mercoledì 5 novembre 2014

La critica letteraria nella crisi della modernità

nessunamilitanzaAntonio Tricomi: Nessuna militanza, nessun compiacimento. Poveri esercizi di critica non dovuta, Galaad, pp. 424, euro 16


Il tracollo della modernità 
Saggi. L'ultimo libro di Antonio Tricomi, «Nessuna militanza, nessun compiacimento. Poveri esercizi di critica non dovuta». Qui l’Italia è vista come una piccola Weimar, laboratorio politico per la distruzione della collettività

Marco Gatto, il Manifesto 5.11.2014 
A dispetto del titolo tri­ste­mente sar­ca­stico, il nuovo lavoro di Anto­nio Tri­comi, Nes­suna mili­tanza, nes­sun com­pia­ci­mento. Poveri eser­cizi di cri­tica non dovuta (Galaad, pp. 424, euro 16) si impone come uno dei sem­pre più rari esempi ita­liani di sag­gi­stica mili­tante. Chi cono­sce l’ampia pro­du­zione di Tri­comi non ne sarà certo stu­pito: da almeno una decina d’anni, il cri­tico sici­liano di nascita e mar­chi­giano d’adozione si pro­duce in un’inesausta inve­sti­ga­zione della moder­nità let­te­ra­ria e cul­tu­rale, sof­fer­man­dosi in prima bat­tuta su una delle sue osses­sioni cri­ti­che – Paso­lini, a cui Tri­comi ha dedi­cato tre volumi, fra i quali si può ricor­dare Sull’opera man­cata di Paso­lini (2005) –, poi inter­ro­gan­dosi sui carat­teri e sull’eredità del Nove­cento ita­liano (let­te­ra­rio e non solo), con La Repub­blica delle Let­tere (2010), non senza tra­scu­rare il cinema, l’inchiesta, la pole­mica poli­tica (si vedano i con­tri­buti rac­colti ne Il bro­gliac­cio lasco dell’umanista).

Fedele a un’idea di cri­tica che sia anzi­tutto discorso sul pre­sente e che mai si appa­ghi d’essere mero eser­ci­zio erme­neu­tico auto­re­fe­ren­ziale, e con­scio di rifarsi a modelli oggi scar­sa­mente fre­quen­tati o rite­nuti fuori tempo mas­simo per­sino dagli addetti ai lavori del campo uma­ni­stico (For­tini, prima di tutto; ma anche Bar­thes, Anders, Kra­cauer e tanti altri cri­tici della moder­nità), Tri­comi potrebbe sem­brare, nel pano­rama attuale, una sorta di cri­tico senza casa: inca­pace di addo­me­sti­carsi poli­ti­ca­mente e di limi­tarsi al lin­guag­gio spe­cia­li­stico dell’accademia; pari­menti ostile alle bana­liz­za­zioni della pub­bli­ci­stica di regime: per­ché, in fondo, fin troppo con­sa­pe­vole della reci­pro­cità di ambe­due le pose.
Una con­di­zione invi­dia­bile, quella dell’intellettuale peri­fe­rico e mar­gi­nale, potrebbe dire qual­cuno. In realtà, que­sta nuova rac­colta di saggi – nella quale il let­tore potrà incon­trare il cinema di Soku­rov, i romanzi di Bel­low, una rifles­sione sulle idee arti­sti­che di Tol­stoj, ana­lisi poli­ti­che della con­di­zione ita­liana, un mira­bile inter­vento su Nicola Chia­ro­monte, una map­pa­tura ragio­nata dell’ultima pro­du­zione let­te­ra­ria ita­liana, e molto altro – sem­bra voler met­tere in evi­denza, e dun­que com­bat­tere, l’implicita cara­tura pater­na­li­stica e nichi­li­stica di tanta reto­rica dell’impegno, ricon­se­gnando un ritratto civi­ca­mente più attento e rea­li­stico dell’attuale con­di­zione intel­let­tuale ita­liana.
Un paese, l’Italia, che nei saggi di Tri­comi assume le sem­bianze di una pic­cola Wei­mar, un labo­ra­to­rio poli­tico in cui scor­gere le con­se­guenze, que­ste sì nichi­li­sti­che e per­sino apo­ca­lit­ti­che, del tra­collo della moder­nità, dello sfa­scio del sapere uma­ni­stico e della distru­zione pres­so­ché totale della col­let­ti­vità, a bene­fi­cio di un mondo che, die­tro l’apparente demo­cra­tiz­za­zione dei con­sumi cul­tu­rali e della vita tutta, rivela il volto tetro delle con­trad­di­zioni sociali più effe­rate. Un paese, l’Italia, che si pone, per­tanto, come avan­guar­dia di quella «fero­cia» che, da con­di­zione di classe, sem­bra imporsi come uni­ver­sale carat­tere nazio­nale – per evo­care lo straor­di­na­rio romanzo omo­nimo dato da poco alle stampe da Nicola Lagioia, non a caso fir­ma­ta­rio della pre­fa­zione al libro di Tri­comi (la post­fa­zione è fir­mata da Gof­fredo Fofi). Una vio­lenza sim­bo­lica cui il mondo della cul­tura sem­bra oggi obbe­dire, pie­gan­dosi a quelle logi­che di pro­fitto e con­ser­va­zione che infe­stano, a parere dell’autore, ogni ambito di realtà, per dar così vita a un’antropologia del tutto nuova e dege­ne­rata, fon­data sul ser­vag­gio o sull’accettazione pas­siva.
Di fronte all’esplosione della moder­nità, che il cri­tico rileva anzi­tutto nella distru­zione del suo stesso campo d’azione (l’umanesimo), l’unica pos­si­bile forma di resi­stenza non coin­cide con l’accettazione eroica di una mar­gi­na­lità – sia essa espe­ri­bile nelle forme del pre­ca­riato intel­let­tuale o in quelle dell’effettiva lon­ta­nanza dai cen­tri del potere cul­tu­rale o poli­tico: a Tri­comi è estra­nea la riven­di­ca­zione di una sog­get­ti­vità diversa, eletta, anta­go­ni­stica, trat­tando il capi­ta­li­smo dei nostri tempi come una tota­lità che tutto ingloba –, quanto con l’esercizio di una luci­dità ana­li­tica che sia capace di orien­tare gli indi­vi­dui, li renda con­sa­pe­voli della loro posi­zione nel mondo, attra­verso un dia­logo ser­rato con quel sapere offeso che è oggi la tra­di­zione della moder­nità. «Se l’umiliata gene­ra­zione alla quale appar­tengo infine si con­vin­cerà di essere anzi­tutto chia­mata a far da ponte tra un pas­sato di cui si è persa la memo­ria e un futuro che nep­pure si rie­sce a imma­gi­nare, e se essa accet­terà il rischio dell’anonimato pur di svol­gere al meglio tale com­pito, potrà magari veri­fi­carsi uno di quei para­dossi, tal­volta bene­fici, con i quali la sto­ria è solita spiaz­zare chi perio­di­ca­mente ritiene di averne indo­vi­nato il corso».
Inver­sione di rotta, sem­brano sug­ge­rire gli «eser­cizi» di Tri­comi, che si ritiene pos­si­bile a patto di con­ce­pire il sapere come inter­ro­ga­zione cri­tica dell’esistente e non come orna­mento di massa.

Nessun commento: