Leibniz ha scritto che l’asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide. Analogamente, il dittatore che per mettere a tacere il dissenso interno dichiara guerra al paese vicino non ha verosimilmente letto il libro curato da Telmo Pievani e tradotto da Cortina, La conquista sociale della terra dell’entomologo di Harvard Edward O. Wilson, ma applica con istinto sicuro (è il caso di dirlo) la teoria della selezione naturale multipla che questi ha proposto nel 2010 con Martin Nowak e Corina Tarnita.
martedì 12 marzo 2013
Ferraris legge il libro di Wilson su evoluzione e società
Il nuovo saggio di Wilson sull’eusocialità
Siamo uomini o formiche?
di Maurizio Ferraris Repubblica 11.3.13
Leibniz ha scritto che l’asino va dritto al fieno senza aver letto una riga di Euclide. Analogamente, il dittatore che per mettere a tacere il dissenso interno dichiara guerra al paese vicino non ha verosimilmente letto il libro curato da Telmo Pievani e tradotto da Cortina, La conquista sociale della terra dell’entomologo di Harvard Edward O. Wilson, ma applica con istinto sicuro (è il caso di dirlo) la teoria della selezione naturale multipla che questi ha proposto nel 2010 con Martin Nowak e Corina Tarnita.
Contrariamente alla teoria del “gene egoista”
resa celebre da Richard Dawkins, e d’accordo piuttosto con il proverbio
“parenti serpenti”, la socialità umana non evolve in gruppi che
condividono i geni e si aiutano a vicenda, ma si articola su un duplice
livello. Uno, più alto, è la competizione tra gruppi, e uno, più basso, è
la competizione (e non la cooperazione, come vuole Dawkins, e come
voleva in precedenza lo stesso Wilson insieme alla maggioranza della
comunità scientifica) tra individui all’interno dello stesso gruppo. Nel
momento in cui si identifica il nemico (di razza, di classe) il gruppo
si ricompatta e mette a tacere gli egoismi individuali, che torneranno a
scatenarsi appena passato il pericolo.
Nell’elaborare questa teoria,
Wilson mette a frutto le indagini che l’hanno reso celebre, quelle
legate al concetto di “superorganismo” presentate in un monumentale
volume scritto con Bert Hölldobler e tradotto da Adelphi due anni fa.
Contrariamente al cliché dell’evoluzionismo come esaltazione della lotta
di tutti contro tutti, l’idea di fondo è che un livello di
“eusocialità”, ossia di stretta collaborazione tra individui nel gruppo,
con divisione del lavoro e intere caste che si sacrificano per la
comunità, è un vantaggio decisivo per l’evoluzione. È per questo che le
formiche hanno iniziato il cammino dell’evoluzione milioni di anni prima
che qualcosa di remotamente simile avvenisse agli ominidi. Tuttavia,
nel caso delle formiche, lo sviluppo ha comportato, un solo livello di
articolazione, quello sociale. È la comunità nel suo insieme che agisce
come un singolo organismo, e acquisisce una potenza che esisteva molto
prima di noi e con ogni probabilità esisterà molto dopo che si sarà
persa ogni traccia dell’umanità.
Per gli uomini (e per la sterminata
filiera di primati che li precede), che partivano da prerequisiti
diversi, e in particolare il fatto banale ma decisivo di essere molto
più grandi delle formiche, le cose sono andate diversamente. Il corpo
più grande ha permesso lo sviluppo di un cervello più complesso, e il
cervello ha reso possibili livelli di eusocialità sofisticati, la
creazione del linguaggio, degli ornamenti, della religione, e ovviamente
della scienza.
Purtroppo ha anche generato l’intima conflittualità
che ci caratterizza come esseri umani. Le formiche sanno sempre qual è
la cosa giusta da fare, noi invece siamo in lotta non solo con gli
altri, ma con noi stessi. Anzitutto, viviamo il conflitto tra egoismo e
altruismo, tra il vantaggio dell’individuo e quello del gruppo, tra
interesse e sacrificio. Come se non bastasse, a complicarci la vita
rispetto alle formiche, interviene il conflitto tra la parte primitiva e
istintiva del cervello, l’amigdala, e la corteccia capace di simboli,
coscienza e ragionamenti. Insomma, se il superorganismo tutto d’un pezzo
di un formicaio è perfettamente armonioso, noi viviamo un conflitto tra
la nostra natura e quello che Aristotele chiamava “seconda natura”. È
questo che ci rende pensosi, spirituali, tormentati. Ma il punto
essenziale, e filosoficamente decisivo, è che per quanto potente e
determinante possa diventare la seconda natura, rivela pienamente la
propria provenienza dalla prima.
Anni fa, quando il solo parlare di
“natura umana” appariva come il segno di un inaccettabile scientismo,
visto che l’uomo era concepito come il frutto esclusivo di una storia e
di un linguaggio venuti fuori dal nulla, il libro di Wilson sarebbe
stato classificato come antifilosofico. Ma è vero il contrario: è un
libro speculativo ed hegeliano. Perché esattamente come per Hegel, lo
spirito — concepito anzitutto come lacerazione — è frutto della natura, e
i gradi inferiori si conservano e si superano nei gradi superiori. La
cultura è costitutivamente il prolungamento della natura, non c’è
indipendenza né salto (né ovviamente infusione soprannaturale). È nel
fondo della natura che ha inizio la fenomenologia dello spirito, che non
perde nulla del suo interesse e della sua dignità, ma anzi riceve la
sua vera luce, dallo spiegare l’uomo attraverso le formiche.
Oggi
presenta a Harvard il Manifesto del nuovo realismo (Boylston Hall 403,
ore 17). L’incontro, organizzato da Francesco Erspamer per le attività
della Lauro de Bosis Lectureship in the History of Italian Civilization,
avviene in concomitanza con la nuova edizione de Il mondo esterno
(Bompiani).
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