domenica 29 gennaio 2012

Storicità delle età della vita

Le età variabili
La mutevole percezione del tempo durante i secoli Così l'idea di anzianità cambia di epoca in epoca seguendo gli usi culturali
di Alessandro Barbero Corriere della Sera 29.1.12 da Segnalazioni

Nell'XI secolo il cardinale Pier Damiani era uno degli uomini più potenti della Chiesa romana. Già vecchio, rievocò in un suo scritto un ricordo di quando, da ragazzo, era andato ad abitare a Parma per studiare le arti liberali: in pratica per fare il liceo. Erano i tempi in cui non era ancora stato imposto il celibato ai sacerdoti e accanto a lui abitava una coppia: un ecclesiastico e la sua donna. Erano giovani e allegri e per il ragazzo abitare vicino a loro era un tormento: attraverso la parete sentiva tutto, e quel che non sentiva lo indovinava. Io, dice il cardinale, ero nel fiore dell'adolescenza, la faccia cominciava a coprirsi di barba, e nella carne lo sentivo eccome, l'aculeo del desiderio, e non pensavo ad altro che a quei due, alle loro risate e ai loro giochi, e alla bocca rossa di lei, nell'alloggio accanto.
È uno dei primi testi medievali che ci parli dei turbamenti dell'adolescenza, non col tono scientifico di un trattato sulle età dell'uomo, ma con la commozione di chi a tanti anni di distanza ricorda com'era. Saltiamo avanti di qualche secolo: alla metà del Quattrocento papa Pio II, che prima di diventare Papa era l'umanista Enea Silvio Piccolomini, scrive una lettera a un amico su com'è brutta la vecchiaia. Mi accorgo che tutto è diverso, osserva il Papa: il corpo non risponde più, i movimenti diventano difficili, tutta la macchina scricchiola, non posso mai dimenticarmi che siamo mortali, e che la mia morte non è più tanto lontana.
Lo studente adolescente che comincia a radersi la barba e scopre il desiderio sessuale, l'uomo anziano che constata con angoscia il proprio deterioramento fisico: si è tentati di dire che questa è la condizione umana, e che in ogni epoca vivere ha significato attraversare queste esperienze. Ma è anche vero che ogni epoca le ha declinate a suo modo. Pier Damiani a Parma avrà avuto quindici anni: per i pochi che studiavano, in un tempo in cui le buone scuole erano ancora scarse, era normale già a quell'età esser mandati a vivere da soli in una città lontana. D'altra parte, a sedici anni un orfano diventava maggiorenne, il figlio di un nobile poteva essere armato cavaliere, e ancora molto tempo dopo, nei secoli XVIII e XIX, chi era destinato alla carriera militare entrava al reggimento a un'età in cui oggi si è considerati ancora bambini. Quanto a Enea Silvio, difficile non riconoscersi nel suo cupo quadro della vecchiaia che incalza, tranne per un particolare spiazzante: quando scrisse quella lettera, il Papa aveva quarantacinque anni.
Nel passato, insomma, si diventava adulti in fretta, e si invecchiava presto. Ammesso poi di riuscire a invecchiare, perché si moriva a tutte le età, come si può verificare leggendo a caso le epigrafi romane, o anche soltanto le lapidi d'un vecchio cimitero. Certe età erano più pericolose di altre, e fra queste l'infanzia: un bambino su tre moriva entro il primo anno di vita. Nasce dalla paurosa mortalità infantile l'idea, sbagliata, che la gente del passato non si affezionasse ai bambini. Preferivano evitare di affezionarsi ai neonati: in una pagina agghiacciante, Montaigne dice «anch'io ne ho persi due o tre», ed è chiaro che è sincero, non si ricorda davvero quanti erano. Ma quando il neonato diventava bambino, era amato come li amiamo oggi; salvo che le regole erano altre, e i genitori dovevano trattenersi, perché, soprattutto per il padre, mostrare il proprio amore era considerato diseducativo. Giovanni di Pagolo Morelli, mercante fiorentino del Quattrocento, racconta nel suo diario lo strazio indicibile della morte del figlio maggiore. Sono passati mesi, dice, e né io né sua madre abbiamo ancora avuto il coraggio di entrare nella sua stanza; e si dispera pensando che finché era vivo non gli ha mai detto una parola buona, non gli ha mai fatto sentire quanto lo amava, e adesso è troppo tardi.
Forse più di tutte le età della vita, l'infanzia è quella che esemplifica al tempo stesso la fondamentale unità della natura umana, e i mutamenti culturali che ci rendono diversi da un'epoca all'altra. In un registro del 1346 è annotata una decisione del consiglio comunale di Torino riguardante il salario del maestro di scuola; al notaio che scriveva, l'argomento ha fatto tornare in mente i bei ricordi d'infanzia, e sul margine del registro ha disegnato... un frustino. D'altra parte, i bambini di oggi continuano a costruire castelli di sabbia, come i bambini del Medioevo: di un'epoca cioè in cui il castello era il centro del mondo (che i bambini medievali costruissero castelli di sabbia, lo sappiamo da una vita di santo: lui, come capita di solito ai santi, era un bambino speciale, e invece di castelli costruiva chiese). Ignari di tutto, i nostri bambini non costruiscono grattacieli, ospedali o svincoli autostradali, costruiscono castelli: guardarli giocare è come essere trasportati indietro dalla macchina del tempo.

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