giovedì 18 marzo 2021

I morti del capitale


I "morti di Bergamo" - sui quali tutti fanno a gara a piangere per dimostrarsi buoni e sensibili spargendo retorica - ci ricordano in realtà l'arroganza del grande capitale industriale, che in quella zona fece pressioni terribili sui vertici politici al fine di impedire o rallentare il più possibile l'arresto della produzione e dunque dei profitti.
I morti di Bergamo, perciò, sono vittime del capitale, delle privatizzazioni, del prevalere degli interessi particolari sul bene comune.
Il sistema industriale dei media oggi, invece di rammentarlo, ha fatto di tutto per oscurare questo dato di fatto e per presentare quelle morti, come i morti della pandemia in generale, come morti per caso o per sfortuna.
Privi di strumenti di comunicazione degni di questi nome, privi di ogni autonomia politica e intellettuale, anche noi però finiamo per dimenticarlo [SGA].

Da "Il virus dell'Occidente"

"... Ecco che la Cina, pur con numerosi contraccolpi, ha immediatamente potuto reagire alla diffusione del virus mobilitando per il suo fronteggiamento tutte le energie del paese, e cioè del complesso Stato-società civile, isolando un’intera regione di quasi sessanta milioni di persone, fermando la produzione industriale di beni non necessari, riconvertendone una parte al fine di mettere a disposizione degli operatori sanitari le risorse che erano loro indispensabili e per nutrire la popolazione. Anche nell’Occidente capitalistico tutto questo è avvenuto, certamente, ma con le incertezze, i ritardi e le asincronie dovuti al conflitto tra l’interesse privato delle grandi realtà economiche a mantenere in funzione la loro produzione specifica per non bloccare la valorizzazione del capitale – o per non perdere fette di mercato, o per sottrarle ai competitori… – e la salute pubblica. Ecco che per un lungo tratto, mentre invitava e a un certo punto persino obbligava la maggior parte della popolazione a rimanere a casa, il governo italiano – e a maggior ragione questo discorso vale per i governi di alcuni altri paesi, assai meno attenti al rischio di contagio di quanto non sia stato il nostro – obbligava al tempo stesso a recarsi al lavoro e a mettere a rischio la propria vita centinaia di migliaia di lavoratori dell’industria, selezionando solo in un secondo momento e solo di fronte alla minaccia sindacale di uno sciopero generale i settori vitali dell’economia nazionale che dovevano per necessità rimanere attivi. Sono state ampiamente documentate sin dalle prime settimane di chiusura, del resto, le sconsiderate pressioni di Confindustria per impedire o rallentare il più possibile il fermo della produzione nel bergamasco, un territorio nel quale sono insediati gli impianti produttivi di numerose tra le maggiori imprese italiane. E, più in generale, non è stato il servizio sanitario nazionale italiano soggetto nel corso di almeno tre decenni a un drastico ridimensionamento in termini di risorse e personale al fine di procurare risparmi al bilancio dello Stato favorendo al contempo l’affermazione della sanità privata, e cioè per via un processo di privatizzazione della cosa pubblica che ha comportato un’appropriazione rapace di beni che erano evidentemente ancora troppo poco comuni per essere difesi in maniera adeguata?..."



 

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