venerdì 3 febbraio 2017

Mentre Trump comincia a farci divertire, i "liberali" si ricordano della storia totalitaria degli Stati Uniti



Usa contro Teheran per il test missilistico “Ora siete avvisati” 
La Casa Bianca: violato l’accordo sul nucleare Rohani accusa Trump: principiante della politica 

Paolo Mastrolilli Busiarda 2 2 2017
Un’altra crisi internazionale per l’amministrazione Trump. Ieri la Casa Bianca ha «messo in guardia» Teheran per il test missilistico condotto nel fine settimana, dopo che il presidente Rohani aveva definito il leader di Washington «un principiante della politica». Gli Usa ora devono decidere come reagire, sul piano diplomatico e militare.

Domenica le forze armate della Repubblica islamica hanno lanciato un missile di medio raggio, esploso in volo dopo aver percorso 1010 chilometri. Martedì gli americani hanno chiesto una riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, per accusare l’Iran di aver violato la risoluzione 2231, che regola l’accordo nucleare raggiunto con l’amministrazione Obama. Secondo questo testo, Teheran non può fare test missilistici con la potenzialità di essere usati per trasportare testate nucleari. La Repubblica islamica sostiene di non avere questo genere di armi, e quindi di non aver violato la risoluzione. «Trump - ha detto Rohani - è un principiante della politica. La ragione della sua rabbia sta nel fatto che l’accordo riconosce il nostro diritto di arricchire l’uranio».
Ieri pomeriggio il consigliere per la sicurezza nazionale, Michael Flynn, ha risposto con una dichiarazione molto dura: «Le recenti azioni iraniane, incluso il provocatorio lancio di un missile balistico, e l’attacco contro una nave saudita da parte dei militanti houthi sostenuti da Teheran, sottolineano il comportamento destabilizzante della Repubblica islamica in Medio Oriente. Il lancio del missile è anche in violazione della risoluzione 2231 del Consiglio di Sicurezza dell’Onu». Flynn poi ha accusato Teheran di aver addestrato le milizie degli houthi yemeniti, che hanno attaccato navi saudite e degli Emirati, e minacciano quelle americane e degli alleati che navigavano nel Mar Rosso. Quindi ha criticato Obama per non aver risposto in maniera adeguata, ma ha avvertito che con Trump le cose cambieranno: «Da oggi stiamo ufficialmente mettendo in guardia l’Iran». Due sono le novità che spiccano: l’accusa di aver violato la risoluzione Onu sull’accordo nucleare, e il riferimento agli houthi. Questo sembra un messaggio rivolto in particolare all’Arabia, il cui territorio è stato penetrato dai miliziani yemeniti sostenuti da Teheran. La Casa Bianca in sostanza sembra dire a Riad che è pronta a scaricare la Repubblica islamica, ristabilendo l’alleanza con i sunniti, a patto di eliminare insieme i terroristi come l’Isis.
Gli Usa potrebbero usare il test missilistico per accusare l’Iran di aver violato l’accordo nucleare, e quindi farne il pretesto per cancellarlo. Così però rischiano di fare gli interessi dei gruppi iraniani più conservatori, sospettati di aver ordinato il lancio proprio per provocare Trump e far saltare l’intesa negoziata da Rohani con Obama. L’alternativa è imporre sanzioni, o promuovere una nuova risoluzione per vietare qualunque test missilistico. Sullo sfondo ci sono sempre le opzioni militari, che Washington non ha mai tolto dal tavolo, ma alcuni consiglieri della Casa Bianca pensano che sia possibile favorire un cambio di regime anche senza usare le armi. L’opposizione interna che nel 2009 aveva alimentato il «Green Movement» è ancora viva, e potrebbe tornare in piazza per sfidare gli ayatollah, se avesse la certezza che stavolta gli Usa l’appoggeranno.
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Il conservatore che ama lo sport e applica la legge alla lettera 
Neil Gorsuch, 49 anni, scelto da Trump per la Corte Suprema È contrario all’eutanasia e agli anticoncezionali gratuiti 
Paolo Mastrolilli Busiarda 2 2 2017
Neil Gorsuch stava sciando in Colorado, quando lo chiamarono sul cellulare per informarlo che Antonin Scalia era morto: «Mi misi a piangere - ha raccontato lui - al punto che non riuscivo più a vedere la pista». L’amore per le attività all’aperto non era l’unica passione che univa Neil al giudice della Corte Suprema, di cui il presidente Trump vuole che prenda il posto. Gorsuch è un conservatore che si attiene alla lettera delle leggi, ma anche una persona non aggressiva e divisiva, scelta per mettere in difficoltà i democratici in quella che sarà una delle battaglie più importanti per il futuro del Paese.
Trump aveva ristretto la corsa a due candidati, Thomas Hardiman e appunto Gorsuch, convocandoli entrambi alla Casa Bianca martedì sera, come se stesse per decidere il vincitore di un reality. La scelta poi è caduta sul secondo, perché è determinato «ad applicare le leggi invece di cambiarle». Neil gli ha dato ragione, dicendo che «un giudice contento di tutte le sue decisioni deve essere per forza un cattivo giudice», perché pone le sue convinzioni politiche davanti al rispetto letterale delle norme. Questo era il tipo di giudice disprezzato da Scalia, un «originalista», che cioè cercava di rispettare il dettato costituzionale dei padri fondatori, invece di interpretarlo secondo le sue inclinazioni. Una linea che il successore promette di seguire, su posizioni forse anche più conservatrici.
Gorsuch è nato in Colorado 49 anni fa ma è cresciuto a Washington, dove la madre era amministratrice dell’Environmental Protection Agency con Reagan. Era andato a scuola nella capitale, e poi nelle università dell’Ivy League, laureandosi prima alla Columbia University, poi ad Harvard in legge, e infine ad Oxford. Nella fase iniziale della carriera ha lavorato come assistente dei giudici della Corte Suprema Byron White e Anthony Kennedy, che ora diventerà suo collega. Trump lo ha scelto anche per portare Kennedy, un moderato centrista, sulle sue posizioni, e convincerlo che può ritirarsi senza preoccupazioni, perché verrà sostituito da un giudice vicino alle sue idee.
Gorsuch viene dalla Corte d’Appello del 10th Circuit, cioè quella del West. Le posizioni più nette le ha prese contro la distribuzione gratuita degli anticoncezionali, richiesta dalla riforma sanitaria di Obama, e l’eutanasia, su cui ha scritto un libro. Non ha seguito molti casi su aborto, matrimoni gay e diritto di portare le armi, ma i suoi sostenitori sono sicuri che sia fermamente contrario ai primi due e favorevole al terzo. 
Ha un carattere gentile, e questo lo aveva aiutato ad ottenere la conferma del Senato alla Corte d’Appello all’unanimità. Il processo per la Corte Suprema non andrà nello stesso modo, infatti diversi democratici hanno già detto che si opporranno. Sono contrari per le sue posizioni conservatrici, ma anche per far pagare ai repubblicani l’ostruzionismo nel 2016 contro la nomina di Merrick Garland, scelto da Obama per questo stesso posto. Il presidente Trump ieri ha detto che in questo caso il Gop «dovrebbe rispondere usando “l’arma nucleare”», cioè cambiare le regole per confermare Gorsuch con un voto a maggioranza semplice.
La composizione della Corte Suprema diventa ora decisiva per il futuro dell’America, perché sul suo scranno finiranno tutte le dispute sociali e politiche più importanti, come i ricorsi appena presentati contro l’ordine esecutivo sull’immigrazione. I repubblicani poi puntano a cancellare o limitare tanto l’aborto, quanto i matrimoni gay. Almeno altri tre giudici, il conservatore Kennedy e i liberal Breyer e Ginsburg, potrebbero ritirarsi durante la presidenza Trump, facendo quindi del controllo della Corte la battaglia che cambierà gli Usa per generazioni. 
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Scambio di merci la rivoluzione di donald trump
Fabio Pammolli Busiarda 2 2 2017
«L’America prima di tutto». E subito la mano pesante di Donald Trump si è abbattuta sui due cardini dell’ordine mondiale dell’ultimo quarto di secolo: la libera circolazione degli individui e quella delle merci. 
Come per Hoover nel 1930, dazi e protezionismo strategico marcano la linea di cesura con il passato - Woodrow Wilson allora, Obama oggi - e celebrano l’immagine dell’uomo nuovo, forte, affidabile, capace di trasformare in speranza le difficoltà, le paure e il risentimento dei sostenitori: gli agricoltori messi in ginocchio dalla crisi allora; i colletti blu, i giovani, i precari dei servizi, i nuovi poveri che hanno perso il lavoro e non lo ritrovano, nell’America di oggi. 
Vedremo come andrà a finire. Certo, in due settimane, si è consumata una rottura profonda, che ha sconquassato la roccaforte del liberalismo politico ed economico. Con ogni probabilità, la terapia d’urto è solo agli inizi. I prossimi passi saranno su tasse e investimenti. Qui l’azzardo di Trump è che la spesa pubblica in infrastrutture e il taglio delle tasse possano ripagarsi con la crescita e non aumentino il debito pubblico. È un azzardo in parte calcolato, perché se anche la spesa non produrrà crescita i conti pubblici saranno tenuti in ordine da sforbiciate poderose alla spesa sanitaria e a quella per il welfare. Il tutto brandendo una Costituzione fiscale - resa tradizione sin dai tempi di Jefferson e Madison - secondo cui la spesa pubblica si paga con le tasse e va presa a piccole dosi, mentre lo Stato non deve spendere più di quanto incassa, perché i figli non devono pagare per i debiti dei padri. 
Quella di Trump è un’agenda economica disegnata attingendo senza remore a scuole di pensiero contrapposte: lo Stato minimo di Jefferson e Paul Ryan va a braccetto con lo Stato investitore di Hamilton e Joseph Stiglitz. In futuro, questo eclettismo potrebbe rivelarsi cacofonia. Di certo, Donald il Barbaro sarà ricordato come colui che ha dato voce e corpo a una vera e propria rivoluzione nel cuore dell’assetto economico e sociale consolidatosi nelle democrazie di mercato dopo la caduta del Muro di Berlino e con la creazione del mercato unico globale. Proprio per questo, un risultato Trump lo ha già prodotto: il dibattito e il confronto politico tornano a concentrarsi su pochi grandi temi di fondo, decisivi per gli equilibri tra democrazia, stato e mercato. 
Immigrazione, diritti individuali, regole dell’Europa e dell’economia internazionale, tasse, lavoro, investimenti: qui si giocheranno, nei prossimi mesi, le sfide elettorali in Olanda, Francia, Germania. Questi, in Italia, i temi su cui misurare chi si candiderà a guidare un Paese reso sempre più vulnerabile dal fardello del debito e dall’incapacità di riformare le proprie istituzioni. 
Quali libertà e quali responsabilità; quali assetti e quali regole per l’area europea; quali tasse tagliare e quali aumentare; quali le rinunce e quali le spese prioritarie per lo Stato; come aumentare la trasparenza dei bilanci pubblici, spiegando per filo e per segno per quali uscite straordinarie si chiede più debito e come s’intende ripianarlo; come disegnare soluzioni innovative per finanziare gli investimenti sulle infrastrutture, gli ospedali, le scuole, la sicurezza delle abitazioni e dei territori. Se il confronto sarà in campo aperto e su questi grandi temi, lo dovremo anche a Donald il Barbaro. La sua irruzione sulla scena è una sirena d’allarme sulla portata dei sommovimenti che si stanno producendo. 
Sotto il suono delle sirene, riusciremo forse a metterci alle spalle temi e interessi minuti che sono rimasti prioritari nelle agende intellettuali e politiche dei pochi, ma sono divenuti sempre più marginali nella storia delle democrazie aperte e nel vissuto dei popoli che le animano. 
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Berkeley torna ribelle contri e proteste Trump: vi tolgo i fondi Gli studenti contro un attivista pro-presidente Scatta la violenza al campus, annullato l’incontro Paolo Mastrolilli Busiarda 3 2 2017
Vetri rotti, incendi, lanci di pietre e gas lacrimogeni. Le scene delle proteste esplose mercoledì sera all’università di Berkeley sembrano prese dagli anni Sessanta, ma forse anticipano quello che ci aspetta negli Stati Uniti durante l’era del presidente Trump.
Mike Wright, responsabile del gruppo Berkeley College Republicans, aveva invitato a parlare Milo Yiannopoulos, direttore digitale del sito Breitbart, da cui viene Steve Bannon, principale consigliere del nuovo capo della Casa Bianca. Milo si descrive come un «provocatore libertario, gay, sostenitore di Trump», e stava tenendo una serie di conferenze nelle università americane intitolata il «Dangerous Faggot Tour», cioè il tour del «finocchio pericoloso». Durante la campagna presidenziale Yiannopoulos era stato uno degli alleati più agguerriti del candidato repubblicano, al punto che Twitter lo aveva bandito per la campagna di odio scatenata contro l’attrice del film «Ghostbusters» Leslie Jones. Un centinaio di studenti e professori avevano scritto una lettera al chancellor di Berkeley, Nicholas Dirks, chiedendo di annullare il suo evento perché «nonostante siamo strenuamente contrari ai suoi punti di vista, cioè il sostegno della supremazia bianca, la fobia dei transgender e la misoginia, è la sua condotta che mettiamo in discussione». Dirks però aveva risposto che «la Costituzione proibisce a Berkeley, come istituzione pubblica, di vietare la libera espressione sulla base dei suoi contenuti, anche quando questi punti di vista sono odiosi e discriminatori». 
Due ore prima che l’evento cominciasse, gli studenti hanno iniziato a protestare. In breve, le manifestazioni sono diventate violente. Le strade intorno all’università hanno preso fuoco, letteralmente, e la polizia ha evacuato Milo, annullando così il suo discorso nel campus di Mario Savio e del Free Speech Movement. Yiannopoulos ne ha subito approfittato, per accusare i liberal di essere intolleranti: «Una cosa è certa: la sinistra è assolutamente terrorizzata dalla libertà di espressione, e farà letteralmente qualunque cosa per zittirla». Quindi ha aggiunto che Berkeley è «un campus liberal, dove odiano i libertari e i conservatori che si azzardano ad esprimere le loro opinioni. Io non gli piaccio in maniera particolare. Alcune persone non erano d’accordo con me, ma erano venute per ascoltarmi. Non hanno potuto farlo per la violenza della sinistra».
Il giorno dopo, lo stesso presidente Trump è corso a sostenerlo, via Twitter: «Se Berkeley non consente la libertà di espressione e pratica la violenza contro persone innocenti che hanno un punto di vista differente, niente fondi federali?». In sostanza, il capo della Casa Bianca ha minacciato di togliere i finanziamenti statali, che pagano oltre la metà delle spese dell’università vicina a San Francisco. 
Nei mesi scorsi, anche Obama aveva criticato l’eccesso di correttezza politica nei college, che finiva per tappare la bocca al dissenso e alle opinioni diverse da quelle dominanti dei liberal. L’ex presidente aveva detto che questo fenomeno è dannoso, perché mette a rischio la libertà di espressione, mentre gli studenti dovrebbero imparare a contrastare le idee sbagliate con argomenti solidi, non con il bavaglio. Nel caso di Milo l’accusa è quella di sfidare la correttezza politica solo per provocare e diffondere l’odio, ma gli scontri di Berkeley vanno anche oltre questo aspetto specifico. Qualche giorno fa, lo scrittore Paul Auster ci ha detto che le proteste modello anni Sessanta torneranno, come forma di resistenza a Trump, e questo forse è solo il simbolico inizio in un luogo che aveva fatto la storia della contestazione americana. 
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Mosse giuste per il suo popolo così il presidente incanta l’America che lo ha votato Dietro a ogni scelta della Casa Bianca c’è la volontà di soddisfare le diverse fasce di elettori che hanno sostenuto la corsaFEDERICO RAMPINI  Rep 3 2 2017
Donald Trump corre verso un impeachment, o almeno verso una clamorosa “implosione” della sua presidenza, travolta da errori e provocazioni estremiste? Questo può pensarlo chi legge
La Repubblica
e tanti altri giornali europei, o i quotidiani liberal delle due coste Usa come
New York Times, Washington Post, Los Angeles Times. Ma la sensazione di un acuto isolamento mondiale, e perfino di una vasta rivolta interna, è parziale e fuorviante.
Vista dall’America che lo ha votato, la presidenza Trump sta mantenendo quasi tutte le promesse. Qualche incidente di percorso non cambia il giudizio di fondo delle sue constituency: finalmente abbiamo un leader che ci difende, presidia i nostri confini, ha a cuore la nostra sicurezza e i nostri posti di lavoro, restaura i valori tradizionali dell’America bianca e religiosa, e tratta a muso duro il resto del mondo. Nei sondaggi – per quel che valgono – la sua popolarità oscilla più o meno dov’era l’8 novembre; all’incirca un 45% si fida di lui. Non è tanto, storicamente è una partenza modesta per un presidente; ma non c’è quella frana che si potrebbe desumere dalla condanna dei media o dalle piazze piene di manifestanti.
Ciascuno degli atti e dei messaggi- shock di questo presidente ha una valenza molto diversa, se lo si legge con gli occhi di quella (quasi) metà della nazione che lo ha portato alla Casa Bianca. Elenco i più importanti, tra i tweet o le immagini eloquenti che Trump elargisce alla sua base.
Comincio dalla fine, la nomina del nuovo giudice Neil Gorsuch per riempire il seggio vacante alla Corte suprema, una mossa vincente che ricompatta la destra. La sera stessa Trump diffonde via Instagram una foto che lo ritrae in preghiera alla Casa Bianca insieme al vicepresidente Pence, a Gorsuch, al figlio sacerdote dello scomparso giudice Scalia, e altri familiari. Il messaggio alla destra cristiana: ecco cosa sto facendo per voi, vi dò un giudice integralista e antiabortista. Trump salda i debiti: i protestanti più conservatori, evangelici e rinati, lo votarono con percentuali plebiscitarie l’8 novembre. A differenza della sinistra che riempie le piazze dopo aver perso le elezioni, le truppe “teocon” sanno che ci si conta il giorno del voto.
Salto indietro all’inizio della turbo-settimana degli ordini esecutivi. Il 24 gennaio Trump diffonde via Twitter e Instagram la foto che lo ritrae a capotavola nel meeting con gli amministratori delegati dell’industria dell’automobile. «Together We Will Make America Great Again!» Incassa la garanzia dalla Ford che uno stabilimento nuovo verrà aperto nel Michigan anziché in Messico. «Voglio nuove fabbriche costruite qui per le auto vendute qui!» lancia un tweet successivo. Per i colletti blu del Michigan non conta il fatto che le fabbriche “salvate” da Trump pesino solo alcune migliaia di posti di lavoro. Pochi, maledetti e subito: c’è un presidente che convoca i chief executive, fa la voce grossa, e sta dalla “nostra” parte. Due giorni dopo torna sul tema a proposito del Nafta, il trattato firmato da Bill Clinton per il mercato unico nordamericano. Tweet del 26 gennaio: «Gli Usa hanno 60 miliardi di deficit commerciale col Messico. Fin dall’inizio il Nafta ha favorito solo loro»”. Il 27 gennaio torna a martellare contro il Messico: «Si sono approfittati di noi troppo a lungo. Si cambia. SUBITO!». Così prepara l’affondo sul Muro. Nuovo rimprovero al Messico via Twitter: «Scarso aiuto sul confine- colabrodo». In seguito lascia che trapeli la sua telefonata col presidente Enrique Peña Nieto: «Tenete a bada i vostri delinquenti, o ci penseremo noi».
Minaccia di invasione militare? Di blitz dei commando americani oltreconfine? L’establishment diplomatico, gli ambasciatori “obiettori di coscienza”, i media del mondo intero sono sdegnati per l’offesa alla sovranità del vicino. Ma noi stessi quante volte abbiamo pubblicato articoli di Roberto Saviano sulla potenza dei narcos messicani, la loro impunità, le gravi connivenze nell’esercito e nella polizia locali? Trump ne trae le conseguenze. E per sottolineare la differenza con la sinistra politically correct, ecco uno dei suoi temi favoriti, in un tweet del 24 gennaio: «Se Chicago non blocca l’orrenda carneficina, 228 sparatorie e 42 morti dall’inizio dell’anno, mando i federali». Roccaforte democratica, la città di Barack Obama è il simbolo delle ricette fallimentari della sinistra tollerante e lassista. Law and Order trionferanno con Trump.
Si arriva alla fine della sua prima settimana di governo, con quello che il mondo intero (e oltre metà dell’America) ha giudicato un autogol micidiale: il decreto esecutivo che blocca gli ingressi da sette paesi a maggioranza musulmana. Trump il 29 gennaio si difende subito dalle accuse di discriminazione religiosa puntando il dito verso di noi, con questo tweet: «Il nostro Paese ha bisogno di frontiere forti, controlli estremi, ORA. Guardate cosa sta succedendo in tutta l’Europa – un orribile caos!». Il contro-modello è Angela Merkel: tolleranza estrema, accoglienza in massa, “ricompensata” con il Capodanno di Colonia e la strage di Berlino. Per l’America che lo ha votato non c’è dubbio chi abbia ragione: Trump vuole proteggerci, mentre Obama e Hillary non osavano neppure pronunciare la definizione di «terrorismo islamico ».
Le prime due settimane dall’-I-nauguration Day si chiudono con Trump al “Breakfast della Preghiera Nazionale”. I media progressisti lo sbeffeggiano perché lui indulge sulla mediocre audience di Arnold Schwarzenegger che lo ha sostituito nel reality show “The Apprentice”. Ma nella stessa occasione Trump si dilunga sul «genocidio dei cristiani perpetrato dall’Isis, le teste mozzate, cose che non vedevamo dal Medioevo». Il messaggio è chiaro e forte: non siamo certo noi gli intolleranti. Mezza America, o quasi, sognava da molto tempo un presidente così.
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