sabato 23 marzo 2013

Un romanzo storico sulle radici della catastrofe della Germania


Christian Kracht: Imperium, traduzione di Alessandra Petrelli, Neri Pozza, pp. 186, 16 

Risvolto
All'inizio del Ventesimo secolo, il Prinz Waldemar è un poderoso e moderno piroscafo da tremila tonnellate che, ogni dodici settimane, proveniente da Hong Kong, solca l'oceano Pacifico diretto a Sydney, toccando le terre del protettorato tedesco, la Nuova Pomerania. A differenza delle colonie africane, quelle terre sono, per l'Impero di Guglielmo II, assolutamente superflue. Ma nella lontana Berlino si parla di quelle isole come di preziose perle iridescenti infilate in una collana. Attratti perciò dal loro irresistibile richiamo paradisiaco, avventurieri e sognatori di tutti i tipi si imbarcano ogni dodici settimane sul Prinz Waldemar verso i mari del Sud. Tra questi, un giovane uomo di venticinque anni, con gli occhi malinconici di una salamandra. Si chiama August Engelhardt. È vegetariano e nudista, e qualche tempo fa ha scritto un libro dall'affascinante titolo Eine sorgenfreie Zukunft, "Un futuro spensierato", e ora è in viaggio verso la Nuova Pomerania per acquistare della terra e avviare una piantagione di noci di cocco. Il desiderio più grande di August Engelhardt, la sua vocazione, è perciò creare una colonia di coccovori, di mangiatori di cocco, nelle nuove terre dell'Impero. Ispirato a una figura realmente esistita, "Imperium" ci trascina in un surreale turbine narrativo, dove l'avventura di Engelhardt raffigura esemplarmente il naufragio stesso dell'anima tedesca agli albori del XX secolo.

Erede di Verne
di Mario Fortunato, L'espresso, 01/03/2013

La vita ricomincia dall'ignoto
Quando gli idealisti cercavano un destino in Nuova Guinea
di Cinzia Fiori Corriere 23.3.13

Un tuffo nel pensiero romantico e in un'epoca che prometteva grandi soddisfazioni alla Germania. Siamo all'inizio del secolo scorso, navighiamo verso la Nuova Pomerania con August Engelhardt da Norimberga, intellettuale ventiseienne emaciato, vegano e nudista. Sta andando nel protettorato tedesco per fondare un ordine di mangiatori di cocco che, in contatto con la natura, nutrendosi soltanto del sublime alimento, si libereranno da ogni contaminazione dello spirito e diventeranno uomini perfettamente realizzati, più simili a Dio degli altri.
Di eccentrici, idealisti, utopisti, radicali simili a lui ne incontreremo molti in Imperium dello svizzero Christian Kracht (traduzione di Alessandra Petrelli). Conoscono Schopenhauer e la Filosofia della vita, fuggono il mondo volgare e accelerato della modernità per trasformare la propria esistenza in opera d'arte. Creando per sé valori e scopi, oppongono la propria volontà romantica alla versione peggiore di un universo che considerano imperscrutabile.
È l'impianto teorico che scorre sotto traccia a un libro avvincente, avventuroso, non di rado spassoso, e capace di turbare il lettore con due soli cenni, per nulla accidentali, a Hitler. Se Engelhardt, scrive l'autore, dovesse «richiamare alla mente qualche analogia con un successivo romantico e vegetariano tedesco, che forse avrebbe fatto meglio a stare accanto al suo cavalletto, ebbene, ciò è del tutto intenzionale e in nuce coerente». La coerenza interna è anche una delle doti del testo di Kracht, si tratta infatti di un romanzo-apologo, nel quale l'autore, armato di strumenti filosofici, illustra le conseguenze tangibili di un'idea. E induce il lettore a pensare che in un simile milieu culturale, sia un caso sventurato, ma soltanto un caso, che Hitler non sia finito, come il protagonista del romanzo, in Nuova Guinea o altrove. Non è certo la prima volta che i totalitarismi novecenteschi vengono considerati ramificazioni politiche aberranti del pensiero romantico. Ma nel romanzo è la casualità a turbare la ragione. Tant'è che ha fatto discutere in Germania, sia pure con una convergenza di giudizi positivi.
Per raccontare una concezione della vita che oggi ci appare remota, Kracht sceglie l'allegoria, e nel protettorato dispiega una perfetta ricostruzione della mentalità tedesca dell'epoca, con la cinica furfanteria dei commercianti, la Realpolitik delle autorità ammantata di nobili fini e l'ingenuità di avventurieri, navigatori, naturopati, mormoni e inventori, dei quali il campione è naturalmente Engelhardt. Il protagonista è veramente esistito così come sono esistiti la maggior parte dei personaggi principali del romanzo. L'autore gioca con i loro destini, reinventandoli un po' e, per offrire una migliore percezione dell'aria del tempo, inserisce qua e là, le presenze fugaci di Hermann Hesse, Thomas Mann e Franz Kafka, nomina gli studi di Einstein, anticipa il mana di Mircea Eliade...
Non si tratta del solito citazionismo post moderno, ma della rappresentazione di una cultura e di un periodo che Engelhardt e i suoi compagni di ventura rendono picaresco e strampalato. Al resto pensa la scrittura, che ripropone tutti i miti dell'epoca, a partire da quello del buon selvaggio per continuare con l'esotismo, trionfante nelle descrizioni. C'è una continua tensione, nella prosa, tra un lessico e una sintassi indirizzati a creare la suggestione dello stile romantico e un contraltare più secco, grottesco e comico, che non di rado ha una funzione realistica, teso com'è a contemperare gli elevati afflati e la prosaica materialità del vivere. L'equilibrio riesce grazie a un narratore talmente presente da diventare quasi personaggio. Ispirato agli imbonitori che spiegavano la pellicola all'alba del cinematografo, chi parla è capace di imporsi, di guidare il racconto con commenti espliciti, per poi sparire negli eventi come quando la voce in sala taceva per lasciar spazio alle immagini. Così, tra suspense, divertimento e riflessione si giunge al finale (con sorpresa). La chiusura è accelerata, procede a ritmo di varietà, richiamando i personaggi e i loro destini: c'è qualcosa di farsesco in tutte le ambizioni umane, delle quali la storia per molte vie si fa gioco.


DIETRO “IMPERIUM” L’INCUBO NEONAZISTA
Arriva in Italia il libro che in Germania ha scatenato polemiche



La gobba di Oskar nel Tamburo di Latta di Günter Grass, simbolico fardello dei peccati mortali nazisti, è ancora oggi granitica e pesantissima in Germania. Non a caso, fino a poco tempo fa il governo Merkel voleva addirittura mettere fuori legge il partito di estrema destra tedesco Npd – idea poi accantonata per l’opposizione del Partito liberale, alleato della cancelliera. Ma sotto accusa per simpatie naziste o antisemite in Germania finiscono spesso anche libri e scrittori. L’ultimo spauracchio è da poco arrivato in Italia. È un romanzo e si chiama Imperium (Neri Pozza, traduzione di Alessandra Petrelli). L’autore è lo svizzero Christian Kracht, classe ’66, scrittore tra i più rinomati della sua generazione. Il libro, dalla prosa esotica e rigogliosa che a tratti(ma solo a tratti) riecheggia Conrad e Céline, parla dell’utopia di un giovane nudista vegano di inizio XX secolo, August Engelhardt. Il protagonista, folgorato dal mito colonialista tedesco, decide di fondare una comunità romantica e pura su un’isola del Pacifico, per cibarsi esclusivamente di cocco e conquistare l’immortalità: un viaggio verso “la sua Sion”, abbozza Kracht.
Imperium è finito sotto il fuoco di virulenti critiche dopo un’aspra recensione dello Spiegel firmata Georg Diez. Secondo il giornalista, la prosa di Kracht incarna il cavallo di Troia dei neonazi tedeschi, la banalizzazione del male e delle loro nefandezze, il dandy mellifluo di violenti e xenofobi. Diez se la prende soprattutto con alcuni passaggi di Imperium, effettivamente intinto di strane allusioni, come un oscuro paragone tra il protagonista August e il “romantico” Hitler, onirici templi pagani, vigorosi inni wagneriani et alia.
Tutte allusioni all’immaginario di estrema destra che Diez rintraccia anche in altri libri dello svizzero.
Appena esplosa la polemica, Kracht è stato difeso da una schiera di importanti scrittori di lingua tedesca come il Nobel austriaco Elfriede Jelinek. In effetti, nel libro il protagonista August non le manda a dire neanche ai tedeschi, bollati come “pallidi, ispidi, volgari”. E quando un nuovo adepto tedesco violenta un giovane indigeno dell’isola, suo fedele aiutante, August non esita a ucciderlo per vendicare la povera vittima.
Il vero problema, tuttavia, sorge se Imperium viene contestualizzato in alcuni inquietanti aspetti della vita del suo autore. Kracht viene spesso accusato di dare adito a teorie razziste e ariane per uno specifico peccato originale, ossia alcune sue conversazioni e scambi di email con David Woodard, un controverso artista americano, dove i due apprezzano alcuni aspetti dei movimenti estremisti e l’utopica colonia ariana di Nueva Germania, fondata nel 1887 in Paraguay da Bernhard Förster, cognato di Nietzsche. Idee dalle quali l’oscuro Kracht è sempre rimasto pericolosamente affascinato, almeno dal punto di vista letterario e narrativo.
Ma Kracht non è il solo a ridestare gli spettri più agghiaccianti dei tedeschi. L’ultimo caso che ha fatto molto scalpore è un romanzo goliardico di Timur Vermes, Er st wieder da, ovvero Lui è tornato.
“Lui” non è altri che Adolf Hitler. Che, come aveva già immaginato Walter Moers, rinasce nel futuro (qui nel 2011), diventando, seppur goffamente, un idolo su You-Tube, pronto a riprendersi la Germania.
Satira divertente o mostruoso azzardo?
Spiegel e Süddeutsche Zeitung hanno criticato severamente il romanzo per la sua sconsiderata spensieratezza nel riesumare Hitler. In passato diversi artisti, da Lubitsch a Levy con i loro film, hanno ironizzato sul Führer, spesso attirando critiche. Hirschbiegel, invece, era stato accusato di ritrarre un Hitler troppo umano in La Caduta.
Fatto sta che Lui è tornato, dopo la sua uscita a fine 2012, è diventato subito un bestseller, con oltre 400mila copie già vendute in Germania e traduzione in quasi 30 lingue (in Italia uscirà prossimamente per Bompiani).
Solo qualche anno fa la Germania (dove tra l’altro dal 2015 potrebbe cadere anche il divieto di pubblicazione del Mein Kampf) era già stata terrorizzata dal ciclone Thilo Sarrazin, l’ex economista della Bundesbank in quota Spd (centrosinistra) e autore dell’esplosivo saggio La Germania si distrugge da sola, accusato di antisemitismo e xenofobia per i suoi duri attacchi agli immigrati, specialmente musulmani, che per l’autore rappresenterebbero un insopportabile fardello sociale ed economico. In scia a Sarrazin, qualche mese fa, un altro socialdemocratico da tempo scettico verso il multiculturalismo, Heinz Buschkowsky, ha scosso molti con il libro Neukölln è dappertutto, secondo cui molti figli degli immigrati residenti nel quartiere di Berlino che lui amministra sarebbero pigri. E persino un editorialista dello Spiegel, Jakob Augstein, è stato recentemente inserito dal centro Wiesenthal tra i peggiori antisemiti viventi per le sue critiche a Israele (come “Gaza è un lager”). Israele che a sua volta ha bollato come persona non grata Grass per alcuni recenti versetti al vetriolo contro la politica estera dello Stato ebraico. Quel Grass che solo qualche anno fa ha scioccato il Paese confessando un passato tra le SS.
Anche per questo in Germania ora c’è la corsa al politically correct nei libri. E come con Mark Twain in America, si è iniziato a “purificare” famosi racconti per bambini da termini “poco multiculturali”. Lo scorso gennaio è accaduto a La piccola strega di Otfried Preussler, scritto nel 1957. Nell’originale c’erano termini scomodi, vedi “negro”. Ora non più. La decisione ha scatenato un putiferio sulla libertà di espressione in Germania, nonostante la revisione della Piccola strega fosse stata accordata con lo stesso Preussler. Che, ironia della sorte, è morto pochi giorni dopo.

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