giovedì 19 febbraio 2015

Tachipirinas alla resa dei conti

L’America preme sulla Grecia: «Intesa o conseguenze dure»
Il segretario del Tesoro Usa chiama il ministro delle Finanze ellenico VaroufakisJuncker: «Rispettare gli obblighi finanziari» Corriere 19.2.15

Ultimatum, Perché Atene sta già per capitolare
di Stefano Feltri il Fatto 18.2.15Il bluff sta per finire: domani si capirà se la Grecia di Alexis Tsipras preferisce tradire le sue promesse elettorali o uscire dall’euro e dall’Unione europea. Secondo le indiscrezione che Bloomberg rilanciava ieri sera, il governo greco sarebbe orientato a chiedere un’estensione del programma imposto dalla Troika che scade il 28 febbraio. Ci saranno condizioni un po’ diverse, certo, ma alla fine Angela Merkel potrà spiegare agli elettori tedeschi che i greci rimangono sotto la tutela europea e non vengono lasciati liberi di cancellare tutte le riforme dell’austerità di questi anni. Tsipras spiegherà in Grecia che ha vinto perché la Troika non si chiamerà più Troika, anche se i creditori (Unione europea, Fondo monetario, Bce) continueranno a vigilare sui 240 miliardi che hanno prestato alla Grecia in questi anni.

La rottura dei negoziati lunedì sera all’Eurogruppo ha spinto tutti a riflettere sull’ipotesi che davvero Atene possa essere congedata dall’Unione e dall’euro: niente riforme e niente austerità significano niente più finanziamenti a uno Stato che ha le casse vuote. Sempre Bloomberg ha raccontato il clima al vertice dell’Eurogruppo a Bruxelles: il ministro delle Finanze tedesco, Wolfgang Schauble, avrebbe “perso le staffe” e spiegato al suo omologo greco Yanis Varoufakis che rimanere nell’euro “è una decisione interamente nelle mani della Grecia”. E il premier Tsipras ha ripetuto che “l’austerity è morta” e che non accetta compromessi.
MA LA POLITICA si ferma dove cominciano le esigenze concrete della finanza. Le banche greche stanno affrontando da dicembre, quando sono state convocate le elezioni anticipate, una fuga di capitali verso l’estero, almeno 7,6 miliardi di euro. Fiumi di denaro continuano a lasciare il Paese, come dimostra la decisione della Bce di Mario Draghi di alzare da 60 a 65 miliardi la linea di credito di emergenza Ela in questi giorni di tensione. E, secondo la stampa greca, non sarebbero già più abbastanza. Sul Financial Times di ieri l’economista tedesco Hans-Werner Sinn sottolineava il paradosso di questa situazione: “In definitiva i cittadini degli altri Paesi europei, senza che nessuno li abbia consultati, stanno fornendo credito a proprio rischio e pericolo per consentire ai greci benestanti di spostare i loro capitali al sicuro”. I piccoli risparmiatori o i tanti ateniesi ridotti in povertà dalla austerità non hanno ingenti depositi da spostare all’estero. I ricchi – spesso evasori – invece sì. Hans-Werner Sinn suggerisce quindi che ci dovrebbe essere un blocco ai movimenti di capitale, come a Cipro nel 2013 durante la crisi bancaria che portò all’arrivo della Troika. Una crisi bancaria spingerebbe la Grecia fuori dall’euro ma le misure che servono a evitarla certificherebbero comunque la fine della moneta unica. Per questo Tsipras non ha altra scelta se non cedere.

Che cosa succede ad Atene se l’accordo non si trova?
I soldi bastano solo per un mese: poi il rischio è la bancarotta

La Stampa 18.2.15
E’ uno dei litigi interni più feroci della storia dell’Ue. Messa al tappeto dalla crisi finanziaria esplosa nel 2007, la Grecia s’è trovata con troppo debito e senza i denari per finanziarlo. Europa, Bce e Fmi hanno costruito un programma di salvataggio, 240 miliardi di prestiti condizionati a una serie di riforme strutturali destinate sulla carta a rendere competitiva l’economia ellenica. Il controllo del rispetto degli impegni presi da diversi governi ellenici è stato affidato alla famigerata Troika, il terzetto dei creditori internazionali. Il pagamento di ogni rata è stato vincolato alla realizzazione delle promesse. Dopo essere precipitato, il pil è tornato crescere (+1% nel 2014), ma la disoccupazione resta a livelli insostenibili (26%,6).

Perché la trattativa è urgente?
«Il programma d’aiuti scadeva a fine 2014 ed è stato prorogato sino a fine febbraio. Se non verrà rinnovato, o esteso, la Grecia dovrà andare sul mercato da sola per finanziarie l’immenso passivo pubblico (176,3% del pil a dicembre). I tecnici greci affermano di avere soldi per un mese. Solo in marzo scadono 4,3 miliardi di titoli, mentre poco meno di un miliardo va reso al Fondo. Tsipras può accettare di allungare l’aiuto della Troika. Oppure può far da solo e rivolgersi ai mercati, dove il denaro gli costerebbe oltre il 10%. Sarebbe l’inizio della bancarotta, dunque della possibile sortita dall’eurozona. A meno che non intervenissero prestatori esterni, magari la Cina o la Russia. Difficile».
Cosa offre l’Europa?
«Invitano Atene a chiedere una estensione tecnica di sei mesi del programma esistente come mossa temporanea. In questo modo, si potrebbe guadagnare i giorni necessari per discutere un nuovo accordo. Nel semestre, i greci dovrebbero mantenere buona parte degli impegni precedenti, in termini di riforme e controllo dei conti pubblici. Ogni misura tolta andrebbe compensata con un’altra per non mettere a rischio la stabilità».
Come risponde la Grecia?
«Alexis Tsipras ha vinto le elezioni promettendo uno stop all’austerità e la liberazione dalla Troika per risolvere la “crisi umanitaria” greca. La via d’uscita proposta insieme col ministro dell’Economia, Yanis Varoufakis, consiste nell’archiviazione del vecchio programma e nella definizione di una intesa che chiamano “Contratto a lungo termine”, ancora soldi e riforme, ma con un mix differente. Nel frattempo, chiedono una fase di transizione senza vincoli esterni e senza controlli. Un allungamento del piano dei prestiti con condizioni a piacere».
Perché l’Eurozona non vuole?
«Il motivo istituzionale è la difesa delle regole, non si può permettere che un solo socio faccia saltare gli accordi del club. Le ragioni politiche sono due: i paesi già usciti dal programma (Spagna, Portogallo e Irlanda) non possono accettare che i greci la facciano franca; gli stessi governi, soprattutto gli spagnoli e i popolari, non possono darla vinta a Syriza per non rafforzare gli emuli locali, nel caso Podemos».
Come finirà?
«Lo stesso Varoufakis ricorda che l’Europa è la terra dei compromessi, dunque questa resta la soluzione più probabile. In caso di rottura, marzo può essere ancora un mese di tempi supplementari estremi per trattare. Sennò Tsipras può liberarsi dall’Europa e restare da solo. Oppure può, insieme con i partner, trovare una formula semantica che permetta a tutti di dire “Abbiamo vinto!”, quindi negoziare in fretta un nuovo accordo. L’alternativa è il crac probabile. Che non conviene a nessuno».


di Antonio Sciotto il manifesto 18.2.15

Nel negoziato di Atene entra anche (per gioco) il dilemma del prigioniero
di Danilo Taino Corriere 19.2.15
Sceglierà la ragazza bruna o quella bionda, Yanis Varoufakis? Se andrà per la bruna, un accordo tra Atene e i 18 partner dell’Eurozona si potrà fare. Se si intestardirà sulla bionda, i rischi di un fallimento delle trattative saranno alti. La questione è la Teoria dei Giochi, della quale il ministro delle Finanze greco, economista, è un esperto, tanto che, volente o meno, l’ha fatta entrare nel dibattito politico dei negoziati con i partner dell’Eurozona. Creando anche un certo scetticismo: durante una delle recenti trattative, il ministro dell’Economia italiano, Pier Carlo Padoan, gli avrebbe fatto notare che non si stava discutendo del Dilemma del Prigioniero, cioè di uno dei casi più conosciuti della Teoria, quello che stava alla base della deterrenza nucleare reciproca tra America e Unione Sovietica nella Guerra Fredda.
Prima di ora, la Game Theory — sistematizzata nella prima metà del Novecento da John von Neumann — ha avuto un momento di notorietà di massa nel 2001, con il film A beautiful mind , sulla vita di John Nash, il matematico che diede un contributo sostanziale alla Teoria (la quale in sostanza è lo studio dei conflitti e della cooperazione tra entità razionali). La questione della bionda e della bruna nasce lì: Nash (Russell Crowe) si rende conto, all’università, di fronte a un gruppo di ragazze tutte brune eccetto una, che se lui e i suoi amici puntano tutti sulla bionda applicheranno una strategia perdente. Forse nessuno la conquisterà, di certo le sue amiche si irriteranno e anche loro daranno del lungo ai ragazzi. Meglio sarebbe distribuire le forze, i risultati sarebbero complessivamente migliori. Trovare strategicamente vantaggioso il puntare alla scelta B invece che alla A turba Nash; ma non gli impedisce di sviluppare in matematica il concetto, che alla fine verrà conosciuto come Equilibrio di Nash e non si limiterà a mettere in guardia dalle ragazze bionde, entrerà in una lunga serie di attività umane. Compreso il campo delle strategie negoziali.
Nel caso di Varoufakis, sembra ormai chiaro che per lui e per il suo primo ministro Alexis Tsipras andare per l’obiettivo massimo, nel corso delle trattative a Bruxelles, è una strategia perdente. Avrebbe senso usare un approccio diverso. Qui però entra in questione un altro aspetto della Teoria: la razionalità o meno dei protagonisti. L’esperienza applicativa, mostra che funziona bene — cioè prevede i risultati e li realizza — se i protagonisti si comportano seguendo il loro interesse. Fallisce spesso quando i soggetti sono mossi da emozioni non razionali. Per cui, applicata all’economia è piuttosto utile, applicata alla politica lo è meno. In alcuni casi, in effetti, le complicazioni di cui tenere conto sono molte.
Il Dilemma del Prigioniero citato da Padoan è tutto sommato semplice. Prendiamo due spacciatori di droga che vengono arrestati e chiusi in celle separate. Viene detto loro che si faranno due anni di prigione. Il magistrato si accorge però che probabilmente sono anche responsabili di un reato più grave, un furto di armi. Ma non ha prove. Quindi fa la stessa proposta ai due, sempre tenendoli separati: «Se confessi il furto, diamo un anno di carcere a te e dieci anni al tuo compare; ma se neghi e l’altro confessa, i dieci anni li prendi tu e lui uno. Se ambedue confessate, vi diamo tre anni ciascuno. Se entrambi negate, restate con i due anni per spaccio». Quest’ultimo è lo scenario più vantaggioso per entrambi. Ma dal momento che i due non si fidano l’uno dell’altro, faranno un calcolo diverso, che rientra nel caso dell’Equilibrio di Nash, e decideranno di confessare perché quello è il rischio minore tenendo conto di cosa potrebbe decidere l’altro (provare le ipotesi su una matrice). È un caso di gioco non cooperativo nel quale l’equilibrio si raggiunge quando ciascuno dei protagonisti fa la scelta migliore per se stesso tenendo conto delle decisioni dell’altro. Se sarà questo il finale tra Atene e Bruxelles si vedrà.
Certo, la trattativa è più complicata. Non sarà però la complessità a determinarne l’esito. Negli ultimi anni, la Teoria dei Giochi ha trovato applicazioni sofisticatissime. Famoso è il caso di Bruce Bueno de Mesquita, della New York University, che ha previsto una serie di eventi politici, a cominciare dalla caduta di Hosni Mubarak in Egitto, con precisione temporale straordinaria. Altre applicazioni, sempre computerizzate, riescono a funzionare da elementi mediatori tra Paesi in conflitto che non vogliono dare, durante una trattativa, informazioni all’avversario e rischiano quindi di fare fallire i negoziati. Il problema, piuttosto, nel caso greco è capire se Varoufakis e Tsipras rispondono alle caratteristiche dell’ Homo oeconomicus che si comporta razionalmente, sulla base del proprio interesse. O se andranno per la ragazza bionda.

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