venerdì 24 ottobre 2014

Dal monopartitismo competitivo al Partito della Nazione che risolve in sé tutto il quadro politico

Come era accaduto per circa un paio d'anni nell'ultima legislatura di Berlusconi, la banda maggioritaria di gangster al potere copre tutto lo spettro politico: maggioranza e opposizione, entusiasti e critici (come un incredibile Alfredo Reichlin: una vita a evocare la Bestia, e ora è qua si spaventa di ciò che lui stesso ha fatto). Si tratta però di un assetto provvisorio, perché quando anche il centrodestra rialzerà la testa, si determinerà probabilmente un nuovo equilibrio di "bipartitismo solidale" in grado di sostenere con più efficacia le larghe intese delle classi dominanti [SGA].


I nuovi oligarchi
di Alfredo Reichlin Repubblica 24.10.14
CARO direttore, vedo che Matteo Renzi parlando del partito che ha in mente si richiama alla espressione “partito della nazione” che io cominciai a usare discutendo con Pietro Scoppola sul fondamento identitario da dare al Pd, quando già si intravedeva la dimensione storica della crisi italiana. Non mi pare però che pensiamo le stesse cose e vorrei chiarirlo. Io parto dalla necessità che sento, acutissima, di dare al Paese uno strumento politico forte capace di arrestare la decadenza non solo della sua economia ma del suo organismo statale, della sua tenuta sociale, della sua identità civile e morale. Parto, insomma, dalla crisi della nazione come maggiore danno per tutti ma in specie delle classi lavoratrici. E penso, quindi, che sta qui la funzione “nazionale” del Pd, il suo essere l’opposto di un partito “pigliatutto” e delle avventure personali che da anni ci affliggono. Ma come svolgere questa “missione”? Con chi, contro chi, e come? Questo è il punto.


Confesso che mi sono cascate le braccia quando ho sentito Renzi dire che il punto fondamentale della sua idea di partito, è quello di garantire le “pari opportunità”. Ma in che mondo egli vive? Si, certo, lo so anch’io che non c’è più la vecchia società classista e che i grandi partiti novecenteschi (il Pci ma anche la Dc) non ci sono più e non torneranno più. Ma qualcuno ha informato Renzi che è finita anche l’epoca di Tony Blair, cioè quella dei “liberal” e delle “pari opportunità”? Parlo di qualche decennio fa quando il sistema non era certo ugualitario ma in compenso funzionava ancora “l’ascensore sociale” per cui il povero di oggi poteva diventare — se intelligente e laborioso — il ricco di domani. L’epoca dello Stato nazione e dei diritti uguali. Ben altre sono oggi le logiche dell’economia finanziaria in cui siamo immersi: l’economia del debito e delle grandi speculazioni del denaro fatto col denaro. Lasciamo stare le dispute tra economisti. Un politico serio non può fingere di non vedere questa gigantesca ondata di denaro che non rende conto a nessuno e che sta percorrendo il mondo arricchendo enormemente una ristretta oligarchia ma creando al tempo stesso nuove povertà. Una parte dei ceti medi è già stata declassata. Viene colpita la funzione stessa dell’imprenditore, dell’ingegnere, del capitano d’industria. I poveri, anche quelli che non diventano più poveri, diventano plebe. Mi scuso per la sommarietà di queste osservazioni ma che tipo di società umana si va formando? La domanda più importante, parlando di un partito, è questa. Perché è solo a partire da questo fondamentale interrogativo che una forza che voglia riaccendere il campo del riformismo può ridefinire la sua funzione storica, riuscire ad essere l’incontro di forze e culture diverse e mettersi in condizione di leggere il mondo con categorie nuove rispetto anche a quelle classiste. Stiamo attenti perché sta avvenendo qualcosa che cambia le ragioni dello stare insieme e il senso della convivenza civile.
Perciò io penso che noi, invece di oscillare tra un “nuovismo” inconsistente e l’accettazione rassegnata dall’uomo solo al comando dovremmo cominciare a riflettere meglio sulle ragioni di fondo di un partito nuovo. E ciò partendo dal fatto che il conflitto si sposta parecchio oltre la sfera economica e distributiva, per investire i modelli di vita, la qualità dell’organizzazione sociale, l’auto affermazione dell’individuo. Io penso che in realtà siamo di fronte a un allargamento del conflitto e di conseguenza a una domanda di progettualità che non può più essere separata dalla politica. Altro che partito degli eletti e non più dei militanti. Altro che disprezzare i “corpi intermedi”. E mi sia consentito di dire agli amici della “Leopolda” che il terreno vero del “cambiamento” sta nel mettere in relazione le ragioni della libertà individuale con quelle della comunità, nel costruire una comunità contro le spinte dissolutive e nel difendere l’autonomia e la dignità della persona.




Pd, da Cuperlo a Bindi la sinistra va in piazza
Delrio: nessun nemico ma le riforme si votano Dal corteo Cgil riparte la battaglia per l’art.18 Bersani e D’Alema non vanno Boschi: alla Leopolda un’altra Italia

di Giovanna Casadio Repubblica 24.10.14

ROMA La sinistra dem e Pippo Civati lanciano l’appello: «Pierluigi vieni anche tu...». Ma Pierluigi Bersani, l’ex segretario, non sembra tentato dalla piazza Cgil di domani. Né ci sarà Massimo D’Alema, che non è a Roma. Mezzo Pd tuttavia parteciperà alla manifestazione del sindacato contro il Jobs Act e la riforma del mercato del lavoro voluta dal governo. Non saranno soltanto in piazza San Giovanni a Roma, ma anche con iniziative e presenze simboliche. Roberto Speranza il capogruppo dem a Montecitorio ad esempio, è a Matera e andrà a salutare i compagni sui pullman in partenza per Roma; a Bari lo stesso farà Dario Ginefra. Mentre Rosy Bindi, Stefano Fassina, Cesare Damiano, Gianni Cuperlo si sono dati appuntamento in piazza della Repubblica per non perdersi di vista. La piazza Cgil potrebbe essere la prima tappa di una mobilitazione che porti poi allo sciopero generale. Almeno secondo il segretario Fiom, Maurizio Landini.

Il governo sa che dalla manifestazione parte la riscossa per cambiare la riforma del mercato del lavoro e per bloccare l’abolizione dell’articolo 18. Renzi non lancia anatemi, ma invita ad andare a Firenze alla Leopolda, l’appuntamento renziano, che si svolge nel fine settimana. Lo illustra il ministro Maria Elena Boschi e ecumenicamente commenta: «È legittimo protestare in piazza in modo pacifico, ma alla Leopolda c’è un’altra Italia che si confronta su cento temi diversi, a tavoli di lavoro dove è forse più facile parlarsi e dirsi anche quello che si sta sbagliando. Ho letto che Fassina va allo zoo, peccato perché l’avevo invitato personalmente ». Per il governo parla il sottosegretario Graziano Delrio e dice che «la manifestazione Cgil sarà contro i provvedimenti del governo ma tutti si sentano liberi, non vogliamo negare i diritti di nessuno e nemmeno dare permessi ma essere lì può creare qualche imbarazzo ». È l’affondo. Comunque l’importante è che poi «le riforme si votino». Avverte Delrio. In pratica nessuno pensi in Parlamento a forme di dissenso. E però precisa: «Non siamo nemici di quella piazza, il nostro cuore è con loro».
Tutte le correnti della sinistra dem hanno messo nero su bianco le ragioni della loro adesione alla manifestazione Cgil, magari smussando toni e piattaforma. Sindem, la corrente di Cuperlo, aderisce perché - scrive - «il Pd e la sinistra sanno ascoltare. E scegliere dove stare. Ci saremo perché quella piazza può dare forza al cambiamento dalla parte giusta. Ci saremo per costringere governo e Parlamento a correggere e migliorare il Jobs Act...». Documento anche dalla corrente Area riformista - che difende il ruolo del sindacato e chiede correzioni anche sulla manovra - e primi firmatari sono tra gli altri Stefano Fassina, Damiano, Stumpo, Zoggia, Agostini, Amendola, Bruno Bossio. Civati e i civatiani sono sulle barricate contro il Jobs act ma anche «in difesa del ruolo del sindacato ». Civati reagisce alle critiche: «Non capisco perché dovrei smettere di andare in piazza, il Pd deve essere coerente con la storia e la politica della sinistra ». Defilato Enrico Rossi, il governatore della Toscana, che annuncia: «Non vado ma ascolto sia la piazza Cgil che la Leopolda ». Torna all’attacco della kermesse renziana una parte della sinistra. Alfredo D’Attorre accusa Renzi: «Bersani credo non vada in piazza con la Cgil per la funzione che ha svolto di segretario e per tutelare il Pd e la sua unità. Certe volte sembra che il Pd l’abbia più a cuore l’ex segretario che il segretario attuale ». Un errore, ribadisce, organizzare la Leopolda quest’anno perché sembra «che non creda al progetto Pd».


Leopolda al potere Boschi: un’altra Italia rispetto alla Cgil
Tanto governo, assenze polemiche dal Pd Farinetti: “Vado, è un posto dove non ci si lamenta”
di J. I. La Stampa 24.10.14

Che qualcosa di profondo sia cambiato, che si contino (anche) i primi delusi del renzismo originario, è palese, e Maria Elena Boschi, con sincerità, non se lo nasconde, se è vero che ieri, presentando la quinta edizione che parte stasera, ha detto: «Non venire alla Leopolda non vuol dire essere contro il governo, perché non è una iniziativa del governo. È ragionevole anche avere altri impegni. Ho invitato personalmente Stefano Fassina, che mi ha detto di aver promesso ai bambini di portarli allo zoo domenica mattina. Non per questo non faremo la Leopolda». Quasi come se la questione, adesso, non fosse più l’entusiasmo, la rottamazione, la prossima fermata Italia, il Big Bang, il futuro, ma, assai più prosaicamente: non farsi dire troppi no.
In effetti la Leopolda 2014 è cominciata con alcune defezioni - motivate a volte da disillusione, altre volte dal sibillino «ho altri impegni», o «non mi è possibile»: da Alessandro Baricco ad Andrea Guerra. Persino «il magic touch della Mari» ha dovuto lavorare molto, ma i risultati non sono disprezzabili, dal punto di vista degli innesti: ci saranno per esempio Patrizio Bertelli di Prada, Renzo Rosso di Diesel, c’è la conferma - non era affatto scontata - di Oscar Farinetti, che alla Stampa spiega: «Alla Leopolda si respira aria di “trovare soluzioni”. È un posto dove ci si lamenta poco mentre ciascuno esprime con sintesi le proprie idee di soluzione. Da lì son sempre tornato a casa con idee nuove e speranze, e spero anche stavolta». Se non compensa le uscite pesanti su menzionate, è comunque qualcosa che aiuta la squadra di Renzi ad attutire il colpo. E potrebbe anche esserci qualche sorpresa, alla quale si sta lavorando.
È chiaro che questa non è comunque più la Leopolda della speranza, ma della gestione anche machiavellica del potere; magari un potere per cambiare, questo si vedrà. Certo colpisce la fotografia di tanti ministri, sottosegretari, parlamentari, qualcosa che, se ci pensate, a quelli della Leopolda 2010 (quella Renzi-Civati) avrebbe fatto venire l’orticaria. Gente che all’epoca faceva fuoco e fiamme contro Renzi, oggi non solo ci sarà, ma avrà posti di prima fila.
Il governo arriva in forze, Graziano Delrio, Roberta Pinotti, Dario Franceschini, probabilmente Orlando, mentre altri pezzi di Pd (non solo Fassina) saranno altrove, Cuperlo per esempio in piazza con la Cgil. Non Walter Tocci, che non ritira le dimissioni da senatore. Dice Boschi: «È legittimo protestare in piazza in modo pacifico. Alla Leopolda c’è un’altra Italia che si confronta su cento temi diversi, a tavoli di lavoro dove è forse più facile parlarsi e dirsi anche quello che si sta sbagliando». Una rivendicazione orgogliosa assieme alla velata promessa di un’autocritica.


Così il leader pd ha spaccato la sinistra La linea morbida dei pensionati Cgil
L’idea di lasciare la direzione dell’Unità a un esponente non necessariamente renziano
di Maria Teresa Meli Corriere 24.10.14

ROMA In questi ultimi giorni ha avuto altro da fare, impegnato com’è in un braccio di ferro con «la banda di funzionari dell’Europa».
Ma da oggi, pur continuando a tenere un occhio vigile sulla Ue, Matteo Renzi riprenderà a tessere le fila del Partito democratico che verrà, a metà tra il modello di quello statunitense e il Labour Party, forze politiche che sono una sorta di grandi contenitori che riescono a tenere insieme moderati, liberali riformisti e anche esponenti della sinistra radicale.
La Leopolda, in fondo, è stata e sarà anche questo: uno spazio libero e aperto dove si incontrano per discutere tra di loro e confrontarsi personalità che vengono da tradizioni e culture diverse.
Certo, stavolta, almeno in apparenza, l’ex stazione di Firenze non avrà le porte spalancate come un tempo. Questioni di sicurezza: il prefetto e le forze dell’ordine del capoluogo toscano preferiscono usare la massima cautela, vista la presenza del presidente del Consiglio e di mezzo governo. Anche perché l’affluenza prevista per la quinta Leopolda è nettamente superiore a quella delle altre edizioni. Per questo motivo a tutti coloro che si sono già registrati viene «gentilmente chiesto di non portare bagagli», «sia per questioni di spazio, che per questioni di sicurezza».
Ma questi sono dettagli di ordine organizzativo. Il «grande Pd» versione Renzi è invece un progetto politico ancora in costruzione, che impensierisce alcuni esponenti della minoranza interna. Non si tratta, almeno nelle intenzioni del suo ideatore, di un partito «pigliatutto», ma del «partito degli italiani». Che resta lontano anni luce da Susanna Camusso, ma che, invece, è disponibile a dialogare con altre figure di sindacalisti. Si è già detto e scritto dello scambio regolare di sms tra il premier e la leader della Spi Cgil (i pensionati) Carla Cantone, la quale non ha mai negato di trovare «Renzi simpatico», anche se è pronta a contestargli alcune misure, come quella sull’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori o l’esclusione dal bonus degli 80 euro.
Ma adesso c’è qualcosa di più, come rivelava l’altro ieri il sito «Lettera 43»: per domani la Spi ha deciso di tenere una linea morbida. In piazza, sì, «ma senza essere il braccio armato di nessuno» e senza «fare opposizioni pregiudiziali, tanto meno al governo Renzi. Se c’è da dialogare, dialoghiamo: la Spi non è la Fiom».
Una linea, quella del dialogo e della contrarietà ai «no» pregiudiziali che è la stessa adottata dalla neo segretaria della Cisl Annamaria Furlan. Anche per quel sindacato, che pure non ha intenzione di fare sconti a Renzi, la parola concertazione non ha più senso, esattamente come non lo ha più per il presidente del Consiglio.
C’è quindi un vasto mondo a cui il Pd versione Renzi può guardare. Tant’è che c’è chi sospetta che il premier abbia voluto scientemente spingere Camusso nelle braccia della Fiom, costringendo la leader della Cgil ad adottare la linea dura e pura di Landini.
Eppure anche nell’area della sinistra più radicale il Pd potrebbe trovare nuovi interlocutori, nonché nuovi elettori, e in questo modo mettere in difficoltà il tandem Camusso-Landini, oltre che la minoranza interna. E non si sta parlando solo degli ex grillini, che ormai al Senato, danno una mano alla maggioranza nei momenti di difficoltà. È in questo quadro che da due giorni, nel Transatlantico di Montecitorio, filtra la notizia che ad andare a dirigere l’Unità potrebbe essere proprio uno dei rappresentanti di spicco di un mondo che finora è stato assai più vicino a Landini che a Renzi. È circolato anche il nome di Michele Santoro, benché non vi sia nessuna conferma.
Insomma, è proprio un nuovo partito quello che potrebbe nascere, un partito che, come dice il senatore Giorgio Tonini, potrebbe «realizzare il progetto che Veltroni non era riuscito a mandare in porto».
Un partito che potrebbe persino arrivare non negare la tessera a Marco Pannella. A patto, chiaramente, che il leader radicale non chieda di iscriversi al Pd per provocazione e per continuare la sua guerra quotidiana contro Renzi, a cui non ha perdonato ancora la bocciatura di Emma Bonino alla Farnesina. Ma forse per questo passo clamoroso ci vorrà ancora un po’ di tempo. Quello che serve per rimarginare le ferite e dimenticare i livori del passato.

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