Da qualche tempo ha corso negli studi gramsciani quella che potremmo definire una «storia congetturale»: una ricostruzione dei fatti basata su deduzioni non verificabili. A ciò si è accompagnata e sovrapposta una lettura dei testi fondata sulla convinzione che in essi non si dica ciò che letteralmente si legge, ma vi siano messaggi nascosti. Il che a volte è vero: si tratta però di vedere quanto esteso possa essere il ricorso a questo tipo di lettura «esopica», come si dice ripetendo una espressione della cognata di Gramsci, Tania. Si tratta di due metodologie - storia congetturale e lettura esopica - che hanno prodotto anche esiti interessanti, ma a cui bisogna accostarsi con cautela, proprio perché i loro risultati non poggiano su basi certe. Alla ricerca di un «Gramsci sconosciuto» è tra gli altri Franco Lo Piparo, che torna in libreria con un lavoro di taglio investigativo: L'enigma del quaderno.
sabato 16 febbraio 2013
Un Quaderno che non c'è mai stato
SAGGI · «L'enigma del quaderno. La caccia ai manoscritti dopo la morte di Gramsci» di Franco Lo Pipero
Un saggio tinto di giallo. Protagonisti sono Sraffa e Togliatti, colpevoli di aver fatto sparire un quaderno del carcere
Guido Liguori il manifesto 2013.02.16 - 11
Da qualche tempo ha corso negli studi gramsciani quella che potremmo definire una «storia congetturale»: una ricostruzione dei fatti basata su deduzioni non verificabili. A ciò si è accompagnata e sovrapposta una lettura dei testi fondata sulla convinzione che in essi non si dica ciò che letteralmente si legge, ma vi siano messaggi nascosti. Il che a volte è vero: si tratta però di vedere quanto esteso possa essere il ricorso a questo tipo di lettura «esopica», come si dice ripetendo una espressione della cognata di Gramsci, Tania. Si tratta di due metodologie - storia congetturale e lettura esopica - che hanno prodotto anche esiti interessanti, ma a cui bisogna accostarsi con cautela, proprio perché i loro risultati non poggiano su basi certe. Alla ricerca di un «Gramsci sconosciuto» è tra gli altri Franco Lo Piparo, che torna in libreria con un lavoro di taglio investigativo: L'enigma del quaderno.
La caccia ai manoscritti dopo la morte di
Gramsci (Donzelli, pp. 161, euro 18). Se si parla di taglio
investigativo non è per sminuire il libro, ma perché fin dal titolo è
l'opera stessa che si propone come un «giallo» (viene anche citato E.
A. Poe) ed è l'autore a creare un'atmosfera da spy story , dipingendo
alcuni dei «personaggi» (così li definisce, come in una fiction ) della
vicenda gramsciana come protagonisti di un romanzo di Le Carré. Un
problema di etichetta Il caso più eclatante è quello di Sraffa,
ritratto da Lo Piparo come «agente segreto, di alto rango, del
Comintern. È una affermazione impegnativa. Essa viene forse fatta perché
negli Archivi di Mosca è stato trovato un documento che rende palese
questo lato nascosto del grande economista?
Niente di tutto ciò. È
solo una «congettura», che scaturisce soprattutto dal fatto che essa
bene si colloca nel mosaico interpretativo di Lo Piparo. È possibile, e
forse probabile, che Sraffa fosse un «militante coperto» del Pcd'I,
già incaricato di gestire i finanziamenti provenienti da Mosca. Ed
erano tempi, indubbiamente, in cui un comunista di qualsiasi
nazionalità si sentiva anche un militante del Comintern, di quel
partito comunista mondiale non ancora del tutto russocentrico. Ma da
qui a farne una «agente segreto» ce ne corre. Può anche essere, ma ci
vogliono i documenti per affermarlo. La tesi del libro è la seguente:
oltre ai trentatré quaderni noti ve ne sarebbe stato un altro fatto
sparire per il suo contenuto imbarazzante. Sarebbe stato scritto nella
clinica Quisisana di Roma, dove Gramsci è dal 1935 al 1937, anno della
morte.
Da dove nasce questa tesi? In primo luogo dal fatto che sui
quaderni le etichette poste da Tania per numerarli mostrano
incongruenze e in qualche caso sono coperte da altre etichette con
diversa numerazione. In secondo luogo, perché i «personaggi» della
vicenda parlano o scrivono a volte di trenta, a volte di trentadue, a
volte di trentaquattro quaderni. Lo Piparo respinge le ipotesi che
Tania abbia pasticciato nel numerare i manoscritti e che i protagonisti
della vicenda fossero stati approssimativi nell'indicare il numero dei
quaderni perché in altre e più importanti faccende affaccendati, oltre
che per il fatto che i quaderni sono a numerazione variabile, a
seconda che si sommino in tutto o in parte i ventinove teorici, i
quattro di sole traduzione, i due bianchi e quello usato da Tania per
un indice provvisorio. Lo Piparo cerca di seguire la storia dei
manoscritti dopo la morte di Gramsci, formula ipotesi (interessanti)
sui loro percorsi e sui loro tempi di arrivo a Mosca, a tutt'oggi non
chiari. Egli ritiene che Sraffa, sapendo che un quaderno aveva
contenuti pericolosi (accuse a Togliatti? critiche allo stalinismo? una
riabilitazione del fascismo?), lo avrebbero fatto sparire. Non essendo
in grado di portare prove, l'autore ripete più volte frasi del tipo:
«è poco verosimile», «non dovrebbe essere troppo azzardato
congetturare», «le cose potrebbero essere andate in questo modo».
Un
castello di congetture, dunque. Molti sono gli episodi che Lo Piparo
interpreta in un modo forzato perché convalidino la sua tesi. Un
esempio: se il 7 luglio 1937 Tania scrive a Sraffa di aver «consegnato i
quaderni (tutti quanti): ed anche il catalogo che avevo iniziato», il
nostro autore legge la frase così: «Significa: ho eseguito l'ordine,
non ho trattenuto nessun quaderno e, naturalmente, non ho potuto
consegnare quelli che avete portato con voi». È una interpretazione
molto esopica, troppo esopica, a mio avviso: un puro volo di fantasia.
Giudichi il lettore se vi è qualche nesso tra la frase scritta da Tania
e la lettura che ne dà Lo Piparo. A me sembra solo che Tania, dopo una
discussione su quanti quaderni consegnare «ai compagni», tranquillizzi
Sraffa di aver seguito le sue indicazioni e di non averne trattenuto
alcuno. Nell'impossibilità di accennare a tutti i passi di questo tipo,
di cui il libro è pieno, dirò i motivi principali per cui l'ipotesi di
Lo Piparo mi sembra da respingere.
Primo , in tutta la sua
prigionia Gramsci si è dimostrato attentissimo a non scrivere niente
che potesse divenire un'arma nelle mani del fascismo - è qui l'origine
di alcune «scritture esopiche». Perché nella Quisisana sarebbe venuto
meno a questa norma, scrivendo un quaderno «esplosivo»? La polizia
poteva in ogni momento confiscare i suoi appunti. Il «linguaggio
esopico» su cui insiste Lo Piparo serve soprattutto a Gramsci per non
farsi portar via i quaderni, come esplicitamente Tania scrive alla
sorella Giulia, il 5 maggio 1937: «è riuscito a tenerli con sé (I
QUADERNI) scrivendo in linguaggio esopico». Tania si riferisce al
pericolo derivante da un sequestro della polizia fascista. Dilatare il
senso dell'«esopico» e affermare che tutti i quaderni sono una scrittura
esoterica a me sembra fuorviante. Secondo , perché, nella sua opera di
continua e faticosa riscrittura , G r a m s c i n o n avrebbe lasciato
altri segnali di una svolta politica tanto clamorosa? Il quaderno
scomparso sarebbe un corpo estraneo nel contesto delle duemila pagine (a
stampa) degli appunti carcerari. Una cautela postuma Terzo, il
quaderno mancante potrebbe accusare Togliatti. Si dimentica che era
Gramsci a essere sospettato di trockijsmo, era stata la sua memoria a
dover essere protetta e «salvata» dalla scomunica postuma.
La
lettera a Dimitrov che Togliatti scrive il 31 aprile 1941, affermando
che i quaderni andavano curati per non essere usati contro i comunisti,
indica la coscienza del fatto che il marxismo di Gramsci era molto
diverso dallo stalinismo e che quindi la loro pubblicazione era un
problema. Che sarà risolto con l'edizione tematica, che cercava di
rendere meno dirompente la incompatibilità tra filosofia della praxis e
Diamat . Eppure Togliatti avrebbe potuto rinunciare a pubblicare del
tutto Gramsci, e far sparire non solo il presunto trentaquattresimo
quaderno, ma anche «gli altri» trentatré, seppellendoli negli archivi
del Comintern. Quarto , se Togliatti sa già dal luglio 1937 che deve
far sparire un quaderno, perché non lo distrugge a Parigi (dove,
secondo Lo Piparo, Sraffa glielo porta dopo averlo sottratto a Tania)?
Perché, tornata in Urss, Tania - che scrive anche direttamente a Stalin
sulla gestione dei quaderni - non denuncia la scomparsa del quaderno
scomodo? Perché Togliatti non distrugge il quaderno pericoloso almeno
nel 1941, dopo la morte di Tania, quando legge e rilegge i manoscritti
di Gramsci? Perché lo riporta in Italia (è l'ipotesi di Lo Piparo),
decide di farlo sparire o lo fa sparire, ma continua a parlare
pubblicamente di trentaquattro quaderni?
La spiegazione di Lo
Piparo per cui ancora nel 1948 Togliatti e Platone sbagliano il numero
dei quaderni indicandone trentadue nella introduzione al primo volume
dell'edizione tematica presso Einaudi («si preferisce puntare sulla
disattenzione dei lettori e degli studiosi e continuare a usare il
numero canonico trentadue ») è francamente incredibile. Non è più ovvio
pensare che sia stato un errore causato dalla ripresa letterale della
relazione fatta da Platone nel'46 per Rinascita ? Senza nuovi
ritrovamenti le congetture di Lo Piparo non paiono sufficienti a
ipotizzare un quaderno che non abbiamo e la spinta a «immaginarlo»
sembra motivata soprattutto dal rinnovato tentativo di dimostrare che
Gramsci era (diventato) liberale. Ma l'autore sardo è tanto grande da
trascendere la sua stessa parte politica e nutrire anche culture
diverse: lo ha scritto Togliatti già nel 1964, non vi è bisogno di
inventarsi un Gramsci che non esiste per sentirsene almeno in parte
eredi.
*************
Il «Gramsci conteso» alla Fondazione
Le diverse ricezioni dell'opera di Antonio Gramsci hanno dato vita a
importanti filoni di riflessioni e analisi sull'autore dei «Quaderni
del carcere». La Fondazione Istituto Gramsci ha organizzato a Roma per
lunedì 18 febbraio un incontro-presentazione della nuova edizione del
volume di Guido Liguori «Gramsci conteso. Interpretazioni, dibattiti
polemiche. 1922-2012» (Editori Riuniti University Press) che dà conto
proprio alle diverse ricezioni dell'opera gramsciana. Oltre all'autore,
parteciperanno al meeting (che si terrà nella sede della Fondazione
Istituto Gramsci, Via Sebino 43/a, ore 17) Francesco Giasi,
Gianpasquale Santomassimo, Albertina Vittoria, Giuseppe Vacca.
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