Israele ricorda alle altre nazioni che nessuno è autoctono
Donatella Di Cesare nel suo “Se Auschwitz è nulla”, ricostruisce le tesi negazioniste e le loro ripercussioni sulla storia recente
di Corrado Ocone il Riformista 12.1.12
Il negazionismo, la tesi che tende appunto a negare o semplicemente a ridimensionare il fenomeno dello sterminio in massa nelle camere a gas degli ebrei da parte dei nazisti, non può essere giudicato e condannato sul terreno meramente storiografico, come finora per lo più si è fatto. Non si tratta infatti di una tesi storica, per quanto aberrante, ma di un progetto politico. Lo stesso che mosse i nazisti nella loro opera di “purificazione” antisemita. Fra quell’annientamento e questa negazione c’è un sottile filo rosso. E i primi negazionisti sono stati proprio i nazisti. È questa la tesi forte di un pamphlet appassionato, informato e limpido nella scrittura che esce oggi per i tipi de Il Melangolo: Se Auschwitz è nulla. Contro il negazionismo (pagine 127, euro 8).
Autore è Donatella Di Cesare, ordinario di Filosofia teoretica alla Sapienza di Roma, già allieva prediletta di Gadamer a Heidelberg e ora vicepresidente della Heidegger Gesellschaft: «Himmler affermadisse agli ufficiali delle SS che la “gloriosa” pagina di storia, che stavano per scrivere, era una pagina che non era mai stata scritta e che non sarebbe mai stata scritta».
Il volumetto si legge con intensità ed è pieno di notizie e fatti, spesso non conosciuti ai molti, sulla Shoah. Contiene anche una ricostruzione delle tesi negazioniste, da quelle più sfacciate a quelle più mascherate da intenti scientifici e quindi più pericolose (la critica delle tesi di Nolte è da questo punto di vista illuminante e calzante). Le stesse odierne farneticazioni di un Ahmadinejad vengono ricondotte dall’autrice ad un filone, poco esplorato, di promozione e diffusione del nazismo nei paesi musulmani iniziato addirittura nel 1939 quando il Terzo Reich sponsorizzò la traduzione in arabo del Mein Kampf di Hitler e dei falsi Protocolli dei Savi di Sion (la vicenda è ricostruita in Propaganda nazista nel mondo arabo di Jeffrey Herf, che esce in questi giorni in traduzione italiana per le edizioni dell’Altana, pagine 464, euro 19).
Il fatto tuttavia che il libro sia stato scritto da una filosofa presenta sicuramente un valore aggiunto perché evita di cadere in alcuni tranelli teorici che, se sviluppati logicamente, potrebbero mettere in crisi la memoria condivisa dello sterminio. La stessa celebre espressione di Adorno sulla impossibilità di pensare dopo Auschwitz, e quindi sulla sua “singolarità” o “unicità”, va concepita, secondo la Di Cesare, non come un vuoto che si sarebbe creato nel processo storico ma proprio come la reiterazione sempre possibile nel futuro di un evento che non può dirsi mai appartenente solo al passato. Sottrarre alla comprensione storica lo sterminio potrebbe cioè causare proprio l’effetto della non comprensione delle dinamiche sempre in atto che hanno permesso di realizzarlo. L’autrice ci mette poi in guardia anche su un altro argomento capzioso molto in voga, soprattutto a sinistra: la distinzione fra antisionismo e antisemitismo, con la connessa messa in discussione della legittimità storica e democratica dello Stato di Israele in quanto lesivo dei diritti del popolo autoctono. A parte il fatto che gli insediamenti ebraici in quello che è oggi Israele erano già numerosi prima della Shoah, «si possono sfidare tutti i popoli a provare il loro diritto. Nessuno è autoctono». La conclusione è che «Israele irrita la sovrana autocoscienza delle nazioni ricordando a sé e agli altri che sulla terra siamo tutti ospiti temporanei e che forse è venuto il tempo di pensare alla possibilità di un nuovo abitare».
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