mercoledì 30 maggio 2012
Morti di fame ma con i droni
Ferma al Congresso la richiesta di Roma
di Francesco Grignetti La Stampa 30.5.12
Le super-armi degli americani montate su droni italiani
Gli aerei senza pilota colpiranno in Afghanistan
di Massimo Gaggi Corriere 30.5.12 da Segnalazioni
EW YORK — «I killer silenziosi» è il titolo del lungo servizio dedicato
dal settimanale Newsweek al modo in cui i droni armati hanno cambiato la
strategia dell'intervento militare Usa in molte aree del mondo,
dall'Afghanistan alla Somalia allo Yemen. Una guerra dei robot per
proteggere le truppe o, addirittura, per colpire obiettivi terroristici
senza dover mettere in campo soldati. Gli aerei Usa senza pilota, come
l'ormai celebre «Predator», sono, però, anche un'arma che pone nuovi
problemi etici prima ancora che tecnici.
Attacchi nei quali uccidere è
molto più facile che catturare e nel corso dei quali spesso
l'eliminazione di un terrorista comporta il «danno collaterale» di
vittime innocenti. Ma è questo il futuro della tecnologia bellica. E
questa è la strada che Barack Obama ha imboccato con determinazione,
assumendosi responsabilità personali molto pesanti. Fino al punto di
avere l'ultima parola sulla «kill list», la lista dei terroristi che il
governo americano intende eliminare considerandoli una minaccia mortale,
come ha raccontato ieri il New York Times.
Tra qualche anno una
responsabilità simile, anche se in scala ridotta e più politica che
operativa, potrebbero doversela assumere anche i capi del governo e
delle forze armate italiane. Anche il nostro Paese, infatti, si sta
dotando di droni e quelli attualmente in servizio, usati come semplici
ricognitori, potrebbero ben presto essere armati trasformandosi, quindi,
in strumenti micidiali.
Da tempo l'Italia aveva chiesto agli Stati
Uniti di poter armare con missili «Hellfire» e bombe a guida laser i
suoi droni (dodici in tutto) e soprattutto i sei «Reaper» (più grandi e
più avanzati dei «Predator») che sono schierati in Afghanistan a
protezione del nostro contingente di circa quattromila uomini. Ma fin
qui solo gli Amx, i caccia italiani con pilota a bordo trasferiti
dall'Aeronautica militare nel Paese dell'Asia centrale, sono stati
armati.
La richiesta italiana, presentata qualche anno fa, era stata
infatti accantonata dal governo americano. Fin qui Washington ha
consentito solo alla Gran Bretagna (e fin dal 2008) di armare i suoi
droni di costruzione americana, in virtù della «relazione speciale» tra i
due Paesi. Nei confronti degli altri alleati aveva prevalso un
atteggiamento di maggior prudenza, nel timore di rendere troppo
facilmente accessibile una tecnologia bellica assai sofisticata.
Ma
questo atteggiamento è cambiato di recente: la Casa Bianca ha deciso di
autorizzare la vendita dei sistemi d'arma all'Italia e ha chiesto al
Congresso il relativo «nulla osta». Una procedura fin qui condotta in
modo abbastanza riservato nel corso della quale, però, sono emerse
riserve di alcuni influenti parlamentari. Perplessità che ieri sono
finite sulla prima pagina del Wall Street Journal. Non si contesta il
diritto dell'Italia, alleato fedele e molto impegnato in Afghanistan, di
difendere con gli strumenti più efficaci i suoi soldati. Ma c'è il
timore che, una volta autorizzata la cessione di tecnologia all'Italia,
sia poi impossibile negare gli stessi missili e le stesse bombe
«intelligenti» agli altri alleati. E in lista d'attesa ci sono già
partner della Nato come la Turchia che, probabilmente, userebbero i
droni anche contro i ribelli curdi nel Sud-Est del Paese.
Le riserve
sono di molti parlamentari e soprattutto dell'influente senatrice della
California Dianne Feinstein, democratica come Obama, che presiede la
Commissione servizi segreti del Congresso. In realtà il termine entro il
quale il Parlamento avrebbe potuto intervenire per bloccare la
decisione della Casa Bianca (che si è mossa nel clima di maggior fiducia
istaurato con Mario Monti e coi ministri degli Esteri e della Difesa,
Terzi e Di Paola) è trascorso senza che venisse proposto alcun veto.
Rimane, comunque, ancora un margine d'incertezza e questo spinge i due
governi a mantenere un certo riserbo, a parte una dichiarazione del
Pentagono, per il quale i droni armati aiuterebbero in Afghanistan tutte
le forze alleate e non solo i soldati italiani.
In realtà
l'orizzonte è più ampio: anche se arriverà il via libera del Congresso, i
tempi tecnici per l'installazione del sistema d'arma sono, infatti,
superiori a un anno. E gli alleati della Nato hanno già deciso il ritiro
dall'Afghanistan nel 2014 e la fine delle operazioni militari in campo
aperto già a metà del 2013.
Insomma, gli Stati Uniti si stanno
semplicemente preparando (con tute le cautele strategiche del caso) a
monetizzare sul piano commerciale il loro vantaggio tecnologico nel
campo dei velivoli senza pilota, mentre le nostre Forze armate si
adeguano alla nuova dottrina bellica. Un futuro che sarà
ineluttabilmente dei droni, da Sigonella, dove arriveranno i grandi
«Global Hawk» della Nato, capaci di sorvegliare tutto il Nord Africa
(comprese le aree sub sahariane dei nuovi covi di Al Qaeda), fino
all'Iraq che difenderà coi «Reaper» le sue istallazioni petrolifere e le
vie di navigazione del Golfo Persico.
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