Chi si ricorda del Diario postumo, la presunta «ottava raccolta poetica» di Eugenio Montale? Era il 1996 quando la Mondadori diede alle stampe in forma completa le sorprendenti poesie che Montale avrebbe donato, fra il 1969 e il 1979, all’amica Annalisa Cima, presto nota come l’«ultima Musa» del poeta ligure. In tutto 84 testi che Montale — così si raccontò — aveva chiuso in undici buste, con la consegna di aprirne una all’anno a partire dal 1986. Insieme alle poesie, ben 24 testamenti olografi (l’ultimo dei quali proclama la Cima erede universale del poeta), e poi traduzioni inedite, prose, disegni. Un corpus eccezionale: e, secondo alcuni, una sbalorditiva beffa postuma congegnata per «depistare» critici e filologi.
di Paolo Di Stefano Corriere 12.11.14Una pietra tombale o quasi. Il Diario postumo , pubblicato da Mondadori nel 1996 a cura di Rosanna Bettarini, non è di Eugenio Montale. Stiamo parlando della raccolta di 84 poesie che sarebbero state composte tra il 1968 e il 1979 e che Annalisa Cima avrebbe ricevuto da Montale in 11 buste chiuse. Non c’è (quasi) nulla che faccia pensare a testi autografi. È la conclusione che si trae dal convegno tenutosi ieri alla Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, con gli interventi di numerosi studiosi, non solo letterati. E proprio dai non letterati è d’obbligo partire. La perizia grafologica dell’avvocata Susanna Matteuzzi, consulente del Tribunale di Bologna, pur basandosi su materiali fotocopiati non essendo disponibili gli originali (mai messi a disposizione dalla destinataria), lascia pochissimi margini di dubbio: si registra una netta «incompatibilità tra la grafia del Diario postumo e la grafia del Montale coevo». La patologia neurologica (Parkinson?) di cui soffriva il poeta lo costringeva a un andamento grafico che non si riscontra nei fogli del Diario , in particolare la «micrografia» (corpo ridottissimo delle lettere), la disposizione a cono sul margine sinistro e la difficoltà a mantenere il tratto grafico sul rigo di base. Senza dire di altre differenze nel movimento di una ricca serie di lettere. Va da sé che gli accertamenti sugli autografi sarebbero indispensabili, ma Annalisa Cima non ha mai voluto porre rimedio alla lacuna.
“Così giocava per confondere i critici”: Annalisa Cima, l’ultima musa del poeta e depositaria dei suoi versi postumi, risponde alle accuse di chi li giudica falsidi Bruno Quaranta La Stampa 19.11.14
«Sarebbe stato sufficiente chiedermeli. Avrebbero evitato di faticare sul nulla». Annalisa Cima, l’estremo femminino montaliano, dopo Esterina, Gerti, Clizia, la Mosca, la Volpe, neanche un po’ sussulta di fronte al saggio che dimostrerebbe l’inautenticità del Diario postumo, a lei affidato (Federico Condello, I filologi e gli angeli. È di Eugenio Montale il Diario postumo?, Bononia University Press).
Gli originali... «Sei liriche, le prime pubblicate, e le autentiche delle lettere-testamento, sono custodite negli archivi Mondadori. Le rimanenti a Lugano, nella banca ideata dall’architetto Mario Botta. A disposizione degli studiosi, non dei dilettanti, in cerca, chissà, di una cattedra», distingue Annalisa Cima (conobbe Montale nel ’68, galeotta una fotografia che la ritraeva accanto a Luchino Visconti. La didascalia annunciava che si sarebbero fidanzati. Innescando la curiosità, in Montale, di conoscerla, il che avvenne auspice Vanni Scheiwiller).
Un tesoretto, il Diario postumo, della Fondazione Schlesinger di Lugano (sorta nel ’78, per volontà di Annalisa Cima, Eugenio Montale e Cesare Segre), accanto a ulteriori, auree carte: da Carlo Emilio Gadda a Giuseppe Ungaretti. La signora - pure lei poetessa - è l’ultima diretta testimone dei versi a futura memoria di «Eusebio», via via scomparsi gli antagonisti, da Dante Isella, lancia in resta contro la loro genuinità (ma non subito), a coloro che fornirono l’imprimatur: Contini, la Bettarini, la Corti e, va da sé, Segre.
Come le giunsero le poesie, fin da quella che la incorona: «Se la mosca ti avesse vista / anche una sola volta / quanto amore ti avrebbe / accordato»? «Dodici, tredici mi furono donate direttamente da Montale, quando andavo a fargli visita in via Bigli. Scritte in bagno (dov’era solito, anche, dipingere) su foglietti versicolori fornitigli da Vanni Scheiwiller e da me depositate in una cassetta di sicurezza. Quindi suggerii a Montale, per le successive, di provvedere lui stesso a porle sotto sigillo, Era il ’79 (le liriche vennero composte fra il ’69 e quell’anno), allorché, di fronte a un notaio italiano e a un notaio svizzero le distribuì in undici buste, che esistono, eccome. A caso. Richiesto di una spiegazione, il Nobel motteggiò: “Così, per confondere i critici...”».
Dall’86 al ’91, ogni anno, sei poesie vedranno la luce (nell’ultima busta, una sorpresa: un’appendice di diciotto testi). Nel ’91, il primo Diario, con trenta liriche, nel ’96 il Diario postumo. «Il contratto relativo tra la Mondadori e me sarà controfirmato da Bianca Montale, nipote di Eusebio, a suggello di una verifica che impegnò avvocati e notai della casa di Segrate fra il 1986 e il 1988 - puntualizza Annalisa Cima -. Le bozze dell’uno e dell’altro Diario avranno l’approvazione di Marco Forti e, soprattutto, di Dante Isella, che successivamente bollerà l’opera come apocrifa».
Perché il dietrofront di Isella? «Mirava a curare l’intero Diario, nonché comporne la prefazione. Se non che Montale, nelle lettere-testamento, indicava perentoriamente Gianfranco Contini. Gravemente malato, impossibilitato a onorare la volontà del poeta, il filologo princeps mi chiese, in un biglietto accorato, di rivolgermi a Rosanna Bettarini, la sua prediletta allieva» (Contini-Bettarini curarono per Einaudi L’opera in versi di Montale).
Su che cosa lavorò la Bettarini? «Sugli originali, visionati a Lugano, naturalmente», si stupisce della domanda Annalisa Cima. A Dante Isella che definiva il Diario «tanto “apocrifo”, cioè falso, quanto fisicamente inconsistente, per la ragione che “si tratta, molto probabilmente [...] di frasi colte al volo nella conversazione orale col poeta”», sul Sole 24 Ore, il 27 luglio 1997, Rosanna Bettarini replicava: «Eppure ho fornito in due tempi diversi (1991 e 1996) una descrizione, prolissa fino alla nausea, di decine e decine di documenti, dove si dice se sono a penna, a lapis o a biro; se su carta bianca, azzurra o paglierina; se corretti o scorretti, a pulito e sudicio; se datati o senza data, se in una o più redazioni, se sani o strapazzati, se su cartolina illustrata o postale con o senza francobollo più o meno annullato».
Il ’97, l’anno in cui gli originali del Diario postumo apparvero in mostra Lugano: «Falsi autografi, e non di una sola mano» li incenerisce Maria Antonietta Grignani, succeduta a Maria Corti alla direzione del Centro Manoscritti di Pavia, in un ricordo di Gina Tiossi, la governante di Montale. «Smentendosi - incalza Annalisa Cima - rispetto alla relazione che tenne durante il convegno del ’97. Là dove le saltò agli occhi un Montale che “si è comportato graficamente, psicograficamente, in un modo diverso; diverso proprio come volontà, che qui sembrerebbe quasi postuma, di chiarezza, di trasparenza, di leggibilità, perfino di monumentalità, tra virgolette, se si può dire”. A un certo punto la Grignani prenderà le distanze da Isella: “È evidente che Isella non ha ragione quando prende l’autocitazione come prova di falso. Evidentemente chi conosce l’ultimo Montale, da Satura in avanti, ma anche prima, sa che non è così”».
A proposito di grafia. I detrattori del Diario postumo si appellano alla perizia di Armando Petrucci per conto di Isella sulla base di qualche facsimile. Obietta Annalisa Cima: «Petrucci, paleografo e non grafologo, telefonò sia a me sia a Rosanna Bettarini scusandosi, dicendo di non aver emesso alcun giudizio, di non essersi mai occupato di autori contemporanei, di essersi offeso perché nominato a sproposito da Isella».
Indicata da Montale «erede universale», ad Annalisa Cima toccherebbe la cura dell’Opera omnia del Nobel, ovviamente con l’aggiunta del Diario postumo. «Quando Mondadori, già uscito il Diario, ripubblicò i Meridiani secondo Giorgio Zampa, sollecitai Isella e Gian Arturo Ferrari, allora direttore editoriale della Mondadori, a non presentare i volumi come Omnia. Ferrari, alla presentazione, riconobbe l’importanza del Diario, affermando che non si era fatto in tempo a includerlo. Beninteso non rinuncio a vederlo accolto».
La Bufera e altre bufere... Compiendosi sommamente la volontà di Montale: «Ed ora che s’approssima la fine getto / la mia bottiglia che forse darà luogo / a un vero parapiglia...».
“Il Diario postumo di Montale? Vi spiego perché è falso”
Il filologo Federico Condello risponde a Annalisa Cima: troppe falle nel suo racconto, e una grafia sospetta che non è del poetadi Franco Giubilei La Stampa 23.11.14
«Se davvero gli originali del Diario postumo di Montale sono a disposizione degli studiosi per essere analizzati, come la signora Cima ha dichiarato alla Stampa (nell’intervista pubblicata mercoledì scorso, ndr), sicuramente ci sono molti esperti pronti a visionarli: non vediamo l’ora di sapere come e quando, abbiamo già i biglietti per Lugano…».
Federico Condello, professore di Filologia classica all’Università di Bologna, ha scritto un saggio intitolato con la domanda retorica I filologi e gli angeli. È di Eugenio Montale il Diario postumo?, che contiene una risposta netta, avallata anche dal convegno tenutosi a Bologna l’11 novembre scorso: no, non lo è. E ora, dopo che la musa del poeta Annalisa Cima è tornata alla carica rivendicando l’autenticità di quegli scritti, il docente ribatte punto per punto, rivelando anche che «il Sistema bibliotecario nazionale, alla luce di quanto evidenziato durante il convegno bolognese, ha deciso di eliminare il Diario postumo dalle opere di Montale del proprio catalogo».
Ma non è tutto, perché Condello si appresta a pubblicare due frammenti grafici, l’uno di una poesia attribuita a Palazzeschi e l’altro di un componimento di Montale appartenente al Diario, che hanno in comune la provenienza - l’archivio personale della Cima - e una straordinaria somiglianza, tanto da indurre nel filologo il sospetto che siano state vergate dalla stessa mano: «Nel 2009 Annalisa Cima ha fatto pubblicare una poesia di Palazzeschi sulla rivista Nuova Antologia, scritta in lode di lei, in cui era riprodotto anche l’autografo dell’autore. Non solo quella non è la grafia di Palazzeschi, ma è anche sovrapponibile, quasi pixel a pixel, alla grafia di alcune poesie del Diario postumo, oltre che ai testamenti attribuiti sempre a Montale. Ci sono somiglianze inquietanti, per non dire tratti di assoluta identità. È con questi argomenti molto concreti che la Cima deve misurarsi. Intanto Mondadori ha già dichiarato che non ripubblicherà il Diario».
Quanto alla ricostruzione della storia delle poesie contenute nelle famose buste numerate da uno a undici, Condello ne sottolinea le incongruenze: «Non incoraggia il fatto che, per tutta risposta alle ricerche di questi mesi, la Cima pubblichi un nuovo autografo dove si legge “12” (sulla Stampa del 19 novembre, ndr), contraddicendo tutto quel che ha detto finora sulle 11 buste: la numero 12 dunque dovrebbe contenere le famose 18 poesie “sciolte” successive alla 11, ma noi finora sapevamo che queste non erano contenute in una busta, che ora invece compare improvvisamente».
Nel racconto di Annalisa Cima ci sarebbe anche un’altra falla: «Dice che Montale le ha consegnato personalmente solo le prime 12-13 poesie e di avergli suggerito di sigillare in busta le successive. Finora però ha raccontato che tutte le poesie le venivano donate da Montale via via che lo incontrava, anche 3-4 alla volta: come mai la storia cambia in continuazione? Solo ora apprendiamo che, di 84 poesie per 95 manoscritti, solo una piccolissima parte le sarebbe stata donata personalmente da Montale».
E poi c’è la questione di fondo, emersa durante il convegno bolognese, cui la stessa Cima era stata invitata: «La signora non può fingere di ignorare che tutti i principali esperti hanno dichiarato che il Diario non può essere considerato di Montale. La versione più ottimistica è che forse ci sia qualche poesia autentica. Oppure che quel che c’è lì dentro sia frutto della registrazione di un magnetofono che poi sia stato trascritto dalla stessa Cima. La Grignani, direttrice del fondo manoscritti di Pavia, ha ribadito che siamo di fronte a più mani che non sono di Montale». Fra le prove portate al convegno, la perizia grafologica e l’expertise neurologica sulla scrittura che mostra come il poeta, affetto dal morbo di Parkinson, curiosamente sembrasse non soffrirne soltanto quando scriveva per la Cima.
Un modo per fugare dubbi e sospetti c’è, e non è neanche tanto complicato: è l’esame dei documenti. «Il materiale potrebbe essere analizzato sul posto non da parte di un “dilettante” (la definizione è della musa di Montale, ndr) quale io sono, essendo un grecista e non un montalista - dice il professor Condello -, ma di un team di esperti muniti di lenti di ingrandimento e microscopi, che esaminerebbero gli scritti sul posto con tecniche assolutamente non invasive. È un’operazione comunissima e normalissima che può essere compiuta in pochi giorni, semmai c’è da chiedersi perché non sia mai stata fatta. Operazioni come quelle fatte quotidianamente da grafologi per banali esami di testamenti dubbi».
Diari postumi di Montale La battaglia più feroce si sposta su Wikipedia
di Mario Baudino La Stampa 4.12.14
Sarà proprio vero che Eugenio Montale deformava in Ruboni il nome del poeta e critico Giovanni Raboni, e lo faceva allegramente anche in pubblico, tanto da spingere il dileggiato a una postuma vendetta? L’indiscrezione, che i protagonisti, entrambi scomparsi, non potranno smentire né confermare, ha fatto irruzione nei giorni scorsi per mano di una misteriosa Alice Blomberg su Wikipedia, nella voce dedicata al Diario postumo del grande poeta, ovvero a quelle poesie che sarebbero state lasciate da Eugenio Montale come una sorta di eredità centellinata ad Annalisa Cima, ultima musa, e da quest’ultima pubblicate fra molte polemiche sulla loro autenticità. Raboni sarebbe proprio colui che dette l’avvio alla lunga querelle, nel 1986, seguito poi da altri critici - ma non da tutti. Un complotto, o giù di lì, nato da rancori personali. Chi però fosse andato ieri sull’enciclopedia online a cercare una pagina in tutto degna di quella «ferocia letteraria» cui anni fa dedicò un ampio saggio il francese Jean-Marie Monod («gli odi letterari - scriveva - sono più feroci di quelli politici perché fanno vibrare le fibre più profonde dell’amor proprio, e il trionfo dell’avversario vi consegna al ruolo di imbecille»), ebbene sarebbe stato assai deluso: non ce n’era più traccia. Oggi chissà. Domani forse. È infatti in corso quella che nel linguaggio della rete si definisce una «edit war», una guerra dove si scrive e si cancella senza quartiere, e la pagina di Wikipedia viene modificata instancabilmente, anche parecchie volte al giorno. È deflagrata dopo l’intervista di Bruno Quaranta sulla Stampa, nella quale Annalisa Cima contrastava le conclusioni di un congresso bolognese sul tema, dove ilDiario postumo era stato condannato senza appello come apocrifo. Le aveva risposto il professor Federico Condello, fra i partecipanti al convegno e autore di un saggio (I filologi e gli angeli. È di Eugenio Montale il Diario postumo?, Bononia University Press) che fa a pezzi le tesi dell’autenticità, pur sostenuta a suo tempo da studiosi come Gianfranco Contini, Mariella Bettarini, Maria Corti e Cesare Segre. Tutti scomparsi, e quindi anche loro impossibilitati a intervenire. Lo fa invece con una breve lettera la figlia di Dante Isella, accusato a sua volta dalla Cima, sempre sul nostro giornale, di un inspiegabile dietrofront, per di più fatto, e qui interviene la misteriosa Alice Blomberg su Wikipedia, «per ragioni ancor meno nobili» (rispetto a quelle di Raboni). «Voglio dichiarare - scrive alla StampaSilvia Isella - la totale infondatezza delle affermazioni di Annalisa Cima, a partire dalla tesi della “conversione”, per cui in un primo momento mio padre avrebbe avallato la pubblicazione e poi ne avrebbe denunciato l’inautenticità per pura ripicca accademica: una sciocchezza inverificabile, che offende la memoria di chi non può più rispondere». Condello rincara la dose: «Si sta cercando ancora una volta di cambiare la storia delDiario postumo. Su Wikipedia Alice sta fornendo una versione dei fatti completamente diversa da quella sostenuta fino a poco tempo fa da Annalisa Cima, che peraltro ha a sua volta mutato significativamente la ricostruzione dei fatti». In altre parole, l’una nel cyberspazio l’altra sulla carta stampa, sembrerebbero rispecchiarsi, anche se sono parecchi gli utenti intervenuti ad aggiungere e cancellare righe o paragrafi su Wikipedia. Lo studioso bolognese fa notare, con un po’ di malizia, che Alice è il nome della nonna materna della Cima, e il cognome Blomberg rimanda all’idea di «cima». Trattandosi di un duello filologico (all’ultimo sangue) non si può negare che le armi paiano appropriate.
4 commenti:
A me Segre ha detto, due anni prima della morte, che la Cima "è una millantatrice opportunista". E Cesare era uno molto sveglio...
Aggiungo che Madame è una eccellente plagiatrice. Chiedetelo a suo marito che vive come fosse agli arresti domciliari: in un recente necrologio pubblicato dalla Cima il poverino, che è tedesco, si chiama CIMA come fosse moglie della virago. Quanto ai modi della "dottoressa", che pranza ogni giorno al Four Seasons di Milano, intervistate il personale. A Lugano, anche oggi, ha ipnotizzato altri disperati. Inesauribile...
Buono a sapersi. Segre ha lasciato niente di scritto in merito?
Tutto è possibile, specie negli ambienti letterari. Ma mi parrebbe strano che Segre avesse definito la Cima una millantatrice opportunista, visto che le dedicò tre splendide prefazioni, che si possono leggere nel sito www.annalisacima.com La sua poesia può piacere o non piacere. Alla prima lettura, anche a me parve decisamente ostica. Si apprezza nelle riletture successive. E' una scrittura stratificata e cangiante, piena di dissonanze volutamente irrisolte, ma guidata dalla ricerca dell'armonia.
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