mercoledì 20 marzo 2013
Il capo indiscusso di chi vuole botte piena e moglie ubriaca
Le conseguenze sociali ed economiche dell’iniquità
di Joseph E. Stiglitz Repubblica 20.3.13
I
mercati, anche quando sono stabili, producono spesso forti
disuguaglianze, percepite come inique. La crisi finanziaria ha scatenato
una nuova percezione: il sistema economico è non solo inefficiente e
instabile, ma anche profondamente iniquo. È stato giustamente percepito
come gravemente “ingiusto” il fatto che molti operatori del settore
finanziario (“i banchieri”) si siano appropriati di bonus stratosferici,
mentre coloro che hanno sofferto per la crisi causata (anche) da questi
banchieri si sono ritrovati senza un posto di lavoro; o che i governi
abbiano “salvato” le banche, ma che siano stati riluttanti a estendere
le reti di protezione ai disoccupati o ai nuovi homeless.
Sebbene la
liberalizzazione dei mercati abbia portato a una più elevata produzione
aggregata, larghi strati della popolazione hanno peggiorato la propria
condizione. Considerate per un momento ciò che un’economia mondiale
interamente globalizzata (con i capitali e la conoscenza che circolano
liberamente) comporterebbe: tutti i lavoratori con le medesime abilità,
dovrebbero ricevere lo stesso salario in qualunque posto del mondo. I
lavoratori americani non specializzati dovrebbero ottenere lo stesso
salario che un lavoratore non specializzato otterrebbe in Cina. Ciò
significherebbe che i salari dei lavoratori americani cadrebbero
precipitosamente. Il salario prevalente sarebbe una media tra quello
americano e quello del resto del mondo, con un notevole livellamento
verso il salario più basso prevalente altrove. Non sorprende il fatto
che i sostenitori della completa liberalizzazione, credendo in genere al
buon funzionamento dei mercati, non pubblicizzino questo risultato.
I
critici delle politiche redistributive a volte suggeriscono che il
costo della redistribuzione stessa è troppo alto. I disincentivi,
sostengono, sono troppo alti, e i guadagni per i poveri e la classe
media sarebbero più che compensati dalle perdite sopportate dai ricchi.
Si sente spesso affermare dai fondamentalisti del mercato che potremmo
avere una maggiore uguaglianza distributiva, a prezzo di una crescita
più lenta e un inferiore pil pro capite. La realtà è esattamente
l’opposto: abbiamo un sistema che si sta operando per spostare i soldi
dalla popolazione che ha redditi bassi e medi ai ricchi, ma il sistema è
così inefficiente che i guadagni per la classe agiata sono molto
inferiori alle perdite per le classi medie e basse.
C’è una seconda
via attraverso cui le politiche economiche guidate «dall’1 per cento»
possono produrre instabilità: la deregolamentazione. La
deregolamentazione è un elemento centrale dell’instabilità che molti
Paesi hanno sperimentato. Dare carta bianca alle grandi corporation, in
particolare nel settore finanziario, è stato nell’interesse miope delle
classi più ricche; costoro hanno usato il loro peso politico e il loro
potere di influenzare le idee per sostenere la deregolamentazione,
dapprima nei settori delle compagnie aeree e di altri servizi di
trasporto, poi nel settore delle telecomunicazioni e in ultimo nei
mercati finanziari.
Gli apologeti della disuguaglianza sostengono al
contrario che dare più soldi ai più ricchi sarà a vantaggio di tutti,
perché porterebbe a una maggiore crescita. Si tratta di un’idea chiamata
trickle-down economics (economia dell’effetto a cascata). Essa ha un
lungo pedigree e da tempo è stata screditata.
Come l’evidenza
empirica dimostra, una maggiore disuguaglianza non ha portato a una più
alta crescita, e la maggior parte degli americani ha visto i propri
redditi affondare o ristagnare. Quello che l’America sta vivendo in
questi ultimi anni è l’opposto dell’economia dell’effetto a cascata: le
ricchezze accumulate dai più ricchi sono state ottenute a scapito di
quelle ricevute dai meno abbienti.
Le 358 persone più ricche al mondo
hanno una ricchezza pari a quella del 45 per cento più povero della
popolazione mondiale. Se consideriamo i dati riferiti ai tre individui
più ricchi al mondo otteniamo una ricchezza che corrisponde a quella dei
“Paesi meno sviluppati” messi insieme, circa 600 milioni di persone.
Più in generale, l’1 per cento più ricco degli individui detiene circa
il 40 per cento della ricchezza mondiale; il 50 per cento più povero
della popolazione mondiale detiene solo l’1 per cento della ricchezza
complessiva.
La grande recessione non ha creato la disuguaglianza, ma
di certo l’ha aggravata. Con le opportune politiche possiamo migliorare
la situazione. La domanda è: possiamo farlo? Sì, a patto che il 99 per
cento della popolazione si accorga di essere stato ingannato dall’1 per
cento: che ciò che è nell’interesse dell’1 per cento non è nel loro
interesse. L’1 per cento ha lavorato sodo per convincere il resto della
società che un mondo alternativo non è possibile.
Traduzione Mauro Gallegati
SULL’ALMANACCO
Economia di Micromega in uscita domani comparirà il testo del premio
Nobel Joseph Stiglitz scritto in collaborazione con Mauro Gallegati,
consulente economico di Beppe Grillo, di cui anticipiamo una parte Il
fascicolo, curato da Emilio Carnevali e Roberto Petrini, contiene tra
gli altri interventi di Federico Rampini, Alessandro Roncaglia, Maurizio
Franzini
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