IERI per il numero uno di
Fiat-Chrysler si è aggiunto un nuovo problema. Le sigle non discriminate
(Fim-Cisl, Uilm, Ugl, Fismic e Aqcf, sindacato di capi e quadri) hanno
dato mandato a loro volta ai propri legali “di impedire atti
discriminatori nei confronti di tutti i lavoratori”. La tesi è che la
sentenza del 21 giugno scorso è essa stessa “discriminatoria” in quanto
creerebbe “una corsia preferenziale” a favore di 145 lavoratori iscritti
alla Fiom rispetto ai 1400, tesserati e non tesserati, ancora in attesa
di essere “riassunti” dalla Newco Pomigliano.
La tesi è stravagante,
ma utile a capire dove ha portato la linea dura di Marchionne.
Ricapitoliamo i fatti. Marchionne chiude la Fiat di Pomigliano e manda
tutti in cassa integrazione. Poi costituisce la nuova società Fip, e
s’impegna a riassumere tutti i circa 3500 lavoratori rimasti a piedi per
produrre la nuova Panda nello stabilimento rinnovato con 700 milioni di
investimenti. Finora ne ha assunti circa 2 mila, ma nessuno degli
iscritti alla Fiom, che nel 2010, all’inizio della vicenda erano 600.
Questo piccolo dettaglio (assunti Fiom non pochi, non pochissimi, ma
zero) ha convinto il giudice che la discriminazione c’era. Da cui
l’ordine alla Fiat, basato su una direttiva europea molto chiara sul
punto, di assumere 145 iscritti alla Fiom per sanare la ferita. Per i
sindacati che non si erano opposti all’accordo di Pomigliano sulle
condizioni di lavoro nella fabbrica rinnovata, la sentenza è una beffa.
Come a Pomigliano sanno tutti, la Fiat ha escluso gli operai Fiom dalla
riassunzione, tanto che gli iscritti da 600 sono calati in due anni a
circa 140.
NEL FRATTEMPO la nuova Panda va male, vende poco. Ieri a
Napoli, a un convegno Cisl, il capo delle relazioni industriali della
Fiat, Paolo Rebaudengo, ancora in carica dopo essere andato in pensione,
ha fatto capire che per adesso le assunzioni si fermano. L’impegno era
di riprendere tutti se la Panda fosse andata bene. Siccome la Panda non
vende, gli attuali 2.100 addetti, in grado di produrre 140 mila auto
l’anno lavorando su dieci turni, sono più che sufficienti. “Le
prospettive economiche e di mercato – ha detto Rebaudengo – sono
peggiori di quando Fiat lanciò il progetto Panda, e non so se oggi
sarebbe possibile proporlo”. Amen.
Così i 145 iscritti alla Fiom
potrebbero essere gli ultimi assunti a Pomigliano, mentre altri 1400
restano fuori dei cancelli e potrebbero assistere all’ingresso trionfale
in fabbrica dei discriminati, quelli contro i quali anche ieri
Rebaudengo li ha incitati a battersi: “Non potete permettere che chi ha
tentato di impedire la realizzazione di tutto questo oggi distrugga
quello che avete fatto”. Così ha detto.
“Questa è la prova che la
Fiat si è incartata – commenta Airaudo – ha fatto di Pomigliano un
simbolo e adesso è vittima del suo stesso simbolismo. La Fiom non ha mai
contestato investimenti e prodotto, ma le condizioni imposte ai
lavoratori. E non ha mai lasciato soli i lavoratori che si opponevano,
che erano molto più numerosi dei nostri iscritti. Al referendum di
Pomigliano il no ha preso il 36 per cento, e i nostri iscritti erano il
13 per cento”.
I sindacati continuano a litigare tra loro (la Fiom
contro tutti). Airaudo fatica a ingoiare il rospo: “A me fa piacere che
adesso si attivino contro le discriminazioni, anche se è un po’ tardi.
L’hanno firmata loro l’intesa secondo cui chi non è d’accordo con
l’azienda sta fuori. Se siamo stati costretti ad andare dal giudice è
perché a Marchionne è stato concesso troppo”.
MA LO SCONTRO tra i
sindacati stavolta non aiuta Marchionne, che nell’imbarazzo ha imposto
ieri alla Fiat il sesto giorno di silenzio stampa, come un bizzoso
presidente di calcio. Nel frattempo il presidente della Confindustria,
Giorgio Squinzi, lo molla, rifiutandosi di commentare la sentenza di
Roma con tono acido: “Ho sempre gestito le mie aziende senza fare
riduzioni di personale e senza fare cassa integrazione, e non sono un
avvocato”. Ma lo stesso Pietro Ichino, giuslavorista e senatore Pd, da
sempre schierato con Marchionne e contro la Fiom, stavolta sceglie
l’equidistanza e invita a un disarmo bilaterale proprio a partire da
Pomigliano: “La Fiom accetti l’accordo che ha reso possibile la nascita
di questo gioiello tecnologico, la Fiat faccia il possibile perché a
Pomigliano anche gli iscritti alla Fiom si sentano in tutto e per tutto a
casa propria”. Dev’essere una bella soddisfazione, per un operaio Fiom,
sentirsi riconoscere anche da Ichino che la fabbrica è casa sua. Per
Marchionne invece suona come un segnale da non sottovalutare.
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