martedì 8 novembre 2011

Nunzio Dell'Erba critica l'apologia di Nino Bixio

di Nunzio Dell'Erba

Nella presentazione di un libro su Nino Bixio, Arturo Colombo ("Corriere", 6 novembre) sembra giustificare il garibaldino genovese durante le sue operazioni militari a Bronte, presentando la protesta della popolazione come "una cupa rivolta contadina". Quella di Bronte fu invece una tragica pagina della spedizione garibaldina in Sicilia, dove nell’estate 1860 i contadini si sollevarono nella speranza di ottenere la divisione delle terre demaniali. La spedizione di Garibaldi e dei suoi volontari, sbarcati a Marsala l’11 maggio 1860, fu accolta con entusiasmo dai contadini, che lo celebrarono come liberatore degli oppressi e chiesero l’applicazione dei suoi decreti per la soppressione della tassa sul macinato e la divisione dei terreni demaniali. La rivolta nacque dall'esasperazione per la mancata approvazione della normativa garibaldina, per la scelta degli amministratori comunali dei galantuomini contro la fazione dei popolani e per la pressione del console britannico, che richiedeva il rispetto dei possedimenti inglesi. Fatti che provocarono l’intervento delle truppe garibaldine: il 6 agosto una colonna «mobile» di camicie rosse al comando di Bixio represse la rivolta e, dopo un processo sommario, il 9 agosto fece fucilare i capi degli insorti con il plauso dei galantuomini e degli inglesi, entrambi favorevoli al ripristino dell’ordine pubblico come unica garanzia ai loro possedimenti.
Il 12 agosto Bixio, in un proclama agli abitanti della provincia di Catania, rivolse loro un appello minaccioso, affinché mantenessero «la pubblica tranquillità», invitando i cittadini ad avere fiducia nel governo, «nella forza di cui esso dispone» e in un prossimo intervento legislativo sul «reintegro dei demani», ma alcuni giorni dopo confessò alla moglie che quella era stata una «missione maledetta» per le esecuzioni eseguite nel nome di un «triste dovere».
Proporre l’apologia di Bixio significa non tener conto dei recenti risultati storiografici e non collocare la vicenda nel periodo storico coevo.

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