martedì 22 gennaio 2013
Ancora su Lucio Magri e il comunismo italiano
Pur riconoscendo l'intelligenza e l'onestà di Lucio Magri, per misurare la sua statura politica bisogna sempre ricordare la scissione dei "Comunisti Unitari" dal PRC nel 1995 e il sostegno al governo Dini... [SGA].
Oggi a Roma viene presentato il libro con i suoi scritti e quelli di Castellina, Garzia, Anderson e Crucianelli
di Bruno Gravagnuolo l’Unità 22.1.13
GIRAVA
UNA LEGGENDA MALEVOLA SU LUCIO MAGRI A FINE ANNI SESSANTA Leggenda un
po’ bugiarda e riduttiva, accredidata dall’alto del Pci. L’idea che quel
quadro intellettuale, ex Dc di sinistra e cacciato da Fanfani a metà
anni 50 fu segretario nazionale dei giovani dc fosse solo un
rompiscatole «acchiappa farfalle». Che fa Magri? Chiedemmo una volta ad
un autorevole dirigente. Risposta: «Sta studiando il Capitale....». Come
a dire: è una vita che lo fa e senza grandi risultati. Ma era il 1969, a
qualche mese dalla radiazione del gruppo del Manifesto, che si
preparava a diventare rivista teorica per il comunismo e poi matrice di
un quotidiano che ha segnato giornalismo e politica italiane. Bene, nel
vivo dello scontro si può comprendere l’asprezza, ma le cose non stavano
affatto come la diceria insinuava. Perché Lucio Magri era un vero
intellettuale e autentico quadro militante. Rompiscatole, ma serissimo e
consequenziale, malgrado i tratti di narcisismo che gli venivano
rimproverati (amori, sport, l’eleganza e prestanza ben coltivate). Quei
tratti, atipici nel mondo del comunismo italiano, erano in realtà un
segno di coerenza e di vitalità. Il segno della capacità di reinvestire
continuamente le energie e di pensare e far pensare in gruppo, con
relazioni forti e in amicizia. E senza risentimenti, nel corso delle
inevitabili rotture. Dall’avventura del Manifesto a quella del Pdup, al
rientro nel Pci del 1984 e all’addio, quando tentò di contrastare la
svolta di Occhetto nel 1989, finendo di nuovo battuto e poi in
Rifondazione (e battuto anche lì nel 1995).
La lunga premessa è in
realtà una conclusione. Quella alla quale siamo giunti dopo aver letto
il volume a Magri dedicato, a più di un anno dal suo suicidio in
Svizzera (28 novembre 2001). Il libro si intitola Alla ricerca di un
altro comunismo. Saggi sulla sinistra italiana (Il Saggiatore, pp. 274,
Euro 18,50). È a cura di Luciana Castellina, Famiano Crucianelli e Aldo
Garzia e verrà presentato oggi a Roma alle 17, 30 alla Sala delle
Colonne di Via Poli 18. Con gli autori vi saranno Miguel Gotor, Maurizio
Landini, Mario Tronti e Walter Tocci. Ed è l’occasione per rivivere e
rimeditare non solo ruolo e funzione di Lucio Magri nella storia del Pci
e del post-Pci, ma tutta la parabola dell’ascesa e declino di quel Pci
togliattiano, dall’apogeo alla scomparsa. E nel volume Magri si rivela
testimone straordinario, attraverso i suoi saggi teorici a far data dal
1962, e
attraverso una ricca intervista biografica condota da
Crucianelli e Garzia. Altro elemento essenziale del volume è il saggio
introduttivo di Luciana Castellina, sentimentalmente vicina a Magri in
una lunga fase, eppure saggio rigoroso e senza sconti, che fa chiarezza
sulle idee e le battaglie di Magri. Dunque, di là del lato esistenziale
del protagonista figlio di un aviatore scomparso in guerra e
trasferitosi in Libia qual è la sua cifra politica di fondo. Eccola:
l’ossessione di far da «ponte» tra partito nuovo togliattiano e
movimenti di massa. E poi: l’idea di una transizione ad un’economia e a
un sistema «altri» dal capitalismo, partendo dalla dinamica dei bisogni
liberati dal neocapitalismo italico degli anni 60. In breve, un’idea di
transizione e un’idea di partito-movimento-società. E nella direzione di
un radicalismo egemonico gramsciano, a metà tra il Gramsci dei Consigli
e quello dei Quaderni del Carcere.
Non erano innocue fantasie
teoriche, perché su tutto questo Lucio Magri si gioca letteralmente la
vita, dopo essersene giocata un pezzo nella battaglia dossettiana,
anti-capitalista e anti-Nato dentro la Dc, da cui fuoriesce e viene
allontanato (come Meloni-Fortebraccio, Giuseppe Chiarante e lo stesso
Dossetti). E nel Pci lo scontro si fa via via più chiaro, proprio dai
primi anni 60 in poi, fino al fatale XI Congresso (dove la sinistra
interna viene emarginata) e al XII, dal quale poi verrà fuori la
scissione del Manifesto. Tema dello scontro, lo si è accennato, è sempre
la «transizione». Da una parte la sinistra ingraiana di cui Magri è
«spin doctor» sottotraccia vede nella dinamica del nuovo capitalismo
fenomeni dirompenti e fecondi, in grado di sospingere la società oltre i
rapporti di produzione vigenti. E i fenomeni Magri li distingue bene
fin dal 1962, con un saggio destinato a finire sulla rivista di Sartre,
Les temps modernes. Tra di essi: mercificazione totale, finanza globale,
massificazione, nuova classe operaia. E tecnica a servizio
dell’estrazione di maggior valore dalla forza-lavoro. Dunque,
l’avanzamento del capitalismo comandava per Magri lotte nuove e
transizione. Sull’altra sponda invece c’è Amendola. No dice il
capitalismo italiano è arretrato e va guidato allo sviluppo,
«programmato». Con la politica. Su questo si consuma tutto lo scontro,
con il 1968 che sembra dar ragione al radicalismo di Magri, il quale si
batterà sempre per un’idea di alternativa anti-riformista e
anti-estremista. Sarà contro il compromesso storico, ma a favore del
fronte della fermezza sul caso Moro. E infine tenterà di far pesare il
«no» nella lotta contro Occhetto. Finì diversamente, con una «svolta»
inevitabile dopo la caduta del Muro, ma priva di baricentro identitario.
E finirà con quelli del no dispersi o all’estrema sinistra. E tra i
meriti di questo bel libro c’è anche questo: la critica al fronte del
«no». Che rinunciò a ogni battaglia, risultando ininfluente.
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