la loro presa di potere – esattamente la fuoriuscita da questa subalternità. In questo senso, è del tutto secondaria la questione della proprietà dei mezzi di produzione: certamente la presenza di una forte proprietà sociale dei mezzi di produzione che viene esercitata attraverso lo Stato è importante; e però non è necessario che questa proprietà pubblica sia esclusiva ed è perfettamente possibile la sua coesistenza con il mercato privato, perché la cosa più importante di tutte è il primato della politica e dello Stato secondo la definizione che abbiamo visto. In questa prospettiva, socialismo è l'appropriazione razionale e consapevole che gli uomini e le donne esercitano sulle proprie condizioni di riproduzione e la presenza dell’imprenditoria privata non rappresenta un problema, nella misura in cui la borghesia rimane classe in sé sul terreno economico e non si costituisce come classe per sé in grado di contendere il potere politico (Lukacs)...".

"... socialism should be understood, in the words of Gramsci, as a "regulated society", or as a society organized in a rational way. "Rational", however, in the sense of a universal rationality, and not merely an instrumental and tecnocratic one. A rationality, that is, by which the development of the material and immaterial productive forces (culture, ideas) benefits everyone and is subject to the control of the society it serves, so that it becomes the premise of integral development of human subjectivities and groups and of the reconciliation between the human and natural world. This rationality can only be ensured in the first place by the State, which has the form of universality and is therefore potentially able to rise above the contradictions of civil society and to mediate between them to bring them to a synthesis (Hegel). Since these contradictions have to do with the overall reproduction of society itself and are linked to its productive capacities, the socialist nature of a country is therefore determined in the first place by the capacity of the state and of politics to command the "economy", understood - as we have seen above - as the whole of the overall social work. However, this condition is not sufficient, because otherwise all countries in which there is centralized state command or a prevalence of state control would be socialist. This is not the case, however, because the socialist nature of state command depends in turn on the nature of the state itself; that is, it depends on what is the general objective that this State - which constitutes a real battlefield in which a class struggle takes place (Poulantzas) - sets itself. There is a type of state which is a direct or indirect political expression of the ruling classes and their power, for example, whose general objective is to guarantee the reproduction of this class domination and therefore to guarantee the prevalence of particular social interests which are more powerful. The socialist state, on the other hand, is the state that aims to manipulate the balance of power between the different classes in order to make the general interest prevail over particular interests and private selfishness, always finding the right balance in the concrete situation. Socialists are therefore those countries in which state leadership is never an end in itself but is inscribed in a general project of emancipation of society in all its parts. A project whose "philosophical" objective is the construction of the universal concept of man, the realization of common humanity by overcoming the discrimination of class, gender and ethnicity; and therefore a project that is founded on the principle of equality (understood in turn not as a rigidly egalitarian distribution of wealth but as a mutual recognition of equal human dignity among all men and all women). Consequently, we must consider as socialists those countries in which this state leadership is exercised by a state which, starting from its historical genesis or in any case from a revolutionary founding event which broke the power of the ruling classes, is or has become an expression of this common humanity and therefore an expression of the interests of the majority: expression, in the first place, of the working classes and their ability to organize. This state represents the act of emancipation of those classes that in the history of mankind and of all countries, and in particular in modern history, have been subordinate; classes that therefore see in the regulatory action of the State - which coincides with their seizure of power - exactly the escape from this subordination. In this sense, the question of ownership of the means of production is important but not decisive: certainly the presence of a strong social ownership of the means of production that is exercised through the state is useful; and yet this public property need not be exclusive and its coexistence with the private market is perfectly possible, because the most important thing of all is the primacy of politics and the state according to the definition we have seen. In this perspective, socialism is the rational and conscious reappropriation that men and women exercise over their conditions of reproduction and the presence of private entrepreneurship does not represent a problem, insofar as the bourgeoisie remains a class “in itself” on the economic ground and as long as it does not become a class “for itself” capable of contending for political power (Lukacs)...".

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