lunedì 23 marzo 2020

250 anni dal trionfo della cultura tedesca e della modernità



Tre grandi tedeschi stregati dal chiaro di luna
Anniversari. Hölderlin, Hegel e Beethoven nacquero 250 anni fa: le loro opere fiorirono dagli stessi presupposti storici e culturali, ma in profonda dissonanza con il mondo. Per questo sono così attuali: non monumenti del passato ma frammenti di un possibile futuro
Luigi Reitani Domenicale 22 03 2020

Credevano nella libertà dell’individuo e nei diritti dell’uomo. La Rivoluzione francese fu l’evento centrale della loro esistenza. Venerarono Goethe, si entusiasmarono per Schiller, elevarono la Grecia dell’età di Pericle a modello ideale di civiltà. Vennero al mondo nel cuore dell’Europa, nella fascia del Reno e dei suoi affluenti, e tutti nello stesso anno, quasi a voler rappresentare simbolicamente l’intreccio di poesia, musica e filosofia che sostanzia la moderna cultura di lingua tedesca. Friedrich Hölderlin (20 marzo), Georg Wilhelm Friedrich Hegel (27 agosto) e Ludwig van Beethoven (16 dicembre): un trifoglio magnifico, di cui si celebra nel 2020 in tutto il mondo il duecentocinquantesimo anniversario della nascita, con concerti, mostre e convegni scientifici che hanno il loro epicentro a Bonn, nella regione di Stoccarda, e a Vienna.
Era una generazione che sognava. Scoprivano che il cosmo era più vario e vasto di quanto si fosse pensato, dalle isole del Pacifico esplorate da James Cook alle comete nel cielo, di cui si riuscivano a stabilire le orbite con inediti modelli matematici. L’ampliamento dei confini investiva la morale, i comportamenti, i costumi. Alla tradizione si contrapponeva la razionalità; a una società prigioniera di vecchie regole la forza rigenerante della natura; alla stasi il movimento. Non aveva forse l’uomo realizzato con i palloni aerostatici dei fratelli Montgolfier il suo sogno di volare? Non avvalorava la scienza l’idea di un’anima del mondo riposta nell’elettricità, nel magnetismo, in fluidi non ancora ben definiti? Sentendosi protagonista di un cambiamento epocale, questa generazione aveva sviluppato una straordinaria fiducia di sé e delle proprie possibilità. Doveva rapidamente scontrarsi con la resistenza dell’ancien régime e con le delusioni del nuovo assetto geopolitico. Accolti come liberatori, i soldati francesi che intonavano la Marsigliese si erano comportati come ogni esercito invasore. E chi era davvero Napoleone? Un novello Prometeo venuto a portare la fiaccola della libertà in un nuovo ordine sociale o un volgare dittatore? La manifestazione più evidente del genio creatore o un individuo dominato da un demone oscuro? L’incarnazione simbolica dello “spirito del mondo” o un incidente della storia? La speranza poteva rapidamente trasformarsi in illusione, l’entusiasmo per il nuovo in angoscia del presente.
Domande, temi e questioni che percorrono ampiamente le opere di Hölderlin, Hegel e Beethoven, dando vita a figurazioni poetiche, a composizioni musicali, a ragionamenti filosofici. Che non a caso convergono in mitologemi comuni, come appunto quello di Prometeo, o nella centralità di alcuni topoi, come ad esempio quello della notte rischiarata dalla luna, che si ritrova in non poche poesie di Hölderlin, nella celebre sonata Al chiaro di luna di Beethoven e in persino in una giovanile composizione in versi di Hegel, dedicata proprio all’amico Hölderlin. Giacché anche biograficamente le strade del filosofo e del poeta si incontrano. Entrambi provengono dal Ducato del Württemberg e sono destinati alla carriera ecclesiastica. Studiano pertanto a Tubinga al famoso collegio teologico (lo Stift) e lì condividono, insieme al più giovane Schelling, la passione per il panteismo di Spinoza, suggellando la loro amicizia con il motto ermetico dell’Uno-Tutto. Si rivedono poi a Francoforte, precettori nelle case dell’alta borghesia riformata della città mercantile, evitando in tal modo di finire in una qualche parrocchia della provincia sveva, e discutono dell’idealismo di Fichte, le cui lezioni Hölderlin ha ascoltato entusiasta all’Università di Jena, della costituzione del Württemberg, delle religioni storiche. Prima ancora che Hegel inizi il proprio percorso accademico e divenga noto nel 1807 con la Fenomenologia dello spirito, l’amico poeta ha già acquisito notorietà con il suo romanzo Hyperion (1797-99) e alcune sue poesie sono state pubblicate negli almanacchi di Schiller. Intanto Beethoven ha lasciato a Bonn il padre alcolizzato e ha trovato a Vienna una nuova patria in cui esibirsi come pianista virtuoso e compositore di una musica dirompente: una promettente carriera minacciata dall’incipiente sordità. Difficile che Hölderlin la conoscesse, nonostante la sua indubbia cultura musicale (il poeta suonava flauto e pianoforte), così come è improbabile che Beethoven, appassionato lettore, abbia mai incontrato una poesia di Hölderlin o si sia cimentato con gli impegnativi testi di Hegel. Eppure, tutti e tre non solo partono dagli stessi presupposti storici, rielaborandoli nell’arte e nel pensiero, ma si caratterizzano per procedimenti logici e creativi che mettono al centro il conflitto, la contrapposizione degli estremi, gli opposti. Se la dialettica hegeliana ritiene che lo stesso processo storico e naturale si dia in un continuo movimento di sintesi tra forze che si superano, annullandosi e conservandosi al tempo stesso, Beethoven rivoluziona la forma sonata proprio nello sviluppo dei contrapposti temi musicali formulati nell’esposizione, e Hölderlin crea una poesia in cui la dissonanza è il prodotto dell’armonia e l’armonia della dissonanza. È il chiasmo la figura stilistica e di pensiero su cui si fonda la loro incessante sperimentazione.
Certo, non poteva essere più diverso il loro destino. Hegel muore nel 1831, Rettore dell’Università di Berlino, conteso tra chi interpreta la sua filosofia del diritto come un sostegno allo Stato prussiano e chi invece continua a trovare in lui la fiamma degli ideali repubblicani. Beethoven ha finito i suoi giorni a Vienna nel 1827 completamente sordo, idolo di un grande pubblico. Sopravviverà a entrambi Hölderlin, morto nel 1843, ma per la sua pazzia affidato già nel 1807 alle cure di un falegname in una casa a forma di torre sulle rive del Neckar, a Tubinga. Solo il Novecento scoprirà la sua grandezza, affiancandolo al compositore e al filosofo.
È legittimo vedere in queste tre grandi figure la quintessenza della più alta cultura tedesca? Certamente, se si considera l’aspetto esteriore della loro biografia e l’incidenza che essi hanno avuto nella costituzione di un canone culturale in Germania, con tutte le inevitabili strumentalizzazioni. Ma Beethoven, che sottolineava le origini belghe dei suoi antenati e si sentiva nato in una terra di confine, guardava a Cherubini e alla Francia musicale come modello, mentre Hölderlin, nella celebre invettiva contro i tedeschi del romanzo Hyperion, li descrive come i barbari della modernità, estraniati dalla natura e lacerati nello spirito, rotelle di un ingranaggio di cui non afferrano il senso. Quanto a Hegel, segue regolarmente la stampa inglese e non smette mai di coltivare amicizie con la Francia. Nessuno di loro, neppure il futuro Rettore a Berlino, percorre una strada facile nel proprio Paese di origine. Più che in armonia, anch’essi si trovano in dissonanza con il loro mondo. Ma è forse proprio questo che rende oggi le loro opere così vive e attuali. Non monumenti del passato, ma frammenti di un possibile futuro. Della nostra Europa.
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