mercoledì 27 giugno 2012

Ancora lo studio su Miglio e Schmitt

Il titolo redazionale mi pare piuttosto enfatico. E non certo rispetto a Schmitt... [SGA].

Miglio e Schmitt, incontro tra giganti
27 giu 2012  Libero  SIMONE PALIAGA 


Un saggio racconta il rapporto fra il professore comasco e il giurista tedesco Non si videro mai di persona, ma attraverso le lettere si scoprirono vicini e simili 
Che Gianfranco Miglio fosse uno degli uomini più colti d’Europa, Carl Schmitt ne era convinto. Così almeno assicura Ernst Jünger a Marcello Staglieno in uno dei loro incontri a Wilflingen. D’altronde, la sintonia intellettuale tra i due teorici della politica era inevitabile. Entrambi, Schmitt e Miglio, sentivano di appartenere alla grande tradizione del realismo politico europeo e quindi poco inclini a cedere il passo a studiosi che ritenevano di comprendere la politica sostituendo l’esercizio del pensiero con le analisi statistiche. 
E di questa imponente tradizione, se si escludono Raymond Aron e Julien Freund, sono anche stati gli ultimi grandi rappresentanti. Certo, in seno alla storia delle dottrine politiche e senza nulla togliere a Miglio, il giurista tedesco occupa un posto a cui pochi possono ambire. Egli è e continuerà a essere uno dei giganti del pensiero del XX secolo, scranno che Miglio non riesce a contendergli anche se Massimo Cacciari lo considera l’ultimo dei classici. 
Benché palesi sintonie intellettuali e interessi condivisi li accomunino, Schmitt e Miglio non hanno avuto occasione di incontrarsi di persona, come testimoniano le lettere riprodotte in appendice a Dare un volto al potere. Gianfranco Miglio tra scienza e politica di Davide Gianluca Bianchi (Mimesis, pp. 188, euro 18) il più recente libro dedicato allo scienziato della politica comasco. Finora inedita, la corrispondenza racconta il legame che corse tra questi due studiosi. E davvero, in questo caso, si può dire che un libro fu galeotto. 
Sarà proprio l’intenzione di Gianfranco Miglio di far conoscere in Italia i più importanti contributi di Schmitt dedicati allo studio della politica a spingerlo a contattare il solitario di Plettenberg, la cittadina dove il giurista tedesco si era ritirato alla fine della Seconda guerra mondiale. Siamo esattamente alla metà degli anni Sessanta quando il docente della Cattolica decide di mettersi al lavoro con il suo allievo Pierangelo Schiera per mettere in cantiere l’allestimento e la traduzione dell’antologia Il concetto di «politico» , che vedrà la luce qualche anno dopo presso la casa editrice bolognese Il Mulino. 
Miglio aveva avuto occasione di apprezzare il lavoro dello studioso tedesco, come ricorda lui stesso, quando vide il suo maestro Alessandro Passerin d’Entrèvs leggere avidamente il testo che Schmitt aveva dedicato a Thomas Hobbes. Da allora emerge la certezza di trovarsi di fronte a un collega che si muove sulla sua stessa lunghezza d’onda malgrado li separino trent’anni di anagrafe. La consapevolezza di vivere nell’epoca della crisi dello Stato, come istituzione politica, riverbera nelle pagine di entrambi, anche se Miglio, forse perché più giovane, ambisce fin dall’inizio della sua carriera a pensare quale istituzione potrebbe prima o poi prenderne il posto, dando il via alle ricerche che negli ultimi anni della vita lo avrebbero condotto al neofederalismo. 
E se Schmitt dimostra ancora di non riuscire ad abbandonare l’idea di Stato neppure attraverso la teoria dei Grandi Spazi, Miglio questo obiettivo lo sfiora.

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