A colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca. Per Xi Jinping, numero due della gerarchia politica cinese, l’odierna visita ufficiale alla «Scala» del potere mondiale, ha il valore di una solenne anteprima. Una sorta di consacrazione preventiva come futuro leader della superpotenza asiatica, principale rivale degli Usa nella contesa per l’egemonia mondiale. Xi Jinping, che il prossimo congresso del partito comunista sceglierà come successore di Hu Jintao in ottobre, si fa precedere da rinnovate profferte di amicizia soprattutto sul terreno accidentato delle relazioni economiche, dove Pechino subisce le costanti lamentele e critiche statunitensi. «Abbiamo adottato misure concrete per fare fronte alle legittime preoccupazioni americane sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale e sugli squilibri commerciali. Continueremo a portare avanti la riforma del meccanismo di formazione dei tassi di cambio del renminbi e a offrire agli investitori stranieri un ambiente trasparente e rispettoso delle regole», afferma il vicepresidene. Si riferisce all’accusa di tenere artificialmente basso il valore del renminbi, la moneta cinese, per favorire l’export. Concorrenza sleale, secondo Washington.
martedì 14 febbraio 2012
Scenari e misteri cinesi
Xi, futuro leader, sbarca negli Usa ma a Pechino è lotta per il potere
Il vicepresidente, accreditato alla successione di Hu Jintao in ottobre, oggi ricevuto da Obama
Il colloquio preceduto da un ping-pong di dichiarazioni e dallo «strano caso» del superpoliziotto Wang
di Gabriel Bertinetto l’Unità 14.2.12
A colloquio con Barack Obama alla Casa Bianca. Per Xi Jinping, numero due della gerarchia politica cinese, l’odierna visita ufficiale alla «Scala» del potere mondiale, ha il valore di una solenne anteprima. Una sorta di consacrazione preventiva come futuro leader della superpotenza asiatica, principale rivale degli Usa nella contesa per l’egemonia mondiale. Xi Jinping, che il prossimo congresso del partito comunista sceglierà come successore di Hu Jintao in ottobre, si fa precedere da rinnovate profferte di amicizia soprattutto sul terreno accidentato delle relazioni economiche, dove Pechino subisce le costanti lamentele e critiche statunitensi. «Abbiamo adottato misure concrete per fare fronte alle legittime preoccupazioni americane sulla tutela dei diritti di proprietà intellettuale e sugli squilibri commerciali. Continueremo a portare avanti la riforma del meccanismo di formazione dei tassi di cambio del renminbi e a offrire agli investitori stranieri un ambiente trasparente e rispettoso delle regole», afferma il vicepresidene. Si riferisce all’accusa di tenere artificialmente basso il valore del renminbi, la moneta cinese, per favorire l’export. Concorrenza sleale, secondo Washington.
Ma Xi è solo in parte conciliante. Della serie anche noi abbiamo le nostre rivendicazioni: «Auspichiamo che gli Stati Uniti adottino misure concrete per allentare i limiti alle esportazioni di alta tecnologia in Cina e per garantire che le nostre imprese giochino alla pari negli investimenti in Usa». Ancora meno dialogante il tono delle sue osservazioni in materia militare. Pechino protesta per le forniture d’armi americane a Taiwan. E guarda con sospetto ai piani Usa per una più estesa presenza militare nella zona Asia-Pacifico.
Xi parla come fosse ormai lui il capo della Repubblica popolare. Ma recenti avvenimenti in patria fanno sorgere interrogativi sulla solidità della sua leadership. Dall’ultima riunione plenaria del Comitato Centrale, in autunno, i sinologi non hanno ricavato indicazioni chiare sugli sviluppi della lotta per la supremazia nel partito. Gli osservatori concordano nell’individuare due tendenze principali, che si distinguono soprattutto per la maggiore o minore enfasi sul ruolo dello Stato nell’economia.
È curioso che né il futuro presidente Xi Jinping, né il futuro primo ministro Li Keqiang, siano accreditati come capofila delle due correnti, come era invece negli anni passati quando il capo di Stato Hu Jintao impersonava l’orientamento prudente verso le aperture al mercato e il premier Wen Jiabao, all’opposto, dava voce a chi sollecitava un’accelerazione delle riforme.
L’uno e l’altro in ottobre usciranno di scena assieme ad altri 5 membri del Comitato permanente del Polituburo. Gli unici che continueranno a farne parte sono Xi Jinping e Li Keqiang. Ma in Cina molti credono che non siano loro a pilotare i giochi politici. Le figure chiave sarebbero altre due, ciascuna avendo alle spalle un sostegno costruito a livello regionale piuttosto che a Pechino.
Si chiamano Bo Xilai e Wang Yang, rispettivamente segretari del Pc a Chongqing e Canton. Due figure agli antipodi. Bo ha governato Chongqing all’insegna del dirigismo centralista, supportato da un revival ideologico marxista e maoista. Wang Yang ha costruito la sua fortuna politica cavalcando il boom produttivo, commerciale e tecnologico di Canton e del sudest della Cina.
Da che parte sta Xi Jinping? Fino a qualche settimana fa i più pensavano che si appoggiasse a Bo Xilai, per la comune appartenenza alla categoria dei «figli d’arte», i rampolli delle famiglie protagoniste della rivoluzione, una sorta di lobby che attraversa le varie anime del partito.
Ma qualcosa di misterioso è accaduto a Chongqing recentemente con il siluramento del superpoliziotto e braccio destro di Bo Xilai, Wang Lijun, protagonista della campagna contro la corruzione che aveva rafforzato straordinariamente l’immagine di Bo. Qualcuno sospetta che la rovina di Wang Lijun (che ha anche tentato di chiedere asilo politico in Usa) sia una macchinazione per colpire Bo Xilai. Uno che faceva ombra a molti. Forse anche a Xi Jingpin.
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