mercoledì 27 giugno 2012

Topo Gigio Mannaro sì che saprebbe come fare!


Intervista
Veltroni: bene la posizione di Casini ma non è tempo di primarie o alleanze
di Maria Teresa Meli Corriere 27.6.12
Bersani e Casini: insieme per uscire dall’emergenza
di Simone Collini l’Unità 27.6.12 da Segnalazioni

Il segretario Pd domani sarà a Bruxelles per un vertice con gli altri partiti progressisti europei
Il leader Udc «Bisogna passare da un esecutivo tecnico a un governo politico delle forze migliori»

ROMA Da un lato, stringere sul fronte progressista e, dall’altro, intensificare il dialogo con le forze moderate in vista delle prossime elezioni. Si snoderà su questi due fronti la strategia di Berani. Soprattutto ora che il leader dell’Udc Casini ha auspicato un «governo politico» per il dopo Monti e detto chiaro e tondo che serve un «patto col Pd per Salvare l’Italia».
All’incontro a palazzo Chigi con il presidente del Consiglio, Bersani ha ribadito il pieno sostegno del suo partito al governo, comunque vada il Consiglio europeo di domani e venerdì: «Siamo una squadra che cerca di portare a casa dei risultati». Ma il Pd vuole accelerare la definizione di un’ampia alleanza che governi dopo questa «fase di emergenza», perché le mosse di Berlusconi non fanno pensare a nulla di buono (e infatti il Pdl ha fatto capire che in assenza di risultati a Bruxelles tutto sarà possibile) e perché in questo modo si lancerebbe un segnale rassicurante oltreconfine. «Speriamo che in Europa non leggano che vuole fare il ministro dell’Economia», dice con una battuta Bersani a chi lo avvicina al Senato quando gli riferiscono che Berlusconi si è detto pronto a ricoprire questo ruolo in un ipotetico governo Alfano. Ma il leader del Pd non ha molta voglia di scherzare, di fronte a quel che sta avvenendo nell’Unione e alle esternazioni dell’ex premier. «Chi dice che bisogna uscire dall’Euro è un pazzo perché significa andare a comperare il giornale con un chilo di Lire».
L’ITALIA SI FACCIA SENTIRE
Domani si tiene a Bruxelles un Consiglio europeo che potrebbe segnare in un modo o nell’altro il futuro della moneta unica e della stessa Unione, oltre che del nostro Paese. Bersani ha affidato a Monti un mandato pieno a trattare con Angela Merkel e gli altri leader europei, convinto com’è che «o dal vertice escono risultati concreti o ci saranno danni seri per tutti, Germania compresa». L’Italia, dice dopo aver ascoltato le parole del presidente del Consiglio alla Camera, ha «le carte in regola»: «La voce per farci sentire l’abbiamo e abbiamo il diritto di usarla». E se già si è capito che finché rimarrà la Merkel in campo sarà difficile un via libera agli Eurobond, Bersani non esclude che si possano trovare «anche altre soluzioni» per affrontare il delicato tema dei debiti sovrani. A cominciare dal cosiddetto European redemption fund, che si muove nel solco tracciato dal Fiscal compact siglato dai governi europei, che potrebbe avere il via libera anche da parte della Germania e che consentirebbe un abbassamento dei tassi di interesse, prevedendo che ciascun Paese comunitario trasferisca su un fondo europeo il debito eccedente la soglia del 60% del proprio Pil.
VERTICE DEI PROGRESSISTI EUROPEI
Bersani ne ha parlato con Monti ma sta lavorando per «coordinare» le posizioni anche con le altre forze europee di centrosinistra. Domani il leader del Pd volerà a Bruxelles per partecipare a una riunione a cui saranno presenti tutti i leader progressisti europei. Sarà l’occasione per definire una strategia comune con la Spd tedesca, il Partito socialista francese e tutti gli altri perché, come dice Bersani, la fase delicata non si esaurirà nelle prossime 48 ore, che pure saranno «molto difficili».
A Bruxelles arriveranno anche il leader di Sel Nichi Vendola e quello dell’Idv Antonio Di Pietro. Il primo ha partecipato anche alle precedenti riunioni dei progressisti e oggi sarà anche al forum “Another Road for Europe” promosso da movimenti e associazioni. Il secondo sarà nella capitale belga per partecipare a una scuola di formazione promossa dall’Idv. Presenze e assenze che in qualche modo delineano la futura coalizione di centrosinistra, anche se Vendola intende battersi fino alla fine per far entrare anche Di Pietro. I due hanno concordato di fare insieme venerdì alla Camera una conferenza stampa per chiedere un confronto programmatico interno al centrosinistra. Non servirà però a far cambiare idea ai vertici del Pd, che senza una correzione di rotta da parte dell’Idv non intendono allearsi con l’ex pm.
CASINI E IL PATTO COL PD
Bersani ha pianificato un percorso che prevede la definizione di una «carta d’intenti» da far sottoscrivere a chi vuole partecipare alle primarie. E le recenti aperture di Casini a un «asse» col Pd non cambiano il programma: in autunno ci sarà comunque l’appuntamento ai gazebo e poi starà ai centristi confrontarsi con chi ne uscirà vincitore.
Il leader dell’Udc teme un voto anticipato («sento un’irresponsabilità crescente») e ieri, oltre a dire chiaro e tondo che è auspicabile dopo Monti un «governo politico che unisca le forze migliori» e che «i moderati e i riformisti devono fare un patto per salvare l’Italia» che è ancora in piena emergenza, ha fatto anche capire, pur precisando di «rispettare Renzi» (il quale dice che sarà chi vince le primarie a costruire un progetto per il Paese e definire le alleanze) di auspicare una vittoria ai gazebo di Bersani: «È solido, non cambia idea dal mattino alla sera come fanno molti politici oggi».

Confusione e dissimulazione
Gran balletto nel Pdl alla vigilia dell’eurovertice. Berlusconi irride l’Udc, i berlusconiani la rimpiangono

Marchionne accerchiato sulla sentenza Pomigliano
Airaudo: “Ci chiami subito”. Ma le altre sigle minacciano: assumere iscritti Fiom discrimina i nostri
di Giorgio Meletti  il Fatto 27.6.12 da Segnalazioni

Abbiamo chiesto ai nostri avvocati di intervenire sulla Fiat perché si decida a eseguire la sentenza del Tribunale di Roma”. Giorgio Airaudo, uomo dell’auto di Fiom-Cgil, appare molto deciso. Il giudice Anna Baroncini ha stabilito che a Pomigliano devono essere assunti 145 operai iscritti alla Fiom per sanare la discriminazione, evidente nel fatto che su quasi 2 mila assunti non c’è un solo tesserato del sindacato guidato da Maurizio Landini. La sentenza sta diventando per Sergio Marchionne una grana maledettamente complicata.
IERI per il numero uno di Fiat-Chrysler si è aggiunto un nuovo problema. Le sigle non discriminate (Fim-Cisl, Uilm, Ugl, Fismic e Aqcf, sindacato di capi e quadri) hanno dato mandato a loro volta ai propri legali “di impedire atti discriminatori nei confronti di tutti i lavoratori”. La tesi è che la sentenza del 21 giugno scorso è essa stessa “discriminatoria” in quanto creerebbe “una corsia preferenziale” a favore di 145 lavoratori iscritti alla Fiom rispetto ai 1400, tesserati e non tesserati, ancora in attesa di essere “riassunti” dalla Newco Pomigliano.
La tesi è stravagante, ma utile a capire dove ha portato la linea dura di Marchionne. Ricapitoliamo i fatti. Marchionne chiude la Fiat di Pomigliano e manda tutti in cassa integrazione. Poi costituisce la nuova società Fip, e s’impegna a riassumere tutti i circa 3500 lavoratori rimasti a piedi per produrre la nuova Panda nello stabilimento rinnovato con 700 milioni di investimenti. Finora ne ha assunti circa 2 mila, ma nessuno degli iscritti alla Fiom, che nel 2010, all’inizio della vicenda erano 600. Questo piccolo dettaglio (assunti Fiom non pochi, non pochissimi, ma zero) ha convinto il giudice che la discriminazione c’era. Da cui l’ordine alla Fiat, basato su una direttiva europea molto chiara sul punto, di assumere 145 iscritti alla Fiom per sanare la ferita. Per i sindacati che non si erano opposti all’accordo di Pomigliano sulle condizioni di lavoro nella fabbrica rinnovata, la sentenza è una beffa. Come a Pomigliano sanno tutti, la Fiat ha escluso gli operai Fiom dalla riassunzione, tanto che gli iscritti da 600 sono calati in due anni a circa 140.
NEL FRATTEMPO la nuova Panda va male, vende poco. Ieri a Napoli, a un convegno Cisl, il capo delle relazioni industriali della Fiat, Paolo Rebaudengo, ancora in carica dopo essere andato in pensione, ha fatto capire che per adesso le assunzioni si fermano. L’impegno era di riprendere tutti se la Panda fosse andata bene. Siccome la Panda non vende, gli attuali 2.100 addetti, in grado di produrre 140 mila auto l’anno lavorando su dieci turni, sono più che sufficienti. “Le prospettive economiche e di mercato – ha detto Rebaudengo – sono peggiori di quando Fiat lanciò il progetto Panda, e non so se oggi sarebbe possibile proporlo”. Amen.
Così i 145 iscritti alla Fiom potrebbero essere gli ultimi assunti a Pomigliano, mentre altri 1400 restano fuori dei cancelli e potrebbero assistere all’ingresso trionfale in fabbrica dei discriminati, quelli contro i quali anche ieri Rebaudengo li ha incitati a battersi: “Non potete permettere che chi ha tentato di impedire la realizzazione di tutto questo oggi distrugga quello che avete fatto”. Così ha detto.
“Questa è la prova che la Fiat si è incartata – commenta Airaudo – ha fatto di Pomigliano un simbolo e adesso è vittima del suo stesso simbolismo. La Fiom non ha mai contestato investimenti e prodotto, ma le condizioni imposte ai lavoratori. E non ha mai lasciato soli i lavoratori che si opponevano, che erano molto più numerosi dei nostri iscritti. Al referendum di Pomigliano il no ha preso il 36 per cento, e i nostri iscritti erano il 13 per cento”.
I sindacati continuano a litigare tra loro (la Fiom contro tutti). Airaudo fatica a ingoiare il rospo: “A me fa piacere che adesso si attivino contro le discriminazioni, anche se è un po’ tardi. L’hanno firmata loro l’intesa secondo cui chi non è d’accordo con l’azienda sta fuori. Se siamo stati costretti ad andare dal giudice è perché a Marchionne è stato concesso troppo”.
MA LO SCONTRO tra i sindacati stavolta non aiuta Marchionne, che nell’imbarazzo ha imposto ieri alla Fiat il sesto giorno di silenzio stampa, come un bizzoso presidente di calcio. Nel frattempo il presidente della Confindustria, Giorgio Squinzi, lo molla, rifiutandosi di commentare la sentenza di Roma con tono acido: “Ho sempre gestito le mie aziende senza fare riduzioni di personale e senza fare cassa integrazione, e non sono un avvocato”. Ma lo stesso Pietro Ichino, giuslavorista e senatore Pd, da sempre schierato con Marchionne e contro la Fiom, stavolta sceglie l’equidistanza e invita a un disarmo bilaterale proprio a partire da Pomigliano: “La Fiom accetti l’accordo che ha reso possibile la nascita di questo gioiello tecnologico, la Fiat faccia il possibile perché a Pomigliano anche gli iscritti alla Fiom si sentano in tutto e per tutto a casa propria”. Dev’essere una bella soddisfazione, per un operaio Fiom, sentirsi riconoscere anche da Ichino che la fabbrica è casa sua. Per Marchionne invece suona come un segnale da non sottovalutare.

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