lunedì 23 marzo 2020

Pubblicato in Germania il carteggio Arendt-Sternberger

Hannah Arendt-Dolf Sternberger: Ich bin Dir halt ein bißchen zu revolutionär. Briefwechsel 1946 bis 1975, Rowohlt, Berlino, pagg. 478, € 38

Vite parallele di due accademici non allineati
Epistolario tra Hannah Arendt e Dolf Sternberger
Francesca Rigotti Domenicale 22 03 2020
«Sarò a Zurigo il tal giorno, ci possiamo vedere?»; «Te la senti di insegnare a Heidelberg per un semestre», «Che ne diresti di una docenza a Chicago». Di tale tenore è gran parte dell’epistolario tra Hannah Arendt e Dolf Sternberger che sembra essere giusto una specie di bollettino un po’ arido dei calendari lavorativi e privati dei due interlocutori. In realtà apre un bello spaccato sulla vita lavorativa e privata di questi due personaggi che molte cose in comune avevano e tra queste in particolare una. Quella di non aver svolto una carriera accademica liscia e indolore, un percorso facile e diretto a un incarico di primo livello e poi all’ordinariato.
No. Non vivevano adagiati nel morbido letto garantito del baronato, né Arendt né Sternberger, ma nemmeno stavano coricati nel letto di Procuste dell’accademia, coi suoi rituali e il suo linguaggio da rispettare pena l’amputazione. Svilupparono tuttavia entrambi, forse proprio per questo, linguaggi autonomi e idee originali e illuminanti, e scrissero testi freschi e sorprendenti dove si intersecano discipline diverse e da cui sprizzano curiosità e eclettismo senza che vi manchi l’aggancio forte con la scientificità. Il tutto pagato con lunghi periodi di precariato e incertezza - sia Arendt sia Sternberger arrivarono in là con gli anni a una posizione accademica più o meno solida – ma ricompensato con il senso di libertà e di controllo sulle proprie vite. Arendt in particolare dichiara, in queste pagine, di non desiderare di diventare un professore a tutto tondo, aggiungendo di non voler insegnare più di un semestre all’anno per avere il tempo di studiare e di capire, cioè di vivere a pieno la vita della mente.
Hannah Arendt e Dolf Sternberger si trovarono ad essere compagni di università alla fine degli anni Venti a Heidelberg, quando entrambi vi frequentavano i corsi di Karl Jaspers. Sternberger, nato nel 1907, pochi mesi prima di lei, divenne giornalista, scrittore e politologo e fu tra i fondatori della scienza della politica nella Germania postbellica. Gli si deve tra l’altro il concetto di «patriottismo della costituzione», ripreso da Habermas negli anni ’80, dove la patria non è una questione di confini o di relazioni sentimentali («amor di patria») quanto di adesione alle leggi e alla libertà da esse garantita, allo stato di diritto e alle istituzioni democratiche.
Il carteggio tra i due inizia nel 1946 (ai tempi dell’università si erano parlati, poi persi di vista). Comincia Sternberger a scrivere, dapprima in maniera formale e dando del lei alla sua ex compagna stabilitasi negli Stati Uniti; presto però passeranno entrambi a toni cordiali e a formule amicali. Le lettere di lui si concludono immancabilmente con i saluti da parte della moglie Ilse (nata Rotschield, ebrea, riuscita a sfuggire alle persecuzioni nascondendosi in casa di amici). Dall’apparentemente burbero Heinrich Blücher, che Arendt aveva sposato in seconde nozze, terze per lui, nel 1940, arrivavano invece soltanto di rado cenni di saluto.
Nelle sue lettere Arendt non lascia mai trasparire il fatto che non stimasse più di tanto il suo corrispondente; quest’ultimo lo scoprirà con amarezza soltanto dieci anni dopo la morte di lei, quando, nel 1985, verrà pubblicato l’epistolario di Arendt con Karl Jaspers.
Il lettore si accorge però che è quasi sempre lui a richiedere contributi a lei, a onorarla, a dichiarare di provarne «nostalgia». Lei qualche pezzo glielo manda, non tanti da soddisfare tutte le richieste, e due di questi sono qui in appendice riprodotti; si tratta di Colpa organizzata, del 1946 e Campi di concentramento, del 1948, entrambi pubblicati sulla rivista fondata e diretta da Sternberger, «Die Wandlung», e le cui tesi conversero poi in La banalità del male. Eichman a Gerusalemme (ed. inglese 1963).
L’impressione è comunque che per Arendt ai primi posti vengano Jaspers, e poi anche Heidegger, da lei apprezzato e difeso. Proprio su Heidegger si creerà tra i due un dissenso che si ripeterà anche a proposito di uno scritto di Jaspers del 1966. Qui emergeva infatti una immagine della Germania che in quegli anni, a detta di Jaspers, si sarebbe evoluta da democrazia a una sorta di «oligarchia partitica» con tendenza a soffocare l’opposizione e a scivolare verso la dittatura di un regime a partito unico.
Alla fine è Arendt, nel dicembre del 1970, a riassumere le loro rispettive posizioni, chiudendo la missiva con saluti e baci: «Tu sei per me un po’ troppo conservatore e io sono un po’ troppo rivoluzionaria per te. Ma è sempre stato così, credo, senza che ciò abbia alterato la nostra amicizia».
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