DAL TESTO – “[…] dall'antichità romana all'Ottocento, la "dittatura" è stata un'istituzione rispettabile e anche democratica - anzi, soprattutto democratica -, che serviva a superare i momenti difficili: per questo la si corredava di poteri d'eccezione e si accettava anche il suo ricorso a metodi di governo che ordinariamente non sarebbero stati accettati. A parte certi grandi casi storici, come Cromwell e Napoleone, vi sono personaggi insospettabili che, nella storia recente e anche recentissima, hanno avuto magari per brevi momenti (la dittatura era appunto istituzione limitata nel tempo) poteri dittatoriali: anche Teddy Roosevelt, Winston Churchill e Charles De Gaulle sono passati attraverso esperienze del genere. Ma erano al di sopra di ogni sospetto, e quasi nessuno se n'è accorto (anche perché la pratica dei "segreti di Stato" funziona spesso bene). E, soprattutto, non si è mai usato nei loro confronti il termine "dittatore", compromesso esclusivamente dal fatto ch'è stato sistematicamente impiegato, dagli anni Venti del XX secolo, per indicare la pratica di governo d'origine in tutto o in parte illegittima e caratterizzata da violente forme di repressione oltre che da forti connotati di "potere carismatico" e di organizzazione del consenso: insomma, "dittatura" è diventato sinonimo di "tirannia" - altro termine che ha alle spalle una lunga avventura semantica, in origine tutt'altro che semplicisticamente negativa e di "Stato totalitario". Ma non c'è liberaldemocratico tanto rigoroso da spingersi fino a proclamare che le dittature siano e siano state sempre e del tutto un male. Difatti, non dappertutto vi sono le condizioni per l'impianto di un sistema democratico. E poi vi sono casi specifici, come le "dittature di sviluppo". Per le grandi potenze democratiche, in realtà tutti i dittatori sono uguali, ma ve ne sono alcuni più uguali degli altri. Quando uno sta "dalla parte giusta" e magari assume decisioni considerate buone in politica economica o in politica estera, si chiude un occhio sul fatto che abbia un debole per le uniformi, tenda a chiudere i giornali e a buttare in galera gli oppositori e magari si serva della tortura e dei campi di concentramento. È successo con Suharto, con Noriega, con Pinochet, perfino con Pol Pot. Anche con Saddam Hussein, fino al 1990. Con i dittatori si scende a patti, eccome; e, finché ci fa comodo, si evita di definirli tali. Purtroppo: ma è così. Si dice che Goering usasse affermare, o quanto meno l'avesse affermato una volta, che chi fosse ebreo lo decideva lui. Anche l'amministrazione Bush, e non è la sola, amava decidere chi fosse un dittatore e chi no; o chi, non essendolo fino a un certo punto, poi lo diventava. Come Noriega o come Saddam Hussein.”
mercoledì 20 marzo 2013
La crisi italiana secondo Franco Cardini
Risvolto
DAL TESTO – “[…] dall'antichità romana all'Ottocento, la "dittatura" è stata un'istituzione rispettabile e anche democratica - anzi, soprattutto democratica -, che serviva a superare i momenti difficili: per questo la si corredava di poteri d'eccezione e si accettava anche il suo ricorso a metodi di governo che ordinariamente non sarebbero stati accettati. A parte certi grandi casi storici, come Cromwell e Napoleone, vi sono personaggi insospettabili che, nella storia recente e anche recentissima, hanno avuto magari per brevi momenti (la dittatura era appunto istituzione limitata nel tempo) poteri dittatoriali: anche Teddy Roosevelt, Winston Churchill e Charles De Gaulle sono passati attraverso esperienze del genere. Ma erano al di sopra di ogni sospetto, e quasi nessuno se n'è accorto (anche perché la pratica dei "segreti di Stato" funziona spesso bene). E, soprattutto, non si è mai usato nei loro confronti il termine "dittatore", compromesso esclusivamente dal fatto ch'è stato sistematicamente impiegato, dagli anni Venti del XX secolo, per indicare la pratica di governo d'origine in tutto o in parte illegittima e caratterizzata da violente forme di repressione oltre che da forti connotati di "potere carismatico" e di organizzazione del consenso: insomma, "dittatura" è diventato sinonimo di "tirannia" - altro termine che ha alle spalle una lunga avventura semantica, in origine tutt'altro che semplicisticamente negativa e di "Stato totalitario". Ma non c'è liberaldemocratico tanto rigoroso da spingersi fino a proclamare che le dittature siano e siano state sempre e del tutto un male. Difatti, non dappertutto vi sono le condizioni per l'impianto di un sistema democratico. E poi vi sono casi specifici, come le "dittature di sviluppo". Per le grandi potenze democratiche, in realtà tutti i dittatori sono uguali, ma ve ne sono alcuni più uguali degli altri. Quando uno sta "dalla parte giusta" e magari assume decisioni considerate buone in politica economica o in politica estera, si chiude un occhio sul fatto che abbia un debole per le uniformi, tenda a chiudere i giornali e a buttare in galera gli oppositori e magari si serva della tortura e dei campi di concentramento. È successo con Suharto, con Noriega, con Pinochet, perfino con Pol Pot. Anche con Saddam Hussein, fino al 1990. Con i dittatori si scende a patti, eccome; e, finché ci fa comodo, si evita di definirli tali. Purtroppo: ma è così. Si dice che Goering usasse affermare, o quanto meno l'avesse affermato una volta, che chi fosse ebreo lo decideva lui. Anche l'amministrazione Bush, e non è la sola, amava decidere chi fosse un dittatore e chi no; o chi, non essendolo fino a un certo punto, poi lo diventava. Come Noriega o come Saddam Hussein.”
Questo libro ricorda volentieri un samizdat,
una di quelle pubblicazioni clandestine circolanti nell'Unione
Sovietica del secondo dopoguerra che si poteva trattenere per breve
tempo, magari per una sola notte, passata in bianco immersi nella
lettura. Con questo non si vuol certo dire che Franco Cardini abbia
subìto una qualche forma di censura, meno che mai politica (o forse sì,
ma questo è da vedere). Questo libro, in realtà, nasce da una profonda e
spassionata riflessione sui meccanismi che nel nostro Paese bloccano la
circolazione delle idee e la corretta informazione. "Arianna infida",
dunque, è il tentativo di riprendere il bandolo di una matassa che si è
persa nelle cento o mille bugie che ci vengono propinate ogni giorno,
tanto sulla storia remota o recente, quanto sugli eventi che accadono ai
giorni nostri. In queste pagine il grande storico del medioevo ma anche
appassionato polemista partecipe delle questioni contemporanee,
denuncia a chiare lettere alcuni mali che ci affiggono: del nostro
essere europei, in un'Europa che, a dispetto delle proprie radici
ebraico-cristiane, appare condizionata da lobbies economico-finanziarie
e da teoremi come quello neoconservatore sull'esportazione della
democrazia; del nostro essere italiani, in un'Italia assediata da circhi
di nani e ballerine, bugie e prevaricazioni tanto culturali quanto
politiche; del nostro essere affacciati sul Mediterraneo, crogiolo di
culture di cui continuiamo ostinatamente a disinteressarci
accontentandoci della vulgata ufficiale. Scherzando, si potrebbe dire
che in questo libro vi sia il distillato del "peggior Cardini": quello
che parla senza peli sulla lingua, citando nomi e cognomi, e lo fa da
uomo libero, non controllabile né ricattabile, capace di reagire alle
menzogne più spudorate, sovente occultate dietro luoghi comuni o da
un'informazione selvaggia e confusionaria.
DAL TESTO – “[…] dall'antichità romana all'Ottocento, la "dittatura" è stata un'istituzione rispettabile e anche democratica - anzi, soprattutto democratica -, che serviva a superare i momenti difficili: per questo la si corredava di poteri d'eccezione e si accettava anche il suo ricorso a metodi di governo che ordinariamente non sarebbero stati accettati. A parte certi grandi casi storici, come Cromwell e Napoleone, vi sono personaggi insospettabili che, nella storia recente e anche recentissima, hanno avuto magari per brevi momenti (la dittatura era appunto istituzione limitata nel tempo) poteri dittatoriali: anche Teddy Roosevelt, Winston Churchill e Charles De Gaulle sono passati attraverso esperienze del genere. Ma erano al di sopra di ogni sospetto, e quasi nessuno se n'è accorto (anche perché la pratica dei "segreti di Stato" funziona spesso bene). E, soprattutto, non si è mai usato nei loro confronti il termine "dittatore", compromesso esclusivamente dal fatto ch'è stato sistematicamente impiegato, dagli anni Venti del XX secolo, per indicare la pratica di governo d'origine in tutto o in parte illegittima e caratterizzata da violente forme di repressione oltre che da forti connotati di "potere carismatico" e di organizzazione del consenso: insomma, "dittatura" è diventato sinonimo di "tirannia" - altro termine che ha alle spalle una lunga avventura semantica, in origine tutt'altro che semplicisticamente negativa e di "Stato totalitario". Ma non c'è liberaldemocratico tanto rigoroso da spingersi fino a proclamare che le dittature siano e siano state sempre e del tutto un male. Difatti, non dappertutto vi sono le condizioni per l'impianto di un sistema democratico. E poi vi sono casi specifici, come le "dittature di sviluppo". Per le grandi potenze democratiche, in realtà tutti i dittatori sono uguali, ma ve ne sono alcuni più uguali degli altri. Quando uno sta "dalla parte giusta" e magari assume decisioni considerate buone in politica economica o in politica estera, si chiude un occhio sul fatto che abbia un debole per le uniformi, tenda a chiudere i giornali e a buttare in galera gli oppositori e magari si serva della tortura e dei campi di concentramento. È successo con Suharto, con Noriega, con Pinochet, perfino con Pol Pot. Anche con Saddam Hussein, fino al 1990. Con i dittatori si scende a patti, eccome; e, finché ci fa comodo, si evita di definirli tali. Purtroppo: ma è così. Si dice che Goering usasse affermare, o quanto meno l'avesse affermato una volta, che chi fosse ebreo lo decideva lui. Anche l'amministrazione Bush, e non è la sola, amava decidere chi fosse un dittatore e chi no; o chi, non essendolo fino a un certo punto, poi lo diventava. Come Noriega o come Saddam Hussein.”
Tuttavia,alcune frottole aiutano a capire meglio le mentalità di un'epoca La storia è piena di falsi storici. Dalla donazione di Costantino al revisionismo
arina Montesano L'accurata menzogna che afferra lo spirito del tempo
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