giovedì 30 giugno 2016

L'ossessione della sinistra imperiale dirittumanista per i "dittatori" altrui


Da Alessandro a Gengis Khan ecco l’identikit del grande dittatore 

La vanità di chi incarna il comando è una costante della storia. Come spiega Daoud domani alla “Milanesiana”
KAMEL DAOUD Restampa 30 6 2016
Alcuni anni fa, prima delle “primavere” arabe, pensai di scrivere la finta autobiografia di un dittatore arabo. La storia, però, stentava a decollare, anzi, non decollò mai, e inciampò subito su un dettaglio magari futile ma importante: la data di nascita del dittatore. Il personaggio al quale avevo attribuito il compito di scriversi da sé la propria “legenda aurea”, fin dal primo capitolo – peraltro mai finito – non sapeva decidersi sul proprio anno di nascita, andando alla ricerca di un significato astrologico da assegnargli, di vicende o presagi straordinari e anticipatori. Scegliendo per se stesso la data di nascita di Churchill, di De Gaulle, di Gengis Khan, poi di Alessandro Magno, sprofondò a poco a poco nel delirio, nello sforzo di trovare una data che riassumesse tutte le date, in grado di evocare una nascita miracolosa, capace di dare un’impronta alla memoria storica. Fino a perdersi del tutto nel tentativo di scegliersi genitori degni dei profeti, vale a dire umili e modesti, nomi che contenessero in sé il senso d’annuncio di un destino eccezionale, segni rivelatori sia di una nascita prodigiosa sia di genealogie prefiguratrici, nonché una narrazione più grandiosa di quella di Mosè e del suo cesto, di Noè o di Mandela. Non ci riuscì, rifece il capitolo decine di volte, si preoccupò, pianse dentro il suo palazzo, poi strappò il quaderno con tutte le pagine. L’insuccesso lo fece infuriare e, d’un tratto, confondendo l’estensione della propria vanità con quella del Paese, decise di proibire al popolo l’insegnamento della storia, fino a quando egli non avesse trovato la sua storia.
A mia volta, nemmeno io ho terminato di scrivere la biografia di quel dittatore, anche se l’ho vissuta dall’interno. Vedendola dal lato della vittima. Perché la dittatura ha questo di speciale: ci richiama alla mente i vecchi vizi dei secoli che ci hanno preceduto, anteriori alla scoperta da parte di Freud dell’inconscio e del narcisismo come chiave di lettura: la vanità. Questa “illusione primaria” della dittatura, che crede di dominare le apparenze per farne l’esatto riflesso del proprio personale carattere e, in definitiva, per cedere ai sintomi presenti nelle sindromi infantili: l’incapacità di concepire l’alternanza al potere o la libertà degli altri, il trauma patito nel momento in cui i sudditi chiedono la libertà, la convinzione che ogni atto contrario alla volontà del Venerato dittatore sia sinonimo di complotto ecc. Ancora più facile, poi, è riconoscere una dittatura in relazione alla democrazia, all’estetica dello spazio pubblico.
Ogni dittatura è bruttura, e ogni abuso di potere o abuso malsano è volgarità. Le dittature hanno in comune l’estetica del volgare, del kitsch e del brutto: estetica che impongono agli spazi pubblici, alle pubbliche piazze, ai centri urbani, ai monumenti, alle scuole, alle manifestazioni culturali. Provate a camminare per le strade di un Paese retto da una dittatura e troverete in esse quest’analoga prevalenza del cattivo gusto. Perché la vanità del dittatore consiste nell’invertire il senso comune: lo spazio pubblico diventa il suo spazio interiore, che egli modella in base al proprio cattivo gusto; e lo spazio dell’appartamento, della casa, diventa l’unico spazio pubblico di cui dispone il cittadino – nel migliore dei casi. La vanità del potere è una reinvenzione del tipo di pittura connotata dalle vanitas: in primo luogo, futilità. Un rovesciamento dei riflessi: il ritratto (terribilmente mal fatto) del dittatore è ovunque, in ogni angolo di strada e su ogni facciata di palazzo. È la vanità di popolare il Paese con la propria immagine, e di spopolare il Paese degli abitanti stessi. Si tratta di un’illusione tenace, pervasiva: il dittatore ha bisogno del proprio ritratto, della propria immagine onnipre- sente, per continuare a credere alla sua unicità, alla sua necessità di dittatore- Padre, all’amore che gli si porta da ogni dove. Vuole un Paese a sua immagine e somiglianza. Per cui diventa comprensibile l’allergia al riso e all’ironia tipica dei vanitosi dittatori: sono anticorpi che li toccano nell’intimo della loro convinzione.
I dittatori sono seri, e, come si dice, il riso è il nemico della vanità. In Algeria, oggi, il regime che ha soppiantato le “primavere” arabe ha dichiarato guerra al riso, alle trasmissioni di intrattenimento – da poco vietate –, alla libera stampa, che soffoca con il suo apparato di sicurezza, ai giornalisti, che intimidisce o manda in galera.
Ritornato vanitoso, il regime diventa feroce, assassino. La vanità è di sicuro l’estetica volgare del dittatore – ma è anche il forte egocentrismo dell’Occidente.
Credere che la Terra non sia il centro dell’universo ha richiesto alcuni secoli.
Credere che noi non siamo il centro della Terra sembra richiedere un tempo ancora superiore.
Traduzione di Sergio Arecco ©RIPRODUZIONE RISERVATA

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