Raffaele Simone: Le passioni dell’anima, Garzanti, Milano 2011
Il 1° settembre 1649, da un porto olandese, un viaggiatore straordinario si imbarca per Stoccolma. Chi invita in Svezia René Descartes è la regina Cristina, trionfatrice della Guerra dei Trent'anni, femme philosophe, che allo stuolo di eruditi di cui si è circondata vuole aggiungere, come culmine, il grande francese. A Stoccolma, che vive uno dei suoi autunni più gelidi e cupi, Descartes incontra amici fidati (l'ambasciatore di Francia Chanut e sua moglie Emilie), molta gente singolare (il pittore Machado, inetto nella pittura ma poeta esperto) e moltissima malfida. Rintanato in casa, isolato da tutti, in attesa della chiamata della regina, si rende conto che solo la vanità lo ha indotto al durissimo viaggio: la regina sembra aver perso interesse per lui, mentre gli si crea attorno un clima di dicerie e sospetti. Gli echi del mondo esterno gli arrivano, attutiti dal freddo, attraverso i racconti del valletto: la presenza invisibile del cancelliere Oxenstierna, l'ombra del re Gustavo Adolfo, il clima di doppiezza e di insidia alimentato da un fitto reticolo di spie. A sostenere Descartes è la corrispondenza che tiene con mezza Europa, in particolare con la principessa Elisabetta, oggetto di una straordinaria passione intellettuale: a lei dà consigli filosofici, medici e politici e confida la sua speranza di ritorno. Nel contempo però commette imperdonabili errori, come dedicare alla regina il trattato Le passioni dell'anima che ha scritto per Elisabetta. Nella sua casa, ove più voci gli riportano dei complotti della corte, è visitato da sogni, sperimenta il richiamo dell'eros, attraverso Machado si inizia alle arti, è l'ignaro oggetto della passione di Madame Chanut.
Ma in un'alba di ghiaccio, mentre aspetta di esser ricevuto dalla regina, Descartes ha il malore che lo conduce a morte. Nella narrazione delle sue ultime ore, fatta a più voci, in un'insostenibile concitazione si affacciano tutte le interpretazioni, anche le più perturbanti. Le passioni dell'anima racconta tutto questo con un'impercettibile tessitura di testi autentici, interpolazioni e apocrifi, doppiando così nella scrittura una storia in cui il vero e il falso, il detto e il non detto s'intrecciano senza posa.
Le passioni fallite di Cartesio
Il romanzo storico di Raffaele Simone mette a fuoco gli ultimi mesi della vita del filosofo francese quando si recò in Svezia chiamato dalla regina Cristina. Un’esperienza che gli amareggiò il carattere e ne affrettò la morte
di Giulio Ferroni l’Unità 11.1.12 da Segnalazioni
Il romanzo scritto da Raffaele Simone (Le passioni dell’anima, Garzanti, settembre 2011, pp.318, €. 19,60), dopo tanti importanti lavori di linguistica e tanti saggi di ampio orizzonte filosofico e politico-culturale, non si confonde con i tanti romanzi di professori giunti al culmine della carriera, che abbandonano il tradizionale abito accademico per esibirsi in narrazioni narcisistiche, artificiose, esornative. Questo libro non mira a costruire un inutile monumento di sé, una misurazione di passioni e esibizioni personali, ma si rivolge alla vicenda storica di un grande filosofo del passato, il francese René Descartes (Cartesio il suo nome latinizzato), presenza determinante della cultura del Seicento europeo, che seppe dare alla filosofia un essenziale rilievo pubblico, aprendo la strada verso un modello di una razionalità pura, verso la moderna disposizione della ragione a misurare la realtà, a illuminare in modo chiaro e distinto ogni aspetto dell’esperienza.
Si seguono qui gli ultimi mesi della vita di Descartes, dal 1 settembre 1649, con la sua partenza dall’Olanda, a lungo sua dimora, il suo viaggio verso la Svezia (dove era stato chiamato dalla giovane regina Cristina di Svezia, desiderosa di apprendere la filosofia direttamente da lui) e le difficoltà del suo soggiorno nella gelida Stoccolma, fino alla sua morte, l’11 febbraio 1650, all’età di cinquantaquattro anni. Un romanzo storico, quindi, ma ben diverso dai tanti romanzi storici che vanno oggi di moda, perlopiù esteriormente attualizzanti, paradossalmente privi di senso storico: Simone fa parlare direttamente i personaggi, attraverso tutta una serie di lettere e frammenti di diario, che in parte riprendono documenti reali, in parte sono frutto di un’invenzione che rispetta l’orizzonte storico, il colore e il respiro del Seicento, qui tanto più lontano e tanto più remoto, in quanto dislocato tra i ghiacci di una Svezia per molti tratti ancora «barbarica», tra personaggi spesso insondabili ed enigmatici, come in primo luogo quella singolare regina (che peraltro negli anni successivi si convertì al cattolicesimo e visse tra varie traversie e manovre politiche, fino a passare la parte finale della sua vita a Roma, riunendo intorno a sé una piccola corte, da cui doveva poi scaturire l’accademia dell’Arcadia).
INTRECCI DI VOCI
L’intreccio tra la voce di Descartes e quelle dei vari personaggi con cui si trova in contatto è scandito da varie citazioni dell’ultimo trattato del grande filosofo, di cui del resto il romanzo ripete il titolo, Le passioni dell’anima: trattato apparso in Olanda alla fine del 1649, proprio quando l’autore ormai si trovava in Svezia. Simone si serve delle varie definizioni lì date dalle passioni, in termini di razionale rigore, per scandire le passioni che agitano e complicano la vita che si svolge intorno a Descartes, la realtà con cui egli viene ad incontrarsi o che vede insinuarsi dentro di sé. In quella dimora dislocata quelle passioni dell’anima non sono più oggetto di uno sguardo superiore e distaccato, ma vengono a configgere con la vita stessa dell’autore, a modificarne radicalmente le condizioni e il carattere. La vita del filosofo era votata tutta al pensiero e alla scienza: era riuscita esemplarmente a sottrarsi ai turbinosi conflitti del presente, fissandosi in un modello di razionalità pura, come in una scarnificata astrazione intellettuale; o almeno così se ne propagava il modello nella cultura europea (fino a lasciare echi e suggestioni ancora nel Novecento, come rivela l’epigrafe apposta da Paul Valéry al suo Monsieur Teste: «Vita Cartesii est simplicissima»).
LA CORTE SVEDESE
L’incontro con la corte di Svezia, con un mondo ostile ed estraneo, con le pretese e la volubilità della regina (poco accogliente in effetti, e ben presto delusa per il suo incontro col filosofo, costretto a recarsi da lei nel gelo delle cinque di mattina) viene come a mettere sotto assedio quel modello di vita, la stessa filosofia cartesiana, la sua percezione del mondo e dell’esistenza: e conduce al fallimento il sogno, che forse aveva motivato l’accettazione dell’invito regale, quel sogno che nel secolo successivo avrebbe animato la grande cultura illuministica, di un attivo rapporto della cultura con il potere, di un insediamento della ragione al vertice della vita statale.
Nel pieno rispetto della verità e della distanza storica, pur tra nuovi sguardi agli universi su cui il filosofo fuori del suo ambiente consueto era costretto ad affacciarsi, il libro di Simone offre una tesa immagine del confronto dell’esperienza intellettuale con il fallimento e con la fine: di come la vita simplicissima dello studioso venga ad esporsi alla contraddizione, ad un’invadenza delle passioni che ne mettono in questione il modello e la conducono al naufragio. La pura razionalità dello scienziato giunge qui ad affacciarsi sul proprio disgregarsi e contraddirsi: dietro la figura di Descartes si affaccia quella del suo contrario secentesco, don Chisciotte. Simone lo porta infatti a conoscere il personaggio di Cervantes per l’iniziativa di un pittore spagnolo che egli incontra a Stoccolma, che amichevolmente lo invita a tener conto dell’esperienza estetica, verso cui era di solito rimasto indifferente, e di tutto ciò che sfugge al controllo della ragione: e lo conduce a scoprire la contraddizione, il doppio, l’obliquità, la resistenza insondabile del reale.
UNA PROSA RIGOROSA
La prosa rigorosa e splendente di Simone procede con formidabile misura sintattica e si carica di suggestive tensioni, come catturando dentro di sé gli echi di quella contraddittoria realtà storica, l’eterogeneità delle voci che vengono messe in campo: voci che illuminano la figura del filosofo, dell’intellettuale totale, in tutte le sue sfumature, nell’ostinata fedeltà al proprio essere, nella più umile quotidianità, nella desolazione e nel senso di sconfitta, nel gelo della fine che man mano se ne si impossessa. Questo è un libro davvero raro e prezioso, antidoto alla banalità che domina le classifiche: parlando di un tempo lontano e della fine di un grande filosofo, ci parla anche di oggi, della solitudine dell’intellettuale, del fallimento del sogno di imprimere sulla realtà il sigillo della cultura e della ragione.
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