venerdì 4 dicembre 2009

Due libri sulla storia (e la fine) del PCI

Sono usciti di recente due libri che si occupano della storia e della fine del Partito Comunista Italiano: si tratta degli interventi di Giuseppe Chiarante e di Lucio Magri, che di questa storia - e di questa fine - hanno fatto entrambi parte, sebbene in maniera profondamente diversa diversa. Sono due libri importanti ma che a causa della particolare formazione politico-culturale degli autori forse non toccano del tutto il cuore del problema. Ritornerò più avanti anche personalmente su questo argomento così importante per la nostra storia recente. Intanto, ecco le schede dei libri e la riflessione - simpatetica - di Guido Liguori sull'ultimo numero di "Critica Marxista" [SGA].


Giuseppe Chiarante
La fine del PCI. Dall'alternativa democratica di Berlinguer all'ultimo Congresso (1979-1991), Carocci, Roma 2009, pp. 212, € 22,50
A vent’anni dalla "svolta della Bolognina", Chiarante porta a compimento con questo libro la sua trilogia sulla storia del PCI, ricostruendo eventi, dibattiti e polemiche del periodo che portò il partito dai grandi successi ottenuti con Berlinguer negli anni Settanta alla dissoluzione nel Congresso di Rimini. Il libro si interroga sulle cause di un così rapido declino, esaminando naturalmente i contraccolpi della paralisi e della disgregazione della società sovietica, ma riflettendo soprattutto sulla specificità del comunismo italiano. In primo luogo sull’autonomia e la distinzione, rispetto all’esempio sovietico, dell’elaborazione e dell’iniziativa del PCI; ma anche sull’abbandono dei valori di quella tradizione e di quell’esperienza compiuto con la "svolta" di Occhetto. Questa portò infatti a un cedimento alle tendenze culturali e pratiche (decisionismo in politica, neoliberismo in economia) espresse dalla controffensiva capitalistica, causando il crollo non solo del PCI, ma di tutta la struttura culturale, sociale, civile da esso costruita, fondamentale per lo sviluppo della democrazia postfascista. Di qui la frantumazione e il vuoto prodottisi, a sinistra, dopo la fine del PCI, fattori determinanti dell’attuale travaglio della democrazia italiana.



Lucio Magri
Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci, Il Saggiatore, Milano 2009, pp. 456, € 21,00

Il Pci è morto da tempo, eppure l’Italia tanto bene non sta
Dal xx congresso del 1991, in cui fu decretata la morte del Partito comunista italiano, sono passati diciotto anni. Fu una morte deliberata, accelerata dalla volontà di un «nuovo inizio». Quel nuovo inizio non c’è stato. Al suo posto si è verificata la perdita di un patrimonio politico, organizzativo e teorico fra i più complessi e strutturati del panorama mondiale. Il Pci, dalla sua fondazione nel 1921 alla lotta partigiana, dalla svolta di Salerno del 1944 alla destalinizzazione del 1956, dal lungo Sessantotto al compromesso storico e all’occasione – mancata per sempre – dell’alternanza democratica, ha attraversato e segnato quasi un secolo di storia italiana. Un cammino che Lucio Magri ripercorre senza mai perdere di vista gli ineludibili, spesso fatali, nessi con gli eventi della scena politica internazionale. Negli anni sessanta il partito aveva raggiunto la propria maturità, era in piena ascesa ed era impegnato nell’ambizioso progetto della «via italiana al socialismo». E negli anni ottanta – nonostante inerzie e ritardi – le potenzialità riformatrici, l’influenza e il seguito di questa grande forza progressista erano ancora enormi. Perché allora nel congresso del 1991 prevalse quella decisione? Perché fu imposta una perdita tanto precipitosa quanto assoluta? Con rigore e passione, Il sarto di Ulm condensa un’originale e illuminante interpretazione storiografica del più grande partito comunista d’Oc cidente e l’esperienza politica e intellettuale di un militante «eretico».
 
Lucio Magri (Ferrara 1932), esponente della sinistra critica del Pci, fu tra i fondatori, nel 1969, del manifesto, di cui fu anche direttore. Radiato dal partito nel 1970, divenne segretario del Pdup (Partito di unità proletaria) dal 1976 al 1984. Fu richiamato nella Direzione del Pci, dopo che il Pdup vi confluì sulla base della profonda svolta imposta da Berlinguer. Alla proposta di scioglimento del Pci, Magri fu il primo a opporsi e a organizzare un largo fronte del no. Dopo la scissione accettò di presiedere il gruppo parlamentare di Rifondazione comunista, ma si dimise quando gli parve che al nuovo partito mancassero forza e volontà per una vera rifondazione e gradualmente rinunciò alla politica attiva. Dal 2000 al 2005 ha diretto una nuova e autonoma serie della rivista del manifesto.
 
L’EREDITÀ DEL PCI
di Guido Liguori, "Critica Marxista", 5/2009
Sono giunti in libreria quasi contemporaneamente, a metà settembre, due libri importanti sulla storia del Pci e sulla sua fine. Sono stati scritti da Giuseppe Chiarante (La fine del Pci. Dall’alternativa democratica all’ultimo Congresso 1979-1991, Roma, Carocci, pp. 211) e da Lucio Magri (Il sarto di Ulm. Una possibile storia del Pci (Milano, il Saggiatore, pp. 453). Entrambi dirigenti comunisti, due vite a tratti intrecciate sul piano degli ideali e su quello della militanza politica...

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