martedì 29 gennaio 2013
Un convegno in ricordo di Franco Della Peruta
«Fare storia, praticare la storia»
Convegno in ricordo di Franco Della
Peruta,
Milano
29-31 gennaio:
Sala Napoleonica dell'Università Statale (via S. Antonio 12)
Tra i
partecipanti: Roberto Balzani, Alberto Mario Banti, Arturo Colombo,
Giorgio Cosmacini, Renata De Lorenzo, Ada Gigli Marchetti, Paolo Macry,
Giuseppe Monsagrati.
di Giuseppe Galasso Corriere 28.1.13
Nell'Italia
che rinasceva dalle rovine del fascismo e della guerra, cultura e
politica formarono un binomio che neppure lontanamente si pensava di
poter deprecare, in nome, ad esempio, di una adulterante contaminazione
fra la purezza della république des lettres e la interessata materialità
della politica. E tanto più notevole è questo dato di fatto — del
resto, notorio — in quanto si partiva dalla piena condanna della
oppressiva strumentalizzazione di cui la vita culturale era stata
vittima nel ventennio fascista. La compenetrazione fra cultura e
politica non appariva, quindi, per nulla destinata inevitabilmente a un
nesso distruttivo.
A portare a una tale visione delle cose era,
evidentemente, l'implicita presunzione che fosse la qualità di quel
rapporto a determinarne la positività o negatività; e che tale qualità
dipendesse essenzialmente dai valori in gioco nel dibattito
politico-culturale. E ciò spiega perché, poi, nello stesso campo
antifascista, più che concorde nella riprovazione del binomio
politica-cultura nel fascismo, la contrapposizione risorgesse poi
violenta, frontale e poco meno che totale a seconda dei valori che
ciascuna delle parti dell'antifascismo assumeva come propri.
Le
generazioni degli italiani che maturarono in questa congiuntura storica
ne trassero motivo a una profonda convinzione del significato etico e
politico della cultura e dell'impegno culturale. Non fu per essi mai più
possibile pensare, in seguito, a una distinzione di campo, che mettesse
l'homo doctus da una parte e l'homo politicus dall'altra. Una lezione
sull'unità della persona nell'omogeneità della sua vita morale, che in
seguito è andata largamente perduta sotto la spinta di altre circostanze
e di altre esigenze. Ma nell'animo e nella mente dei giovani italiani
degli anni Quaranta e Cinquanta cultura e politica si atteggiarono come
si è detto e ne condizionarono la formazione e la successiva attività.
Per
Franco Della Peruta ciò fu vero come per tutti i suoi coetanei. Ma, se
dovessi esprimere una mia impressione personale di antica data, non
esiterei molto ad affermare che, per quanto lo riguarda più a fondo, una
componente autodidattica, autoformativa sia stata in lui più forte di
quanto non si possa pensare in base ad altri elementi. Non è un caso che
della grande covata gramsciana del dopoguerra, alla quale certamente
anch'egli appartenne con tutte le relative implicazioni ideologiche e
politiche, sia stato proprio lui uno dei pochi, davvero pochi, meno
toccati e condizionati nel profondo, e alla lunga, dalla spinta
ideologica fortissima di quella stessa covata.
La scelta di quelli
che sarebbero poi sempre rimasti i temi dominanti e caratterizzanti
della sua attività di storico rientrò indubbiamente in quel compito di
revisione e di ripensamento della storia italiana del Risorgimento e
dell'unità che la generazione e la storiografia gramsciana assunsero
come proprio primario compito civile e scientifico. Ma egli visse e
attuò questo compito con un senso profondo e originale delle specificità
della tradizione democratico-repubblicana del Risorgimento che gli ha
consentito di apportare grandi contributi all'individuazione e alla
conoscenza di elementi fondamentali per l'identità e la realtà della
nuova Italia risorgimentale e unitaria e, insieme, per la fisionomia e
il ruolo del pensiero democratico italiano, a cominciare da Mazzini, nel
quadro del pensiero politico e sociale dell'Europa di quel tempo, e ciò
anche rispetto a Marx e al marxismo.
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