Il desiderio onnipotente di Deleuze e Guattari
lunedì 19 novembre 2012
Quarant'anni dall'Anti-Edipo: Massimo Recalcati su Deleuze e Guattari
Il desiderio onnipotente di Deleuze e Guattari
Quarant’anni fa il testo dei due studiosi che ha fatto storia Ma quelle tesi così decisive hanno avuto anche effetti negativi
di Massimo Recalcati
Repubblica 17.11.12
Quest’anno ricorre il quarantennale dell’uscita di un libro che fece
epoca: l’Anti- Edipo di Deleuze e Guattari che uscì a Parigi nel 1972.
Si tratta della più potente critica alla pratica e alla teoria della
psicoanalisi mossa da “sinistra”. Oggi, come sappiamo, imperversa la
critica conservatrice: contro la psicoanalisi vengono invocati la
psicologia scientifica, il potere chimico dello psicofarmaco, l’autorità
esclusiva della psichiatria nel trattamento del disagio mentale. Invece
gli autori dell’Anti- Edipo (un filosofo già molto noto e un brillante
psichiatra analizzante di Lacan con il quale ruppe bruscamente) non
rimproverano affatto alla psicoanalisi di non essere sufficientemente
scientifica nella sue affermazioni teoriche e nella sua pratica clinica,
ma qualcosa di assai più radicale. Le rimproverano di essere al
servizio del potere e dell’ordine stabilito. La loro accusa è che la
psicoanalisi dopo aver scoperto il “desiderio inconscio” ha volutamente
ridotto la portata rivoluzionaria di questa scoperta mettendosi al
servizio del padrone. Su cosa si reggerebbe il culto psicoanalitico
dell’Edipo se non sull’obbedienza cieca alla Legge repressiva e
mortificante del padre? Nonostante la violenza spietata degli Anti-Edipo
gli psicoanalisti dovrebbero leggere e rileggere ancora oggi la loro
opera come un grande vento di primavera. Sotto la retorica
rivoluzionaria della liberazione del corpo schizo, fuori-Legge, del
“corpo senza organi” come macchina desiderante, come fabbrica produttiva
del godimento pulsionale, questo libro contiene una serie di rilievi
alla psicoanalisi che non si possono accantonare: la critica relativa
all’uso paranoico e violento dell’interpretazione (se un paziente dice X
vuole dire Y), una rappresentazione dell’inconscio come teatrino
familaristico, chiuso su se stesso, che perderebbe di vista il suo
carattere sociale e i suoi infiniti concatenamenti collettivi, una
apologia conformista e moralista del principio di realtà e
dell’adattamento come fine ultimo della pratica analitica, l’uso tutto
politico del denaro che seleziona i pazienti in base al loro reddito,
una valorizzazione del-l’Io e del suo principio di prestazione,
eccetera.
Eppure questo libro va molto al di là di questo, perché ha mobilitato
alla rivolta una intera generazione, quella del ’77. Quest’opera è una
critica politica alla psicoanalisi che non promuove tanto una
improbabile teoria alternativa a quella psicoanalitica (la
schizoanalisi) ma una vera e propria teoria della rivoluzione dove
“tutto è possibile”. A questa teoria si sono abbeverati con entusiasmo i
giovani della mia generazione. Foucault aveva dichiarato che il nostro
secolo forse sarebbe stato deleuziano. Aveva ragione ma in un senso
probabilmente molto diverso da quello che auspicava. Il deleuzismo è
sfuggito dalle mani di Deleuze (come spesso accade per tutti gli
“ismi”). L’Anti- Edipoha dato involontariamente la stura ad un elogio
incondizionato del carattere rivoluzionario del desiderio contro la
Legge che ha finito paradossalmente per colludere con l’orgia
dissipativa che ha caratterizzato i flussi – non delle macchine
desideranti come si auspicavano Deleuze e Guattari – ma di denaro e di
godimento che hanno alimentato la macchina impazzita del discorso del
capitalista. Lacan aveva provato a segnalare ai due questo pericolo. In
una intervista rilasciata a Rinascita nel maggio del 1977 a chi gli
chiedeva un parere sull’Anti- Edipo rispose che «L’Edipo costituisce di
per se stesso un tale problema per me che non penso che ciò che Deluze e
Guattari hanno voluto intitolare l’Anti- Edipo possa avere il minimo
interesse». Lacan avverte che non bisogna premere il grilletto troppo
rapidamente sul padre. La contrapposizione rivoluzionaria tra le
macchine desideranti e la Legge, tra la spinta impersonale e
de-territorializzante della potenza del desiderio e la tendenza
conservatrice alla territorializzazione rigida del potere e delle sue
istituzioni (Chiesa, Esercito, famiglia, psicoanalisi...) rischiava di
dissolvere il senso etico della responsabilità soggettiva. Per Deleuze e
Guattari la parola soggetto è infatti una parola da mettere al bando,
così come Legge, castrazione, mancanza. L’Anti-Edipo compie un elogio a
senso unico della forza della pulsione che lo fa scivolare fatalmente in
una prospettiva di naturalizzazione vitalistica dell’umano. La
liberazione dei flussi del desiderio reagisce giustamente al culto
rassegnato del principio di realtà al quale sembra votarsi la
psicoanalisi, senza accorgersi di generare un nuovo mostro: il mito
della schizofrenia come nome della vita che rigetta ogni forma di
limite. Il mito del corpo schizo come corpo anarchico, a pezzi, pieno,
senza organi, costruito come una macchina pulsionale che gode ovunque,
antagonista alla gerarchia dell’Edipo, si è tradotto nei flussi della
macchina cinica e perversa del discorso capitalista.
Eppure l’Anti-Edipo a rileggerlo oggi è anche molto più di questo. Non è
solo la celebrazione di un desiderio che non riesce a fare i conti con
la Legge della castrazione. C’è una linea più sottile che attraversa
questo libro e che la nostra generazione non è riuscita probabilmente a
cogliere sino in fondo. È un grande tema dell’Anti-Edipo anche se non il
tema centrale. Deleuze e Guattari lo ripropongono attraverso le parole
dello psicoanalista Reich: «perché le masse hanno desiderato il
fascismo? ». Problema che ritroviamo intatto già in Spinoza: perchè gli
uomini combattono per la loro servitù come se si trattasse della loro
libertà? In Millepiani Deleuze e Guattari, quasi dieci anni dopo l’Anti-
Edipo, devono ritornare sull’opposizione tra desiderio e Legge con una
precisazione che avrebbe dovuto essere presa più sul serio. Attenzioni
ai micro-fascismi, ai micro-edipi che s’insediano proprio là dove
pensavamo ci fosse il flusso liberatorio del desiderio. «La madre –
scrivono i due – può credersi autorizzata a masturbare il figlio, il
padre può diventare mamma». Un’autocritica che suona anticipatrice dei
nostri tempi. Come Nietzsche avvertiva gli uomini che vivevano
nell’annuncio liberatorio della morte di Dio del rischio di generare
nuovi idoli (lo scientismo, il fanatismo ideologico, l’ateismo stesso,
ogni specie di fondamentalismo), allo stesso modo Deleuze e Guattari
avvertono che esiste un pericolo insidioso inscritto nella stessa teoria
del desiderio come flusso infinito, come “linea di fuga” che oltrepassa
costantemente il limite. Attenzione, sembrano dirci, che questa linea
«non si converta in distruzione, abolizione pura e semplice, passione
d’abolizione». Attenzione che questa “linea di fuga” che rigetta il
limite non diventi una “linea di Morte”.
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