giovedì 10 novembre 2011

Un testo della mistica sufi

E il consueto titolo islamofobo del Corriere [SGA].

Muhammad Dara Šikoh: La congiunzione dei due oceani. A cura di Svevo D’Onofrio, Fabrizio Speziale, Piccola Biblioteca Adelphi

È noto che il pensiero indiano fece irruzione sulla scena filosofica europea grazie all’entusiasmo suscitato in Schopenhauer dalla lettura della versione latina delle Upanisad, la prima in Occidente, ad opera di Anquetil-Duperron, apparsa nei primissimi anni dell’Ottocento. Meno noto è che Anquetil- Duperron si era basato su una traduzione persiana, realizzata nel 1657 e patrocinata dal principe moghul Muhammad Dara Šikoh (1615-1659). La dinastia musulmana dei Moghul, che regnò sull’India a partire dal 1526, aveva già mostrato grande apertura e interesse per il sapere indiano, in particolar modo durante il regno dell’imperatore Akbar, ma il suo pronipote, Dara Šikoh, si spinse ben più in là. Affiliato alla confraternita sufi della Qadiriyya e seguace delle dottrine del grande mistico musulmano Ibn ‘Arabi, attraverso l’assidua frequentazione di yogin e sapienti indù giunse alla conclusione che rispetto al sufismo non vi era «differenza alcuna, fuorché divergenze lessicali, nel loro modo di percepire e comprendere il Vero». A sostegno di tale tesi nel 1655 scrisse La congiunzione dei due oceani, in cui si sforzò di mostrare la puntuale corrispondenza fra i princìpi della tradizione spirituale indù e di quella sufi. Tesi tanto audace quanto temibile, che suscitò una forte opposizione da parte degli ‘ulama’ più ortodossi – e che consentì al fratello Awrangzeb di ottenere una condanna a morte per apostasia e di impadronirsi del trono.

MONTEFOSCHI GIORGIO, CORRIERE DELLA SERA del 8/11/2011 a pag. 41

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