Marina Montesano: Caccia alle streghe, Salerno, pp. 188, 12,50
Scheda editoriale
Alla
fine dell’età medievale prende avvio la cosiddetta “caccia alle
streghe”. Secondo la bolla Summis desiderantes, promulgata da Innocenzo
VIII nel 1484, le streghe avrebbero dato vita a una vera e propria setta
decisa a colpire la Cristianità come mai si era verificato prima. Ma
che cos’è il fenomeno della stregoneria e la conseguente caccia alle
streghe? È un’offensiva contro l’universo folklorico e le superstizioni
popolari? È una reazione della società alla diversità? Alla luce di una
attenta analisi delle fonti, degli scritti e delle azioni dei
protagonisti di quelle vicende, è invece possibile tracciare un quadro
generale dal quale la “caccia” emerge per larghi tratti, da una parte
come un elemento costitutivo della modernità, dall’altra come una
risposta a esigenze riaffioranti nella società in epoche diverse. Non
solo e non tanto nel “barbaro medioevo”, quanto e soprattutto in epoche
nelle quali ci piace pensare che il trionfo della ragione e del diritto
abbiano il sopravvento. A tal fine si prenderanno anche in esame, in una
postilla finale, alcuni casi contemporanei che presentano elementi
tipologici assai simili alle persecuzioni antistregoniche.
L'autore.
Marina
Montesano insegna Storia medievale all’Università di Genova. Tra le sue
pubblicazioni ricordiamo Storia medievale (con Franco Cardini),
Firenze, 2006.
La modernità inasprì la caccia alle streghe
Spesso a condurla furono intellettuali illuminati
di Paolo Mieli
Corriere 29.5.12 da Segnalazioni
La storia delle credenze e delle pratiche atte ad ottenere l'intervento
di geni malefici (e, più tardi, del demonio) per compiere sortilegi,
risale all'antichità. Marina Montesano in un assai interessante libro
che esce domani per l'editore Salerno, Caccia alle streghe (pp. 188,
12,50), dimostra come essa sia indisgiungibile dalle culture pagane.
Racconta Tito Livio che, nel 331 a.C., 170 matrone di Roma furono
condannate a morte per aver provocato con il veleno il decesso di molti
personaggi d'alto rango. Tacito riferisce che la malattia e poi la morte
di Germanico vennero attribuite a un maleficio (nella sua stanza furono
rinvenute ossa semibruciate assieme a grumi di sangue). In una delle
Satire di Orazio, Canidia e Sagana si aggirano sull'Esquilino
nell'antico cimitero degli schiavi: lì cercano ossa da mescolare a «erbe
che nuocciono», poi seppelliscono vivo un bambino e sbranano a morsi
un'agnella bruna, tutto al fine di «rendere folli gli uomini» Anche la
Medea di Seneca «sceglie le erbe mortali, spreme e mescola veleno di
serpenti e ripugnanti uccelli: cuore di lugubre gufo, viscere strappate
alla rauca strige ancora viva». Le streghe di Plinio e di Petronio
rubano i corpi dei neonati, li dissanguano, li divorano e li
sostituiscono nella culla con dei fantocci. Le strigi, uccelli che
stridono e di notte strappano i bambini dai loro piccoli letti per
succhiarne il sangue, compaiono anche nei Fasti di Ovidio.
Ancora
prima, il Vecchio Testamento è profondamente intriso di «antimagismo»,
che trae origine dalla lotta di Israele contro i circostanti popoli
pagani. Il cristianesimo non sarà da meno. Nella Lettera ai Galati, San
Paolo condanna i veneficia. Ma, si apprende da Tertulliano (il quale
nell'Apologeticum difese i cristiani da questo genere di calunnie), che i
cristiani stessi furono accusati nel mondo antico di omicidi rituali e
di pratiche orgiastiche e magiche. Il Concilio di Elvira (306)
stabilisce che sia rifiutata la comunione a coloro che si applicano ai
maleficia. Tertulliano e, a distanza di oltre un secolo, il vescovo
milanese Ambrogio combatteranno le feste pagane che prefigurano i sabba
stregoneschi. Costantino nel 331 consentirà di ripudiare la moglie (ma
anche il marito) se si scopre che è una «medicamentaria», cioè una
persona che abbia avvelenato o violato i sepolcri. Alla metà del V
secolo, il Codice di Teodosio, raccogliendo gli editti da Costantino in
poi, detta norme imprescindibili, nelle quali si intrecciano la condanna
della magia e quella del paganesimo. Vengono mandati a morte
incantatori, tempestari, coloro che turbano le menti, divinatori e
indovini di vario genere, quelli che celebrano riti notturni nel corso
dei quali si invocano i demoni.
All'inizio del V secolo, però,
Agostino d'Ippona invita a non confondere tra eresia e magia. E c'è chi,
in modi diversi, si oppone a credenze e superstizioni dell'epoca. C'è
un capitolare di Carlo Magno del 785 dove, a proposito dei sassoni
sconfitti, si stabilisce che «se qualcuno ingannato dal diavolo, avrà
creduto secondo la superstizione pagana che un uomo o una donna sia una
strega e divori gli uomini e perciò l'abbia bruciata o ne abbia fatto
mangiare le carni, o l'abbia mangiata, sarà punito con la sentenza
capitale». Man mano che si procede verso l'anno Mille, l'ossessione nei
confronti della magia riprende a crescere. Nell'Inghilterra della
seconda metà del VII secolo, Teodoro, monaco di Canterbury, infligge tre
anni di penitenza a coloro che hanno fatto dei sacrifici in onore dei
demoni («intendendo presumibilmente le divinità precristiane»). Il
penitenziale francese detto «di Halitgar», agli inizi del IX secolo,
condanna ad una pena di cinque anni un uomo che abbia reso pazzo un suo
consimile facendo ricorso al demonio. Nell'834, in occasione di
un'improvvisa malattia di Ludovico il Pio, suo figlio Lotario I accusa
una suora, Gerberga, d'aver fatto ricorso a pratiche «venefiche» e
«malefiche»: Gerberga viene uccisa per annegamento. La morte improvvisa
del re dei franchi orientali, Arnolfo di Carinzia, nell'899, è
attribuita a un uomo e a una donna che avrebbero compiuto atti di magia:
vengono entrambi torturati e messi a morte. Nel 970, a Londra, una
donna e suo figlio sono accusati di maleficium: avrebbero fabbricato un
fantoccio di pezza a immagine di un uomo per poi pungerlo con spilli e
provocare così la morte dell'uomo stesso; la donna è condannata e
annegata nelle acque del Tamigi.
Le cose non cambiarono granché dopo
l'anno Mille. Durante la prima metà dell'XI secolo re Ramiro I d'Aragona
ordinò la condanna a morte di numerose «streghe». Nel 1208, in
Aquitania, una donna e alcuni suoi complici furono bruciati vivi per
aver causato con espedienti magici la malattia di Guglielmo d'Angoulême.
La cosa si ripeté un secolo più tardi, nel 1128, per l'infermità del
conte Teodorico delle Fiandre. «La lotta condotta dai legislatori e
dalle autorità tanto laiche quanto ecclesiastiche contro i culti
precristiani», nota Marina Montesano, «aveva lasciato pratiche e
credenze legate agli antichi paganesimi spoglie dei contesti che le
avevano prodotte». L'unica spiegazione proposta «era la seduzione
diabolica che poteva declinarsi tanto nel senso di affermare la totale
illusorietà degli effetti, quanto, al contrario, nell'ammetterne la
reale minaccia».
Alla svolta dell'anno Mille non era affatto scontato
quale direzione avrebbe preso la cristianità e, anzi, ci saremmo potuti
attendere «che la crescente razionalità del pensiero bassomedievale
portasse al netto prevalere della prima tendenza». Invece accadde
l'opposto. Fu la guerra ai catari — secondo quel che ha scritto Malcom
Lambert, nel libro I catari (Piemme) — a saldare la caccia alle sette
ereticali con quella alle streghe. I catari («puri»), provenienti
probabilmente dai Balcani (nei primi decenni dopo l'anno Mille erano
definiti «bulgari»), concepivano il mondo come dominato dalla lotta fra
due principi, quello dello Spirito, luminoso e benefico, e quello della
Materia, oscuro e malefico. La Chiesa li scomunicò nel Concilio di
Tolosa (1119). L'imperatore Federico Barbarossa iniziò a combatterli su
sollecitazione di Papa Lucio III nel 1184. Nel 1209 la Chiesa scatenò
una crociata contro i catari di Linguadoca, che proseguì con ferocia
fino al 1244, quando cadde la loro ultima roccaforte, il castello di
Montségur, e duecento di quelli tra loro che avevano rifiutato di
pentirsi e convertirsi furono bruciati vivi ai piedi della fortezza. Ma
la guerra ai catari doveva durare ancora fino ai primi anni del XIV
secolo. Fu papa Gregorio IX nel 1233 a descrivere i «comportamenti» che
distinguevano queste sette: i membri, secondo il Pontefice, si riunivano
in conventicole notturne durante le quali apparivano «uomini
misteriosi, rospi e gatti di dimensioni insolite» e ci si dava a «orge
nelle quali tutti si accoppiano con tutti, senza distinzioni di genere e
di ruolo».
In quel contesto, secondo Marina Montesano, furono
ridefiniti, sistemati in un canone e presero definitivamente piede
«stereotipi destinati a grande fortuna nella caccia alle streghe».
Provarono a stabilire un argine a tali persecuzioni i papi Alessandro IV
(1258) e Bonifacio VIII (1298), per i quali la magia non doveva essere
materia d'inquisizione, a meno che gli atti presi in esame potessero
essere tacciati di eresia. Ma ormai era tardi ed era pressoché
impossibile operare distinzioni tra pratiche magiche e comportamenti
ereticali. Come dimostrano i processi contro i catari istruiti tra il
1318 e il 1325 dall'inquisitore Jacques Fournier, che in seguito sarebbe
diventato Papa con il nome di Benedetto XII. E come dimostrano altresì
le imputazioni di negromanzia rivolte, all'inizio del Trecento, dal re
di Francia Filippo il Bello contro Bonifacio VIII, poi contro il vescovo
di Troyes, accusato di aver ordito un complotto per uccidere la moglie
dello stesso re, Giovanna di Navarra, e infine contro i templari.
A
seguito della crociata contro i catari ha preso piede l'uso politico
dell'accusa di magia. «Se si volesse trovare un momento in cui almeno
simbolicamente il problema del rapporto con il diavolo muta in modo
sensibile», scrive Montesano sulla scia di un importante studio di Alain
Boureau, «bisognerebbe individuarlo negli anni Venti del Trecento, con
la bolla Super illius specula di Giovanni XXII, nella quale l'anziano
Pontefice stigmatizzava coloro che stipulano un patto "con l'inferno" e
all'insegna di questo immolano e adorano i demoni, fabbricano immagini,
anelli, specchi e fiale, ossia oggetti atti a compiere malefici». Bolla
«rivoluzionaria» che nei fatti equipara magia a eresia. A dispetto delle
esortazioni a distinguere tra pratiche superstiziose ed ereticali,
formulate dieci secoli prima da Sant'Agostino. Invece magia ed eresia
divennero quasi sinonimo lungo il corso della guerra dei Cent'anni
(1337-1453), soprattutto verso la fine del Trecento ai tempi della crisi
di follia del re di Francia Carlo VI. Agli inizi del Quattrocento il
movimento di riforma ecclesiastica guidato in Boemia da Jan Hus viene
accusato dalla Chiesa romana d'essere ispirato dal «principe delle
tenebre».
A metà del Quattrocento qualcuno mette nuovamente in
guardia da questo eccesso di sovrapposizione tra magia ed eresia ed
esorta a operare distinzioni: Giordano da Bergamo, Girolamo Visconti e
in particolare il canonista senese Mariano Sozzini. In Francia la
«grande caccia» nella regione di Arras si trasforma in una psicosi
collettiva al punto da costringere il duca Filippo il Buono a porre un
freno e il tribunale di Parigi a rivedere alcuni processi. Stava finendo
una stagione della caccia alle streghe. Ma se ne stava preparando
un'altra, se possibile peggiore, molto peggiore della precedente. Con la
bolla Summis desiderantes, promulgata da Innocenzo VII nel 1484 (a cui
fece seguito, due anni più tardi, il Malleus maleficarum del domenicano
Heinrich Kramer, il primo manuale inquisitoriale interamente dedicato
alla stregoneria), nella trattatistica a cavallo tra la fine del
Quattrocento e l'inizio del Cinquecento si cominciò ad affermare l'idea
che «i molteplici crimini commessi dalle streghe in accordo con il
demonio fossero fenomeni differenti da quelli che i canonisti avevano
registrato in passato». In quegli anni «le streghe avrebbero dato vita
ad una vera e propria setta decisa a colpire la cristianità come mai si
era verificato prima». L'insistenza sulla «modernità» della setta era
importante perché, scrive Montesano, «tracciava una cesura netta
rispetto allo scetticismo espresso in passato circa i reali poteri delle
streghe». Così la caccia alle streghe «emerge da una parte come un
elemento costitutivo della modernità, dall'altra come una risposta a
esigenze riaffioranti nella società in epoche diverse». Non solo e non
tanto nel «barbaro Medioevo», quanto e soprattutto «in epoche nelle
quali ci piace pensare che il trionfo della ragione e del diritto
abbiano il sopravvento». Ecco perché, come ha scritto Franco Cardini
occupandosi del libro di Colette Arnould La stregoneria. Storia di una
follia profondamente umana (Dedalo), si può dire che «la stregoneria
moderna sia in realtà un palinsesto di personaggi e di eventi che ha
attraversato almeno due successive importanti rotture, il cristianesimo e
la modernità». La caccia alle streghe, «fondata», scrive Cardini, «su
una rilettura attualizzante di fonti bibliche ed antiche», torna
prepotentemente sul proscenio «per razionalizzare una crisi
socio-religiosa profonda come quella che l'Europa ha attraversato tra il
XIV e il XVII secolo». Tenendo sempre presente che «le streghe sono
state bruciate più dai protestanti che dai cattolici e che la famigerata
Inquisizione spagnola non ha quasi neppure trattato il problema».
Così
il periodo che va dal 1550 al 1660 costituisce l'apice della caccia
alle streghe in Europa. Rodney Stark in A gloria di Dio (Lindau) spiega
come non vada dato credito a una pubblicistica (Andrea Dworkin, Mary
Daly, Pennethorne Hughes) che parla di milioni di vittime. Tra il
Quattrocento e la metà del Settecento le condanne alla pena capitale
furono tra le 40 e le 60 mila: «La morte di sessantamila persone
innocenti», scrive Stark, «è certamente un qualcosa di agghiacciante, ma
non giustifica l'esagerazione così inverosimile delle cifre». Il
maggior numero di processi (e vittime) si ebbe in Germania, dove nella
parte meridionale, cattolica, il fenomeno fu più intenso rispetto
all'area settentrionale, protestante. Qualcuno provò a reagire: a
Treviri nel 1587 il giudice Dietrich Flade tenne un atteggiamento
ipergarantista nei confronti degli imputati per stregoneria trascinati
in giudizio dall'arcivescovo Johann von Schönenberg; per questo Flade fu
accusato a sua volta, torturato, strangolato e bruciato sul rogo. Poi
vennero Polonia e Ungheria. La Savoia, il Friuli — studiato da Carlo
Ginzburg nel libro I benandanti: stregoneria e culti agrari tra
Cinquecento e Seicento (Einaudi) — i Grigioni, la Navarra pirenaica, le
regioni basche. Anche Montesano fa notare che, «nonostante uno
stereotipo duro a morire pretenda il contrario», la caccia alle streghe
fu di minore intensità nelle aree in cui operavano il Sant'Uffizio o
l'Inquisizione spagnola. In Italia «furono celebrati alcuni fra i primi
processi per stregoneria… Tuttavia nonostante l'alto numero di accuse
mosse fra i secoli XV e XVII, le condanne gravi risultano relativamente
poche: merito di dibattimenti più cauti e regolari, dovuti
all'istituzione della Santa Inquisizione romana a partire dal 1542, che
difficilmente arrivavano alla condanna a morte». A corroborare questa
tesi, Montesano cita il Concilio di Granada del 1526, che dichiarò
impossibile il volo magico e ribadì — con il conforto della maggior
parte dei giuristi dell'epoca — che «le streghe non esistono». E quando
nel 1549 a Barcellona l'Inquisizione locale e le autorità civili
condannano al rogo alcune streghe, la Suprema (ossia il supremo concilio
dell'Inquisizione) reagisce mandando sul luogo un proprio inquisitore,
Francisco Vaca, rivedendo il processo da cima a fondo, annullandone la
sentenza e, addirittura, punendo i giudici che lo avevano istruito.
Brian Levack nel saggio La caccia alle streghe in Europa agli inizi
dell'età moderna (Laterza) ha ben analizzato un caso spagnolo assai
particolare: furono trascinate in giudizio poco meno di duemila persone,
ma ne furono condannate 11. Solo 11. Per di più i tribunali
ecclesiastici, scrive Stark, furono «le corti più riluttanti nei
confronti della tortura e alla fine furono i primi a proibirne l'uso».
Altro
stereotipo è quello della «caccia» come «prodotto dell'ignoranza».
Niente di vero. Hugh Trevor-Roper ha ben documentato come i «più feroci
persecutori delle streghe» furono «i mecenati più colti del sapere
contemporaneo». Portogallo e Irlanda, rispettivamente con 10 e 4
vittime, rimasero praticamente escluse dalla caccia. Notevole fu invece
la diffusione del fenomeno nel New England dove, nel 1691, si ebbe il
caso di Salem (giovanissime che accusarono donne adulte e le condussero
al patibolo). Gli adolescenti furono all'origine, anche in Europa, di
importanti ondate persecutorie come quella basco-navarrese del 1525 e
quella svedese del 1668; talvolta ne furono travolti come a Würzburg nel
1629, dove furono condannati a morte 119 adulti, ma anche 41
giovanissimi.
L'idea per cui la caccia alle streghe sarebbe stata,
scrive Stark, «un movimento reazionario infiammato dalla paura di
un'imminente modernizzazione» è «infondata». È vero, riconosce, «che il
collegamento tra magia e satanismo fu il prodotto del ragionamento
teologico, ma i tentativi di sopprimere la magia e la superstizione
difficilmente possono essere considerati degli attacchi all'illuminismo o
alla modernità». Tanto più che «le menti più illuminate dell'epoca
accettavano l'idea che le streghe fossero in combutta con il diavolo».
Basti ricordare che Samuel Sewall, uno dei tre giudici che avevano
mandato a morte le «streghe di Salem» fu l'autore poco dopo del primo
trattato teologico contro la schiavitù uscito in America.
La caccia
alle streghe dei secoli XVI e XVII, ha scritto Trevor-Roper, «è un
fenomeno che lascia perplessi: un avvertimento per coloro che vorrebbero
semplificare gli stadi del progresso umano». A partire dal XVIII
secolo, prosegue, «abbiamo avuto la tendenza a vedere la storia europea,
dal Rinascimento in poi, come la storia di un progresso, e quel
progresso è sembrato essere costante». Come se, passo dopo passo,
Rinascimento, Riforma, Rivoluzione, la luce avesse avuto sempre la
meglio sull'oscurità. Invece, sotto la superficie di una società sempre
più sofisticata, troviamo «passioni e credulità infiammabili» e la
credenza nelle streghe «è una di queste forze». «Una nuova forza
esplosiva che, con il passare del tempo, si espandeva costantemente e
spaventosamente». «In quegli anni di apparente illuminazione»,
concludeva Trevor-Roper, «c'era almeno un quarto del cielo nel quale
l'oscurità stava vincendo decisamente la sua battaglia a spese della
luce».
Dalla prima metà del Cinquecento alla fine del Settecento
grande fu la battaglia culturale quantomeno contro gli eccessi della
«caccia alle streghe». Reginald Scot nel 1584 si domandò perché mai
Satana fosse ricorso a «uno strumento non adatto» come «una donna
vecchia senza denti, impotente e impacciata nel volare in aria», dal
momento che non avrebbe certo avuto bisogno «di simili strumenti per
ottenere i propri scopi». Contro la «caccia alle streghe» si
schierarono, già nel Cinquecento, il giurista Andrea Alciati,
l'alchimista e filosofo Agrippa di Nettesheim, il medico Johann Wier;
poi, nel secolo successivo, il gesuita tedesco Friederich von Spee, i
filosofi Pierre Gassendi e il cartesiano Nicolas Malebranche; nel
Settecento Ludovico Antonio Muratori, Girolamo Tartarotti, Scipione
Maffei, poi ancora Montesquieu e Voltaire, che levò la voce contro la
turpe pratica di «mandare al rogo degli imbecilli». In seguito alla pace
di Vestfalia (1648) e soprattutto dopo la Rivoluzione francese, le
indemoniate andarono scomparendo. Per riapparire di quando in quando, ma
senza più provocare reazioni isteriche. Lasciarono però qualcosa di
depositato nelle nostre menti. Tant'è che nel Novecento Michail Bulgakov
con Il Maestro e Margherita e Arthur Miller con Il crogiuolo — dedicato
al processo di Salem — per muovere critiche, rispettivamente, alla
società sovietica staliniana e a quella statunitense maccartista, sono
ricorsi a quel mondo e al suo sottofondo.
Tutto finito, dunque? No,
qualcosa è rimasto tra noi. Nel 1983 a Manhattan Beach, sobborgo bene di
Los Angeles, la signora Judy Johnson denunciò Ray Buckey, un insegnante
della scuola materna McMartin, per aver abusato sessualmente di suo
figlio, un bambino in età prescolare. Secondo la Johnson quel genere di
violenze sessuali alla McMartin si sarebbero verificate nell'ambito di
riti di stregoneria con la complicità dei proprietari, nonché il
coinvolgimento di docenti e personale della scuola. La polizia affrontò
il caso con grande determinazione e per prima cosa inviò una lettera
alle famiglie di 200 alunni dello stesso istituto, per sapere se i
bambini negli ultimi tempi avevano notato (o subìto) qualcosa di
insolito. Molti genitori interrogarono i loro figli e si persuasero che
erano stati anche loro molestati o peggio; poi li condussero al
Children's institute international, una clinica che si occupa di abusi,
gestita da Kee MacFarlane, medico specializzato nell'arte di far parlare
i giovanissimi di questo drammatico genere di esperienze. Nella
primavera del 1984 MacFarlane giunse alla conclusione che ben 360
piccoli avevano subito gravi molestie. Ma non era tutto. Gli allievi
della McMartin avevano rivelato anche di essere stati costretti a
partecipare a rituali satanici e che, nel corso di quei rituali, avevano
visto streghe volare, avevano volato loro stessi in palloni
aerostatici, avevano visto gli imputati bere sangue e mutilare animali,
erano stati rinchiusi in bare e calati sottoterra, erano stati condotti
attraverso un armadio in tunnel sotterranei per poi sbucare in cimiteri
nei quali avevano assistito a orge e uccisioni. A quel punto era tornata
in campo la polizia, che aveva cercato di individuare i tunnel e i
cimiteri di cui avevano parlato i bambini. Ma senza successo. I genitori
vollero in ogni caso trascinare in tribunale proprietari e insegnanti
della McMartin. Ma, dopo venti mesi di indagini, un procuratore giudicò
inconsistente gran parte delle accuse: le testimonianze dei bambini
furono reputate deboli e in contraddizione l'una con l'altra. Quasi
tutti gli imputati furono prosciolti. Ray Buckey dovette però affrontare
ugualmente il processo. Nel 1986 l'accusatrice iniziale, la signora
Johnson, venne ritrovata morta nel suo appartamento («complicazioni da
alcolismo», fu scritto nel referto medico). Nel 1990 Buckey è stato
assolto, sia pure da una giuria divisa. Gli imputati hanno fatto causa
allo Stato per i danni subiti, ma la clinica che aveva condotto gli
interrogatori dei bambini non poteva, secondo la giurisprudenza locale,
essere considerata in alcun modo responsabile, neppure sotto il profilo
economico (nonostante le più che esose parcelle per le perizie).
Il
processo, che per certi versi ricorda il caso italiano di Rignano
Flaminio, il cui giudizio di primo grado si è chiuso ieri con
l'assoluzione di tutti gli imputati, fu tra i più lunghi e costosi della
storia degli Stati Uniti. E tra i più seguiti dai media i quali,
nonostante l'esito giudiziario, hanno continuato, in gran parte, a dar
credito alla versione dei bambini. Con grande influenza sull'opinione
pubblica. Alla fine degli anni Novanta si contavano 12 mila denunce per
abusi connessi al satanismo. Moltissime furono le persone imprigionate e
le vite distrutte. Ma neanche una di quelle 12 mila denunce ha retto
alle indagini e ai processi.
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