mercoledì 11 gennaio 2012
Cronache da un'altra crisi europea. A Ginevra nel 1946, tra Jaspers e Lukács
Gianfranco Contini: Dove va la cultura europea? Relazione sulle cose di Ginevra, a cura di Luca Baranelli e con un´introduzione di Daniele Giglioli, Quodlibet
«È ingenuità riunire un congresso sullo “spirito europeo” per poi consigliargli di espungere la politica dalla propria competenza. A meno che la cultura non pretenda di giungere al suo estremo della presa di coscienza per isolarsi e trovare nella propria giustificazione un alibi e un pretesto all’inazione. In senso peggiorativo, potrebbe ben darsi che questa fosse una definizione dell’Europa; e non è da escludere che essa sia questo scadimento (che è morale) d’una cultura a metodo scolastico. Se la reazione consiste nel frenare arbitrariamente lo sviluppo d’un processo dialettico, nel rifiutarsi alle deduzioni necessarie, sarà lecito senza peccato di demagogico vocabolario chiamare reazionaria una cultura che, giunta alla sua presa di coscienza, si rifiuti di convertirsi in azione».
Queste parole si leggono nel reportage che il giovane Contini, “inviato” a Ginevra, scrive nel 1946 per la «Fiera letteraria». In esso sfilano e si confrontano alcuni protagonisti della cultura europea: Lukács, Jaspers, Spender, Bernanos, Benda, Merleau-Ponty, un giovanissimo Starobinski, per ricordare i più noti. L’occasione è la prima di quelle Rencontres internationales de Genève che da allora, con cadenza biennale, hanno discusso temi cruciali della nostra epoca. Fra le reazioni a caldo, spicca quella di Montale, che congratulandosi in una lettera a Contini per «il bellissimo, magistrale rendiconto», aggiunge: «quanta soddisfazione mi ha dato sentir toccare come tu solo puoi fare i punti che più c’importano, nel tuo reportage di Ginevra. Raramente ti eri scoperto così e avevi parlato anche per altri con tanta autorità».
Torna il reportage che il critico italiano fece sull’incontro tra intellettuali europei
Il primo festival culturale con Jaspers, Benda e Contini
Filosofi e studiosi si videro nel 1946 per cercare di ricostruire l’identità continentale dopo la guerra. Ponendosi problemi molto simili a quelli di oggi
di Roberto Esposito Repubblica 11.1.12 da Segnalazioni
La prima sensazione che procura la lettura del brillantissimo reportage giornalistico, redatto da un giovane Gianfranco Contini, dell´incontro internazionale tra intellettuali europei svoltosi a Ginevra nel 1946 – adesso edito da Quodlibet con il titolo Dove va la cultura europea?, per la cura di Luca Baranelli e con un´introduzione di Daniele Giglioli – è quella di un contrasto acuto tra la marcata lontananza dell´orizzonte postbellico, e anche dei protagonisti, e la singolare attualità di alcune notazioni del «critico nelle spoglie del cronista», come egli stesso si presenta. Notazioni profonde, nei confronti di un evento certo non anodino, come poteva essere il primo dibattito europeo dopo la sconfitta non solo del nazismo, ma per certi versi dell´intera l´Europa; ma insieme caustiche, espresse in punta di penna e senza reticenze diplomatiche, da parte di un "inviato" del calibro di Contini, appena reduce dalla lotta partigiana e anche da una personale esperienza di governo nella breve stagione repubblicana dell´Ossola, come ricordato nel libro in forma di intervista Diligenza e voluttà. Ludovica Ripa di Meana interroga Gianfranco Contini (Mondadori 1989).
Sembra quasi di vedere, nello scenario svizzero ricostruito con incomparabile verve narrativa dall´autore, «l´erta canizie romantica» del «simpatico ed eruditissimo» Francesco Flora «fra le tante teste pettinate (come, molto affettata, la perdurante frangia ascetica di Benda)» o il contrasto, non solo di idee, tra Karl Jaspers, «gentiluomo altissimo, esile, pallido e canuto, figurino impeccabile in nero e grigio» e «il piccolo Lukács, col suo volto di asceta magro e duro, con la bocca larghissima e piatta, gli occhiali ampi?, la zazzera centroeuropea appena contenuta e un vestitino color senape». Il tutto non senza notare, da parte del critico-cronista, la vistosa carenza di italiani, rappresentati dal solo Flora, dal momento che Croce, alla notizia di una probabile "calata di Sartre", aveva esclamato «E allora che ci andiamo a fare ?». D´altra parte non c´era poi da sorprendersi che i francesi, veri padroni di casa, non avessero fatto ponti d´oro a coloro che, con Hitler quasi a Parigi, li avevano aggrediti alle spalle. Il che non toglie che Contini potesse legittimamente lamentare l´assenza non solo dei Moravia, degli Alvaro o dei Bacchelli, ma anche dei "giovani filosofi" Calogero e Capitini, Antoni e Bobbio, Luporini e Del Noce – tutti, ad eccezione degli ultimi due, della sua stessa provenienza azionista.
Davanti alle macerie ancora fumanti della guerra, a un anno dalla scoperta di Auschwitz e dall´esplosione di Hiroshima, la domanda intorno a cui ruotano le giornate di Ginevra non è poi tanto diversa da quella del primo Congresso degli scrittori antifascisti tenutosi alla Mutualité di Parigi nel giugno del ´35 (su cui si veda Per la difesa della cultura. Scrittori a Parigi nel 1935, a cura di Sandra Teroni, Carocci 2002). Dal resto il motivo della décadence europea era stato intonato da tempo, prima ancora che dai vari Husserl, Heidegger, Spengler, da un ispirato Valéry, all´epilogo dell´altra guerra, quando, all´interrogativo «Che cosa è, dunque, questa Europa», poteva già rispondere che essa «è una sorta di capo del vecchio continente, una appendice occidentale dell´Asia» in La Crise de l´esprit. Note (o L´Européen). Certo, rispetto ad allora un´orda di barbari aveva passato il Reno minacciando di travolgere una civiltà bimillenaria. E già s´intravedeva, tra i vincitori americani e russi, uno scontro di egemonia, foriero, se scatenato, di una catastrofe ancora peggiore. È in questo quadro incandescente e incerto che Contini esercita la propria critica affilata, prendendo debita distanza innanzitutto dal proposito, in quell´occasione un po´ goffo, prima ancora che reazionario, di tenere a riparo la cultura europea dal vento della politica.
Da qui, da questa opzione esplicita a favore di un impegno sobrio ma fermo, discendono tutti i suoi giudizi. Da quello, impietoso, per «l´ircocervo di sciocchezze, di logica e finezza victorhughiane» di Bernanos, «clown perfetto» con la sua «oratoria catastrofica di cassandra non inascoltata» a quello, rispettoso, nei confronti del marxista Lukács, nonostante la netta distanza ideologica che li separava; a quello, aperto ma perplesso, su Jaspers, ricco di pathos esistenziale, ma privo di coerenza interiore e di necessità speculativa. Ciò cui, contro le ipotesi totalizzanti di destra come di sinistra, Contini sembra piuttosto rimandare, nell´ora della ricostruzione, è il senso del limite e dell´equilibrio tra le polarità opposte che, nella loro dialettica, hanno costituito la risorsa profonda della storia europea – l´oscillazione continua tra ragione e fede, autorità e libera ricerca, ordine e rivoluzione. La stessa Resistenza, nella memoria freschissima dell´autore, si configura come una vicenda fatta di ingredienti diversi, ma non priva, nella sua vocazione al sacrificio, di un impulso religioso.
Ma perché l´Europa possa ancora attingere a quella fonte, apparentemente inaridita – questa mi pare la conclusione che possiamo trarre dalle terse pagine di Contini – deve rinnovare radicalmente, prima ancora che il rapporto con le potenze che la circondano, quello con se stessa. Non solo vincere il demone nazionalista che per troppo tempo ha portato dentro rischiando di farsene strangolare, ma anche ripensare a fondo la fatale categoria di sovranità, allargandola progressivamente dai confini dei singoli Stati a quello dell´intera comunità europea. Nella relazione di apertura dell´incontro di Ginevra (oggi interamente leggibile in rete) Julien Benda pronuncia parole che, a sessantacinque anni di distanza, non hanno perso nulla della loro pregnanza: «oggi l´idea di nazione sembra aver terminato la sua carriera, a favore dell´idea di Europa. Ma non facciamoci illusioni; non crediamo che tale idea trionferà naturalmente; sappiamo che essa troverà, da parte di quella che intende detronizzare, una forte opposizione e una resistenza tenace. La verità è che le nazioni, per fare veramente l´Europa, dovranno abbandonare, non certo tutto, ma qualcosa della loro particolarità in favore di un´entità più generale».
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento