sabato 23 marzo 2013
Gerardo Marotta e la salvezza dell'Istituto italiano per gli studi filosofici
Parla Marotta, che ha venduto tutto pur di mantere la struttura in vita Nato nel 1975 ha ospitato i più grandi studiosi ma ora versa in gravi condizioni economiche Circa trecentomila volumi si trovano chiusi in un capannone a Casoria
di Stefania Miccolis l’Unità 23.3.13
«CI HO MESSO TUTTA LA MIA PASSIONE, E QUESTO ISTITUTO È DIVENTATO IL
PRIMO, HA SUPERATO TUTTI, ANCHE QUELLI AMERICANI, NON CE NE SONO DI
UGUALI, HA CONQUISTATO UNA DIMENSIONE CHE NON TROVA TERMINI DI PARAGONE
NEL MONDO, COME È SCRITTO IN UN RAPPORTO DELL’UNESCO». A parlare è
l’avvocato Gerardo Marotta, una di quelle figure della Napoli colta ed
elegante che non si incontrano più, e l’Istituto, che ha sede nel
Palazzo Serra di Cassano a Napoli è l’Istituto Italiano per gli Studi
Filosofici. Coperto da cappotto e cappello anche in casa, l’avvocato è
come una miniatura; sommerso da migliaia di libri e dalle carte sparse
ovunque, prima viene la sua voce e finalmente da dietro un giornale
aperto spunta quella esile figura, e si scorgono due occhi piccoli, ma
accesi che ti guardano e scrutano e capiscono:«’Istituto Italiano per
gli Studi Filosofici, inizia a dire l’avvocato, è sorto per salvare la
civiltà occidentale, mette a disposizione dei giovani tutto il mondo
della cultura per formare le nuove generazioni!». E ricorda quando sul
divano di casa sua Elena Croce insieme a Enrico Cerulli, presidente
dell’Accademia dei Lincei, gridava: «L’Europa è in declino, non c’e un
minuto da perdere. Bisogna fondare un Istituto per gli studi filosofici e
scientifici che si occupi di filosofia, scienze, letteratura, ecologia,
urbanistica». Il declino al quale si riferisce la figlia di Croce è
quello della civiltà e della cultura e chissà cosa direbbe oggi (e
l’avvocato si mette le mani alla testa) nell’ascoltare mistificatori
della storia e barbari politicanti senza cultura. Quelli che
recentemente hanno distrutto il Teatro Grande di Pompei rappresentano
gli emuli di quei «luridi capobriganti» che Benedetto Croce ci racconta
furono insediati al posto dei giacobini mandati a morte da Ferdinando IV
al governo del Regno di Napoli. L’Istituto nasce nel 1975 a Roma nella
sede dell’Accademia Nazionale dei Lincei: «e subito demmo inizio
all’attività a Napoli con la conferenza inaugurale di Norberto Bobbio su
Giambattista Vico e la teoria delle forme di governo nella storia del
pensiero politico, e da allora non ci siamo più fermati». I più grandi
filosofi e i più importanti studiosi della comunità internazionale sono
venuti a Napoli a tenere i loro seminari, su materie umanistiche ma
anche scientifiche perché «lo scienziato deve essere anche filosofo».
Reinhart Koselleck, filosofo e storico tedesco ha dichiarato: «Ciò che
caratterizza l’Istituto Italiano per gli Studi Filosofici è soprattutto
la sua capacità di irradiare impulsi in tutti i campi del sapere verso
tutti i paesi del mondo. Non conosco nessuna’altra istituzione
scientifica che abbia impresso un segno così profondo nella cultura di
tutta l’Europa». L’avvocato Marotta alza la voce contro l’egoismo e
l’individualismo, il vero appiattimento della cultura: molti studenti
entrano nelle università, studiano per avviarsi verso una determinata
carriera, si lanciano nelle professioni e si dimenticano della cultura.
«Dalla facoltà escono degli egoisti! L’insegnamento monologico è un
disastro perché genera una civiltà corrotta, ognuno pensa a sé, a fare i
soldi, è come se la società si basasse sulla lotta per l’economia. Le
forze retrive hanno ostacolato il formarsi di istituti e accademie, ed
hanno perpetuato la formazione di una società corrotta senza coesione e
senza amore per il bene pubblico».
L’Istituto versa oggi in gravi condizioni economiche: il piccolo grande
uomo, l’avvocato Marotta, colui che come avrebbe detto Hegel impersona
la seconda natura (così è anche il titolo del documentario che lo
immortala, di Marcello Sannino) quella della cultura, si trova ora senza
un soldo, perché ha venduto tutte le sue proprietà, tutti i suoi averi
per mantenere in vita l’Istituto. Lo ha finanziato per quindici anni,
poi è intervenuto Ciampi: «ne riconosceva il valore immenso culturale,
capiva che l’Istituto era sorto per la difesa della civiltà europea».
Ciampi sfruttò dapprima l’8 per mille alla cultura, poi promosse una
legge che destinava ogni anno all’Istituto due milioni e mezzo di euro.
Con questi soldi sono state istituite centinaia di scuole di alta
formazione nel Mezzogiorno, sono state date migliaia di borse di studio,
è stato creato un Istituto superiore di studi ad Heidelberg dedicato al
nome di Hans-Georg Gadamer, seminari costanti ogni anno vengono tenuti
al Warburg Institute di Londra, e sono stati organizzati quarantamila
tra lezioni e seminari in tutta Europa. «Ma purtroppo dal 1 gennaio 2010
il governo ci ha dimenticati». Nel 2011 la Camera prese posizione per
tutelare sia l’Istituto per gli studi filosofici che quello per gli
studi storici, espresse un ordine del giorno che ancora non si è
tramutato in legge. L’avvocato non riesce più a pagare i fitti dei tanti
locali che contengono i libri, ed anche se la Regione Campania ha
acquistato sotto l’amministrazione Bassolino un edificio nel centro
della città, i lavori di ristrutturazione per la sistemazione della
biblioteca a tutt’oggi non sono ancora iniziati. L’enorme patrimonio
librario, più di trecentomila volumi si trova ora in parte in un
capannone a Casoria, chiuso in degli scatoloni, col rischio di sparire
nell’oblio. Molti sono stati gli appelli per salvare l’Istituto,
provenienti dagli intellettuali di tutto il mondo, dalla comunità
europea. «Sono le accademie e gli istituti superiori ad aver salvato la
cultura – continua l’avvocato ma oggi vivono in uno stato di quiescenza,
il governo non le utilizza, non comprende la loro importanza». Cita
l’articolo uscito sull’Unità il 13 settembre 2012 di Edgar Morin: «Il
progresso è fallito, ora una nuova civiltà», in cui Morin spiega come
sia necessaria una «vigorosa reazione per ricercare nuove convivialità e
ricreare uno spirito di solidarietà, intessere nuovi legami sociali per
far riemergere quelle fonti spirituali che sono state soffocate». Ma lo
aveva capito prima Croce quando nel 1946 scriveva sulla fine della
civiltà «la fine della civiltà (...) è la rottura della tradizione,
l’instaurazione della barbarie, ed ha luogo quando gli spiriti inferiori
e barbarici (...) riprendono vigore preponderanza e signoria». Il
filosofo Hans-Georg Gadamer lo ribadisce: «La società è caratterizzata
dall’anonimità. Siamo minacciati dall’epoca del progresso in cui
viviamo», «è la grande vittoria dell’ondata tecnologica, ed è
l’appiattirsi nella forma di insegnamento monologica, i cui caratteri
distintivi sono la chiusura individualistica, la mancanza di ogni fede».
«Si diffonde un pathos del disincanto che si può avvertire dappertutto e
in particolare si è impadronito delle giovani generazioni».
L’avvocato Marotta vorrebbe che Napoli si rianimasse e si reinserisse
nella grande storia. Desidera tenere viva l’eredità del grande pensiero
europeo e edificare su queste premesse nuove forme di pensiero e di
vita, desidera che l’Europa sopravviva alle minacce di questa epoca. Con
le mani incrociate e lo sguardo rivolto verso l’alto dice: «Abbiamo
ricevuto riconoscimenti in tutto il mondo, ma i governi italiani non
mostrano preoccupazioni per il destino di questo Istituto. Vorrei vivere
un altro anno ancora per sistemare le cose all’Istituto». Noi gli
auguriamo di vivere molti più anni, e sappiamo che rimarrà
nell’immortalità: come dice il filosofo francese Jacques Deridda lui è l’homme
des Lumières, un jour on lui donnera raison; c’est sûr, et mieux que
jamais on comprendra qu’il a vu très loin, très tôt.
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