mercoledì 7 dicembre 2011

Un'inchiesta e una riflessione sui lavoratori aticipi della conoscenza. In chiave antilavorista

R. Ciccarelli-G. Allegri: La furia dei cervelli, manifestolibri

«Gli intellettuali sono i primi a fuggire, subito dopo i topi, e molto prima delle puttane». Il verso di Majakovskij sarebbe una ragione sufficiente per non parlare della fuga dei cervelli. Una formula cheriflette l’ipocrisia delle classi dirigenti che hanno prodotto il genocidio sociale e politico delle ultime generazioni. Piuttosto che soffermarsi su un fenomeno minoritario come l’emigrazione intellettuale, questo libro va alla radice dell’esclusione di milioni di persone dal patto sociale, in una repubblica travolta da una crisi senza precedenti, ma anche attraversata da movimenti studenteschi e universitari, del lavoro autonomo e delle partite Iva, del mondo della cultura e della conoscenza. Davanti a questi sommovimenti del Quinto Stato, cioè del lavoro indipendente sospeso tra schiavitù e autonomia, la sinistra resta in panchina. Il libro non propone una visione vittimista del “precariato”, preferendo sottolineare le potenzialità dell’'indipendenza come spazio di conflitto e di innovazione istituzionale, dove si ntrecciano rivendicazione dei diritti sociali e reinvenzione della politica. Benvenuti nella lotta che è da sempre vostra. Benvenuti nella repubblica del Quinto Stato.
Gli intellettuali sono i primi a fuggire, subito dopo i topi, e molto prima delle puttane. Il verso di Majakovskij è una ragione sufficiente per non parlare di intellettuali, di talenti e della fuga dei cervelli in questo libro. Perchè nella desolante, e fondamentalmente ipocrita, formula della «fuga dei cervelli» si riflette la disillusione e la rassegnazione delle classi dirigenti che hanno facilitato, diluito e infine naturalizzato il genocidio delle nuove generazioni.

L’invenzione di questa espressione ha accompagnato la liquidazione dell’università italiana e le lamentazioni funebri sull’eccellenza dei ricercatori, giovani e meno giovani, costretti ad esportare il loro «capitale umano» all’estero, facendo perdere cifre consistenti alla madre patria. Nel 2010 un’indagine commissionata dalla Fondazione Lilly e dalla Fondazione Cariplo aveva quantificato la perdita in quasi 4 miliardi di euro. Il dato è stato ricavato dai profitti accumulati in vent’anni dalle 356 domande di brevetti depositate da ricercatori italiani emigrati. A supporto della tesi sono stati citati i dati del rapporto Almalaurea del 2010 secondo i quali i laureati specialistici biennali che lavorano all’estero a un anno dal titolo sono il 4,5% (erano il 3% nel 2009). Il 29,5% provengono dalla facoltà di ingegneria e solo il 12% dal settore politico-sociale. Un neolaureato italiano all’estero guadagna 1568 euro, mentre nel paese d’origine 1054 euro...
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