mercoledì 14 ottobre 2015

La prostituzione nell'arte: una mostra a Parigi





Spendore e miseria. Immagini della prostituzione 1850-1910
a cura di Isolde Pludermacher, Marie Robert, Nienke Bakker e Richard Thomson (catalogo Flammarion)
Parigi (Museo d’Orsay, sino al 17 gennaio)

E sulla tela la prostituta scacciò la donna-madre
È la prima esposizione nel suo genere. Racconta un fenomeno sociale che tra '800 e '900 stravolse il mondo borghese ma anche quello dell'arte...


Viaggio nel regno delle cortigiane 
Al Museo d’Orsay una mostra su arte e prostituzione tra il 1850 e il 1910 Parigi equivoca e peccaminosa
Corriere della Sera Di Sebastiano Grasso sgrasso@corriere.it © RIPRODUZIONE RISERVATA 
Nella Parigi Secondo impero-Belle Époque come possono distinguersi, fra le coppie che frequentano l’Opera, i teatri e sfilano sui boulevard, moglie e fidanzate «titolari» dalle cortigiane, parimenti eleganti, e magari dotate di un fascino maggiore? Ed ecco il «gioco delle ambiguità» cui partecipano artisti come Carolis-Duran, Béraud, Falguière, ArmauryDuval, Anquetin, Valtat. Dai palcoscenici ai caffè-concerto, dalle birrerie ai cabaret, dalle sale da tè ai bordelli (popolari o di lusso), le donne scatenano la fantasia di pittori, scultori, romanzieri e poeti. E anche dei fotografi, che scandagliano il loro corpo anche nei dettagli più intimi. Diverso il discorso per il cinema: va avanti man mano che si perfezionano le impressioni sulla pellicola. 

Il fascino del proibito, del peccato è qualcosa di cui non si riesce a fare a meno. Prostituzione? In senso lato, sì («Prostituirsi letteralmente vuol dire mettersi in mostra, esporre al pubblico»). E il sesso si traduce in una sorta di laboratorio da cui attingere a piene mani. 

Per dare un’idea di quanto accadeva nella Ville Lumière, fra il XIX e il XX secolo, due musei hanno deciso di fare, prima a Parigi (Museo d’Orsay, sino al 17 gennaio) e poi ad Amsterdam (Museo Van Gogh) la mostra Splendori e miserie. Immagini della prostituzione 1850-1910, a cura di Isolde Pludermacher, Marie Robert, Nienke Bakker e Richard Thomson (catalogo Flammarion). Esposti dipinti, sculture, grafiche e fotografie. Grandi autori e qualche illustre sconosciuto. In accordo con modelle e clienti, i fotografi, tranne casi rarissimi, restano anonimi, per evitare guai. I dagherrotipi diventano depositari di avventure libertine. 
La mostra tira. Il giorno dell’inaugurazione (1877) di Édouard Manet (1832-1883), Hamburger Kunsthalle a Parigi pioveva a dirotto e c’era un forte vento. Nondimeno centinaia di visitatori si sono presentati alle 9 del mattino, ma sono rimasti delusi. Uno sciopero bloccava le entrate e a nulla sono serviti urla e fischi. Bisognava ritornare un’altra volta. 
Splendori e miserie è uno spaccato di storia del costume. Ai dipinti «specifici», se ne affiancano altri che illustrano i cambiamenti. Come il ritratto di Agostina Segatori, proprietaria del Café du Tamburin, eseguito da Van Gogh, con cui la modella italiana — che aveva posato per Manet e Corot — ebbe una relazione nel 1887. 
Nella nuova Babilonia s’avanza un esercito composito di professioniste e avventizie. Alle giovani che frequentano l’Opera e i teatri — in genere per iscriversi alle scuole di ballo o a quelle di canto, pur non sapendo fare né l’uno, né l’altro, ma per trovare un ricco protettore —, si affiancano le cortigiane di lusso, le pierreuses («lavorano» in edifici abbandonati), le filles en carte (schedate dalla polizia), le verseuses (servono bevande alcoliche nei locali), le avventizie (modiste, fioraie, lavandaie che si concedono saltuariamente per sbarcare il lunario). 
Gli scenari: Parigi moderna, ma anche Roma e Atene antiche. I personaggi? Accanto alle immagini delle Folies Bergère ( Boldini, Van Dongen), del Moulin Rouge e del Moulin de la Galette (Toulouse-Lautrec), si stagliano quelle dei teatri (Forain), dei ginecei (Vallotton), dei café (Degas, Evenepoil), delle lesbiche (Stuijters), dei boulevard di notte (Béraud, Giraud). 
Non mancano i protagonisti di alcuni romanzi. Ecco Nanà di Zola nei dipinti di Manet e di Gervex; Marguerite, la Signora delle camelie di Alexandre Dumas figlio, interpretata da Sarah Bernhardt di Mucha. Ecco cortigiane famose: Marguerite Bellanger, amante di Napoleone III, è l’Olympia di Manet e Cléo de Mérode, amante di Leopoldo del Belgio, è ritratta da Falguière. Non mancano soggetti storici: Maria Maddalena (Bérain e Mossa), le Tentazioni di Sant’Antonio (Cézanne), la Frine greca (Gérôme). E ancora: balli mascherati (Monet), nudi (Van Gogh, Degas), Il monumento alle cortigiane (Dalou), 


Su uno sfondo di veri e finti scandali, la Parigi moderna si veste di crinoline. Nel pomeriggio, c’è l’«ora dell’assenzio» (Degas, Picasso). E, di sera, l’ora dei lampioni. Scrive Flaubert nel 1842 all’amico Ernest Chevalier: «Ciò che mi piace di Parigi sono i boulevard. Quando i lampioni iniziano a riflettersi negli specchi e i coltelli a tintinnare sui tavoli di marmo, io me ne vado a passeggio, in pace, lasciandomi avvolgere dal fumo del mio sigaro e scrutando le donne che passano. È quella l’ora in cui si sparge la prostituzione, l’ora in cui brillano gli occhi».

Quelle donne da boudoir diventate muse per sempreTra erotismo e potere,le cocotte di fine ’800 ritratte dai grandi pittori in una mostra al Musée d’OrsayNATALIA ASPESI Republica 16 10 2015

Le dolciastre ballerine di Degas, in casto tutù, rivelano all’improvviso sguardi ambigui, posizioni invitanti, e poi uno strusciarsi di mestiere contro l’improvvisa folla di uomini che le aspetta dietro le quinte, luogo che nei dipinti di Jean Bérard e di Eugène Giraud pare un frenetico bordello tra bianchi veli femminili e nere marsine maschili. Si sa che Degas non amava le donne, ma frequentava, forse solo per ispirazione artistica, le tante maisons closes di Parigi, ed ecco allora i suoi pastelli, i suoi monotype, con i vivaci grappoli di donne nude, formose e spettinate, che baciano l’enorme maitresse vedovilmente bardata di nero, che trascinano in mezzo a loro un uomo, che si lavano scomposte in grandi catini arrugginiti. In vita, Degas non mostrò mai queste sue opere, ritrovate nello studio dopo la sua morte nel 1917, e da allora esposte molto raramente:
cinquanta fogli rimasti dalla pulizia fatta dal fratello, che ne aveva distrutto una settantina, terrorizzato dalla loro sconcezza. Ma anche certe opere di Picasso, di Munch, di van Gogh, di Toulouse-Lautrec, di Cézanne, raccolte in questa mostra al Musée d’Orsay (sino al 17 gennaio), appaiono lubriche se non addirittura lugubri, come mai in altri contesti.
Forse perché sono esposte tutte insieme, non tanto per l’ovvio valore artistico, quanto per il soggetto, nella grande prima mostra dedicata agli anni del trionfo mondano del meretricio e poi del suo oscurarsi nel disprezzo di una società sempre più misogina, moralista e spaventata dalla sifilide. Titolo ispirato a uno dei romanzi della
Commedia Umana di Honoré de Balzac, Splendeurs et misères des courtisanes , col sottotitolo Images de la prostitution 1850-1910 , il periodo in cui raddoppiando la popolazione parigina, aumentarono le ragazze che non potevano sopravvivere con i miserabili guadagni di lavandaia o fioraia e di notte scendevano in strada, nella luce dei lampioni a gas o ai tavoli dei caffè, e gli uomini che potevano pagare come un maschio trofeo il corpo stanco di quelle donne e soprattutto di quelle fanciulle.
Le cocotte erano una parte importante della società, tollerate o addirittura ritenute necessarie per consentire all’irrefrenabile lussuria maschile una sfogo fuori casa, dove la famiglia era santificata e la moglie relegata al ruolo procreativo e mondano, salvandola dal peccato del piacere. Il responsabile della ricca e puntigliosa selezione è Richard Thomson dell’Edinburgh College of Art, mentre la sua spettacolarità l’ha curata Robert Carsen, celebre regista d’opera, che è riuscito a trasformare la mostra in un racconto di umanità inquieta e sfrenata svelata dall’arte: con una stanza proibita ai minorenni, invasa da drappi di velluto rosso, tappezzata da foto d’epoca davvero oscene, e un’altra molto ammirata dove troneggia la “poltrona dell’amore”, un congegno ricoperto di broccato per fare l’amore con due donne contemporaneamente.
Era stato costruito da brillanti artigiani francesi alla fine dell’Ottocento, appositamente per il principe di Galles, figlio della Regina Vittoria e futuro re Edoardo VII. La mostra è interessante e impudica, e lascia molti visitatori turbati: non per l’esibizionismo sessuale, ma perché tutte quelle donne nude, troppo grasse o troppo magre, talvolta segnate dalla sifilide, quasi sempre a gambe spalancate e gettate sul fianco del letto, non emanano piacere ma sfinimento e desolazione. Non è il moralismo a turbare, ma quella folla di donne spogliate di abiti e dignità, di quegli uomini mai svestiti, sempre difesi dal nero abbigliamento: monotone immagini di potere e sottomissione, di incolmabile lontananza tra l’essere uomo e l’essere donna; ma anche tra l’essere una “femme soumise”, registrata dalla polizia e sottoposta a continue visite mediche, o una “femme insoumise”, che vaga illegalmente per le strade; e una “grande horizontale”, una cortigiana che si prostituisce nello sfarzo, mantenuta da importanti protettori, ma esclusa dalla rispettabilità. Le più celebri di quegli anni erano Valtesse de la Bigne che proteggeva Liane de Pougy, Apollonie Sabatier, che Clésinger ritrasse in una statua molto impudica, La Païva che viveva in un palazzo di marmo decorato di onice e oro, Aglae-Josephine Savatier, amata dagli intellettuali come Baudelaire, Flaubert, Delacroix, Sainte-Beuve, Marie Duplessis, adorata da Liszt e da Dumas fils che la immortalò come Marguerite Gautier. Nella realtà queste sublimi cortigiane sposavano spesso duchi e banchieri, oppure morivano giovanissime, come preferivano i moralismi e i romanzieri, di tisi, come la Duplessis o di va- iolo,come la Nanà di Émile Zola; che dà il titolo anche a un quadro di Manet in cui una deliziosa fanciulla con addosso solo biancheria candida, si guarda in un piccolo specchio mentre un omone seduto, ovviamente vestito, la scruta. Nessun uomo importante si negava una grande horizontale da mantenere sontuosamente, quella di Napoleone III era Marguerite Bellanger.
La prostituta di ogni livello era diventata a metà Ottocento il soggetto femminile più “moderno” e persino romantico, per scrittori e artisti e pure per i caricaturisti. C’era la curiosità di capire, per le strade e nei caffè, quali dame erano per bene e quali no; trascurate le prime, gli artisti privilegiavano ritrarre belle signore elegantemente vestite, che sollevavano impercettibilmente la gonna per mostrare gli stivaletti abbottonati, che avevano uno sguardo invitante, che sedevano sole nei caffè. Fondamentale fu l’ Olympia di Manet che risplende in questa mostra, quel bianco corpo invitante (che apparteneva all’amante dell’artista, la diciassettenne Victorine Meuret), fu rifiutato dal Salon del 1865 non per la nudità quanto per lo sguardo insolente, di sfida della ragazza e per i vistosi simboli del mestiere, un fiore tra i capelli, una gatta sul letto (chatte, è un sinonimo del sesso femminile).
Scivolando verso il nuovo secolo, gli artisti idealizzano sempre meno le cocotte: il Picasso dei primi anni del Nivecento dipinge in blu una donna ripiegata su se stessa, Toulouse-Lutrec sceglie una ragazza che salendo le scale mostra il sederone nudo, Munch racconta un Natale in un bordello, Forain riprende un cliente che deve scegliere fra tre nude pancione che sventolano dei marabu, Rouault e Van Gogh dipingono volti femminili stremati e disperati: non più fascino, grazia, mistero, ma disperazione, solitudine, violenza. Forse in quegli anni a cavallo dei due secoli gli artisti cominciavano a percepire la condizione tragica delle donne in vendita, ma ciò che eccitava la loro virilità erano soprattutto quelle calze nere o cremisi che si fermavano sopra il ginocchio di un corpo nudo e sfatto, quella moltitudine di folto pelo pubico che tutti dipingevano con una passione (artistica) assatanata.



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