L’avanzata dello Stato Islamico viene strumentalizzata in Occidente per dare fondamento al cosiddetto scontro di civiltà, in chiave neo-colonialista. Israele, Stato nato come bastione occidentale in Medio Oriente, otterrà maggiore supporto a scapito delle aspirazioni palestinesi?
Assolutamente sì. Lo Stato Islamico è la miglior cosa che potesse capitare a Israele. Con il califfato si risolleva la voce di coloro per i quali esiste un solo Stato illuminato in Medio Oriente, Israele, baluardo contro l’avanzata dell’estremismo islamico. Spero che in Occidente la gente non cada in un trucco tanto meschino: non si tratta affatto di uno scontro di civiltà, ma di giustizia sociale e modelli democratici di integrazione. Basta guardare a come l’Isis attira giovani musulmani europei andando a pescare tra i gruppi più oppressi e marginalizzati. Non stiamo parlando di una questione culturale e religiosa, ma sociale ed economica: se in Europa si assistesse ad una trasformazione democratica, se si impedisse a ideologie razziste e pratiche capitaliste di determinare l’esistenza della gente, gruppi come l’Isis non troverebbero spazio. L’Isis non ha terreno fertile dove la gente si sente integrata, dove è uguale a livello sociale e economico.
Per questo è necessaria un’analisi approfondita dell’imperialismo occidentale e del movimento sionista per combattere le simpatie che musulmani europei accordano a gruppi radicali. Se sei un marginalizzato o un escluso trovi nell’identità musulmana lo strumento per migliorare la tua esistenza. La stragrande maggioranza degli oppressi non reagisce così, ma alcuni individui optano per la violenza, in ogni caso minima rispetto a quella dell’oppressore. Così si allarga lo Stato Islamico, questo mostro che l’Occidente ha fabbricato, novello Frankenstein che si ribella al suo creatore.
La prolungata occupazione della Palestina e di un simbolo religioso e identitario come Gerusalemme rappresenta un mezzo di radicamento di gruppi come lo Stato Islamico? Che ruolo ha nella propaganda islamista la Palestina?
Se il conflitto israelo-palestinese venisse risolto in modo giusto, il Medio Oriente cambierebbe faccia. L’occupazione della Palestina è una delle principali giustificazioni per chi ha simpatie islamiste, perché è il simbolo del doppio standard che l’Occidente applica a chi viola i diritti umani fondamentali. Un cambiamento dell’approccio europeo verso il popolo palestinese intaccherebbe il potere della propaganda islamista. Senza Palestina la giustificazione dell’esistenza dell’Isis non sarebbe tanto forte.
Il premier israeliano Netanyahu ha messo sul tavolo 46 milioni di dollari per spingere ebrei di Francia, Danimarca e Ucraina a immigrare in Israele, sfruttando i recenti attacchi e la guerra a Kiev. Un nuovo video per la campagna elettorale del Likud usa la minaccia Isis per accaparrarsi voti. Un chiaro utilizzo dell’identità in contrasto per rafforzarsi all’interno?
Netanyahu è un cinico, sfrutta tali eventi in chiave elettorale per costringere la sua opinione pubblica a focalizzare l’attenzione sul nemico esterno, invece che sulle questioni economiche e sociali. È ovvio che il messaggio non è diretto agli ebrei europei, ma all’interno, ai cittadini israeliani. Purtroppo può funzionare: Netanyahu ha deluso buona parte del suo elettorato storico, ma è probabilmente l’unico in grado di guidare una coalizione composta di tanti partitini. Forse non subito, ma poco dopo le elezioni sarà scelto di nuovo come premier.
Il sionismo, da prima la nascita di Israele, punta sull’identità ebraica per cancellare quella palestinese ma anche per tenere insieme una società frammentata. Quali sono oggi le caratteristiche della società israeliana?
Ciò che è cambiato rispetto al passato è che le caratteristiche più profonde della società israeliana, che prima erano meno palesi, oggi sono uscite allo scoperto: razzismo e polarizzazione economica e sociale sono cresciuti come mai prima. Il gap socio-economico è il terreno migliore per ideologie estremiste. I gruppi più marginalizzati, in particolare gli ebrei originari del Medio Oriente e dell’Africa, sono più facilmente reclutabili dalla destra. Ed infatti cuore del dibattito elettorale non è la questione sociale e economica, ma lo scontro tra identità. La società è più razzista, più estremista, priva di solidarietà interna anche verso altri ebrei, fondata sull’odio verso il diverso. È un veleno per le future generazioni.
Lei ha definito l’ultimo attacco contro Gaza «genocidio incrementale». Perché Israele colpisce Gaza, enclave impoverita, terra che Israele non vuole annettere? Volontà di spezzare la resistenza o mero strumento di caccia al consenso tramite la paura?
Se la gente di Gaza accettasse di vivere in un ghetto, Israele la dimenticherebbe. Ma Gaza resiste e quando Israele decide che è tempo di reagire a tale resistenza mette in campo la forza militare, che in un’enclave come la Striscia significa genocidio. In secondo luogo, c’è l’immenso business dell’industria militare, con Gaza a fare da laboratorio per le armi da vendere fuori. Terzo, la convinzione dell’esercito israeliano per cui il mondo arabo non prende sul serio la macchina da guerra di Tel Aviv: attaccando Gaza Israele manda un messaggio a Iran, Siria, Hezbollah.
Qual era l’obiettivo dell’attacco israeliano a Hezbollah nel sud della Siria il 18 gennaio? Aprire un nuovo fronte o inviare, appunto, un messaggio all’asse sciita, che sta – con l’esercito di Damasco, pasdaran e Hezbollah – avanzando a sud e con l’Iran che intreccia nuove relazioni con Hamas?
Il governo ha camminato lungo quella linea rossa, sottilissima, che separa la guerra dalla non guerra. Ha finto di voler attaccare, sapendo benissimo di non volerlo fare. Netanyahu punta sulla paura della guerra, non sulla guerra: la prima fa prendere voti, la seconda no. Israele non ha il potere di sradicare Hezbollah dal Libano, intende solo alzare la tensione, togliere l’attenzione dal prezzo delle case, del latte, della vita.
Pare che l’Università di Roma Tre abbia annullato l’incontro di lunedì dietro presunte pressioni della comunità ebraica. La censura è lo strumento di chi teme il confronto: perché si ha paura di parlare della questione israelo-palestinese?
Sospettiamo che ci sia stata una pressione, seppure non abbiamo prove dirette. In Europa ci si sente ancora responsabili dell’Olocausto e i palestinesi ne pagano il prezzo. Il sionismo ha offerto all’Europa la migliore soluzione: invece di aprire una discussione sincera sulla questione ebraica, si è preferito puntare sul progetto sionista e la colonizzazione della Palestina. Inoltre la lobby ebraica è potente: non si parla di Palestina per timore di perdere aiuti economici o politici.
C’è però un elemento positivo: la società civile italiana e europea ha modificato l’approccio alla questione, distanziandosi dalle élite politiche. Molti sanno cosa accade in Palestina e sostengono la sua causa perché si tratta di una causa semplice: lotta al colonialismo e difesa dei diritti umani.
Un approccio che manca invece all’interno di buona parte della sinistra italiana e europea.
La sinistra in Francia, Italia e Germania è sionista perché non intende affrontare – seppur ne abbia il dovere – la questione ebraica. Avendo paura di farlo, preferisce nascondersi sotto l’ala confortevole del sionismo, ergerlo a soluzione negando i diritti del popolo palestinese, per loro sacrificabili. È vero anche che la sinistra si scopre razzista quando affronta culture non europee, per cui è meglio l’ebraismo del mondo arabo o dell’Islam. Eppure oggi centrale non è il giudaismo, ma l’islamofobia, ovvero la paura di popoli che l’Europa ha oppresso e colonizzato per secoli. Affrontare tale dibattito, all’interno di un contesto di sano multiculturalismo, non è un processo facile ma va fatto. Ed invece no, si continua sul sentiero del colonialismo. Con altri mezzi.
Scoppia il caso nel Pd Stato di Palestina, il voto alla Camera slitta
Una mozione di Sel-Psi chiede il riconoscimento. Il Pd verso il sì. Contrarie Fi e Lega
La Stampa 19.2.15
Mozione pro Palestina. Israele critica il Pd
di D. Mart. Corriere 19.2.15
I dem spingono sul riconoscimento dello Stato. La freddezza del governo,
poi il dibattito salta Dura l’ambasciata in Italia: un atto prematuro
che allontanerebbe le possibilità di pace
RoMA Alla fine non se ne fa niente, almeno per ora. Le mozioni sul
riconoscimento dello Stato palestinese e quelle sulla politica estera
(dall’Ucraina alla Libia), in calendario per oggi alle 14 alla Camera,
slittano in avanti a data da destinarsi.
Il dibattito, chiesto mesi fa da Sel e M5S, si sarebbe potuto tenere
oggi solo se alla conferenza dei capigruppo si fosse raggiunta
l’unanimità: invece non c’è stato un voto omogeneo capace di aprire in
Aula una finestra di 4-5 ore dedicata alla Palestina e alla politica
estera, come era stato chiesto (non proprio a gran voce) dal Pd e
ovviamente da Sel. Forza Italia, Lega e M5S non hanno concesso la deroga
e così, visto anche l’atteggiamento tiepido di Ncd, la questione si è
risolta con un rinvio sine die che, a questo punto, non dispiace neanche
a Palazzo Chigi: il governo infatti per tutto il semestre europeo
(luglio-dicembre) aveva già congelato il dibattito parlamentare sul
riconoscimento della Palestina.
Il rinvio è arrivato al termine di una giornata nervosa, fuori e dentro
il Parlamento. Da Palazzo Chigi è stato un continuo di inviti alla
prudenza e alla «contestualizzazione» del dibattito sul riconoscimento
dello Stato palestinese. I destinatari del messaggio erano soprattutto i
deputati dem dopo che i vertici del gruppo del Pd avevano annunciato di
voler preparare e votare una mozione. «Leggerò la mozione del Pd ma no a
iniziative unilaterali», ha detto il presidente della comunità ebraica
di Roma Riccardo Pacifici.
Pressioni sul governo, poi, si sono concretizzate quando l’ambasciata di
Israele ha diffuso un comunicato dai toni netti: «È chiaro che
qualsiasi riconoscimento prematuro non farebbe altro che incoraggiare i
palestinesi a non ritornare ai negoziati... L’instabilità in Medio
Oriente e nella regione del Mediterraneo è già abbastanza grande ed è
giunta a lambire anche l’Italia e l’Europa. Pertanto Israele certamente
non accetterà la creazione di un’ulteriore entità terroristica in Medio
Oriente». L’ambasciata israeliana, comunque, ha preso molto sul serio
l’ipotesi di un voto del Parlamento seppure su una mozione dai toni più
blandi: «Qualora davvero si votasse, auspichiamo che i deputati si
pronuncino in favore del sostegno al processo di pace fra Israele e
palestinesi, basato sul principio di due Stati...».
E quando si è riunito il gruppo del Pd con il ministro degli Esteri
Paolo Gentiloni è stato chiaro che sbrogliare la matassa non sarebbe
stato facile. Ha introdotto il responsabile Esteri, Enzo Amendola, e poi
nel dibattito ci sono state posizioni più sensibili al riconoscimento
netto dello Stato palestinese (Fossati, Bruno Bossio, Scanu) e altre
storicamente più legate al contesto «due Stati» sancito dagli accordi di
Oslo (Fiano, Verini, Sereni, Zampa).
Alla fine Gentiloni avrebbe ricordato che un voto del Parlamento è certo
importante ma, come è successo in altri Paesi Ue, non innesca
necessariamente un atto conseguente del governo.
Sul fronte palestinese, da Ramallah si è fatto sentire Nemer Hammad,
consigliere politico del presidente Abu Mazen e profondo conoscitore
dell’Italia che, riferendosi al Pd, ha parlato di «segnale importante
per riaprire il processo di pace con il prossimo governo israeliano e
favorire la soluzione dei due Stati». Hammad si è poi rivolto a «Casini e
agli amici di Forza Italia perché seguano la stessa strada». Ma il
capogruppo Renato Brunetta (FI) ha scaricato su Renzi la responsabilità
del rinvio: «Il caos nel governo ha fatto saltare il dibattito sulla
politica estera». Per Arturo Scotto (Sel) lo slittamento «è un bel
regalo dell’ostruzionismo del M5S».
Laura Puppato, senatrice Pd “Paralizzati dalla Shoah ma ora basta tergiversare su un popolo che soffre”
intervista di Giovanna Casadio Repubblica 19.2.15
ROMA «La mozione del Pd arriva tardi, abbiamo sempre avuto il timore di
mettere il dito nella piaga». Laura Puppato, senatrice dem, un anno fa
“congelò” una mozione per il riconoscimento dello Stato palestinese, che
era sul punto di presentare in Senato, per evitare tensioni nel
partito. Ora chiede che i Dem vadano avanti spediti e senza compromessi.
Puppato, la mozione sul riconoscimento dello Stato della Palestina davvero divide il Pd?
«Il fatto che si decida intanto è un punto importante. Ho notato molta
resistenza e difficoltà ad esprimere chiaramente una linea su questo per
le mille e più ragioni, anche per il senso antico di colpa nei
confronti degli ebrei che però non può consentire di ignorare angherie e
barbarie israeliane. Non c’è confronto nella proporzione di armamenti e
forze messe in campo. Possibile che non ci si renda conto della
tragedia impari vissuta da quel popolo palestinese che si è visto
espropriato di tutto?».
Lei è filopalestinese e poco disposta alle ragioni degli israeliani?
«Amo gli israeliani e gli ebrei, ho amici ebrei. Ma penso non si possa
più diluire nel tempo l’attesa che lo Stato palestinese debba esistere
come Stato, come paese e non solo come terreno rinchiuso tra due fuochi,
come lembo di terra strappato a un altro lembo di territorio. Ho
incontrato con Giorgio Tonini circa un anno fa la consigliera
d’ambasciata palestinese Mai Alkaila. A luglio ho presentato in aula la
“cartolina” della Palestina così com’è, con un territorio ridotto al 12%
rispetto a quello che era nel 1947 dopo il piano di ripartizione delle
Nazioni Unite. C’è stata l’interrogazione con un gruppo di 24 senatori
dem, sempre in luglio. Per timore di mettere il dito in una piaga che
non si è risanata in Europa e che ha visto la tragedia immane della
Shoah, non si può però essere afoni».
Dentro il Pd è necessario mediare. Si fa fatica ad elaborare la mozione?
«Posso crederlo. Tuttavia l’Italia deve premere più di chiunque
sull’Europa perché si faccia portavoce di un’esigenza di pace, di
restituzione di giustizia».
Non crede che in questo momento il riconoscimento dello Stato palestinese sia benzina sul fuoco che infiamma la regione?
«No, è vero il contrario. Davanti all’Is, alla follia estremista che usa
la religione come strumento di morte, tutti i fondamentalismi
religiosi, dovunque si annidino, devono essere fermati».
La mozione dem va votata con Sel e i 5Stelle o con Ncd e Fi?
«Più si allarga e meglio è, ma la cosa importante è che si prema perché
l’Europa sia finalmente incisiva. Dovremmo quindi votarla con tutti
quelli che ci stanno».
E il testo deve essere formulato in modo che si chieda il riconoscimento subito?
«L’importante è chiedere che ci sia lo Stato palestinese o che si vada
in tempi rapidi verso lo Stato palestinese. A me interessa questo, che
la smettiamo di chiudere gli occhi».
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