domenica 24 marzo 2013
Intellettuali in esilio
Alla scoperta dell’Inquisizione garantista
di Adriano Prosperi Repubblica 24.3.13
Gli studi di John Tedeschi hanno
portato sugli esuli a causa di religione la luce di pazienti e accurate
ricerche: la corposa sezione a loro dedicata nella seconda parte del
volume ne offre una bella testimonianza. La prima riguarda la storia
dell’Inquisizione cattolica. Ora, che un membro della minoranza ebraica
italiana abbia investito tanta parte di una vita di studi
all’Inquisizione del ’500 è un caso a sé che merita speciale interesse.
Non si potrebbe immaginare una miglior occasione per esercitare sul
tribunale del passato la vendetta di una condanna senza appello del
tribunale della storia. Tanto più che esisteva una generale tendenza a
concepire la storia dell’Inquisizione ecclesiastica come una “Leggenda
Nera” fatta di torture e di roghi. Ma quello che ha fatto John Tedeschi è
stato tutt’altro. I saggi del volume, raccogliendo il bilancio di una
imponente messe di studi, mostrano fino a qual punto il lavoro
storiografico dell’autore abbia innovato lo stato delle conoscenze. Oggi
l’immagine dell’Inquisizione non è più quella della Leggenda nera. La
nuova prospettiva da lui aperta e solidamente argomentata riconosce alle
regole della Suprema Congregazione del Sant’Uffizio una correttezza di
garanzie formali per gli imputati superiore a quella offerta allora
nelle altre parti del mondo occidentale. Quanto agli esuli italiani,
quello che Tedeschi ha ricostruito è il contributo di eretici e ribelli
alla promozione e diffusione della cultura italiana nei paesi di
rifugio. Mentre sull’Italia calava la cortina della censura, le opere di
Dante, Boccaccio, Machiavelli, Guicciardini, Pomponazzi e tanti altri –
scrive Tedeschi – «videro la luce grazie ai loro compatrioti
all’estero».
La terza parte è dedicata allo storico degli eretici,
Delio Cantimori, e alla rete internazionale che negli anni Trenta unì il
suo nome a quello di Kristeller, Elisabeth Feist Hirsch e Roland
Bainton. In continuità coi loro nomi prende così forma e sostanza il
“filo rosso” intellettuale dell’opera di John Tedeschi. Ma la sua scelta
nasce o no dall’esperienza dell’esilio perché ebreo? John Tedeschi dice
che una molla del genere non la riconosce: se c’è, essa se ne sta
«buried deep within me». Ma la domanda resta. Intanto per noi italiani
l’omaggio più che meritato offerto a John Tedeschi è anche un’occasione
per chiederci se nel declino presente della scuola e della ricerca e
nell’esodo di intere generazioni di giovani studiosi non si debba
riconoscere non un “filo rosso” ma il ritornante filo nero della
peggiore storia italiana.
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